BENEDETTA ARESE LUCINI

L’open banking secondo Oval Money, la startup alleata di Intesa Sanpaolo

Le startup possono aiutare le banche nell’ultimo miglio, dice Benedetta Arese Lucini, founder e CEO di Oval Money. Cioè l’interazione con i clienti che sarà sempre più digitale. “La Psd2 e l’open banking non cambia certo i prodotti, ma le esperienze di accesso e di uso dei prodotti”. “Non lavoreremo solo con Intesa Sanpaolo

Pubblicato il 03 Lug 2018

Oval Money Team. Da sinistra: Simone Marzola (esperto machine learning), Benedetta Arese Lucini (AD),Edoardo Benedetto (CDO), Claudo Bedino (CO)

Open banking, lavori in corso. La PSD2, la direttiva europea entrata in vigore a gennaio, comincia a far sentire i suoi effetti nelle scelte di innovazione degli istituti di credito. Il quadro non è ancora definitivo, visto che mancano alcune norme attuative e standard tecnici ma le manovre sono cominciate e in molti casi coinvolgono le startup, che possono accelerare la trasformazione verso una logica aperta che fa non fa parte della tradizione bancaria.

Un segnale dei movimenti in corso è certamente l’ingresso della prima banca italiana Intesa Sanpaolo nel capitale di una startup, Oval Money, fondata da italiani a Londra: Claudio Bedino e Benedetta Arese Lucini, già country manager di Uber in Italia. Con lei abbiamo parlato dell’operazione, di open banking e delle prospettive dei servizi finanziari nell’era della trasformazione digitale.

Le banche di fronte alla PSD2

Benedetta, come vedi il mondo bancario rispetto alla svolta della Psd2?
Riscontro due atteggiamenti: chi cerca di respingere fino alla fine questo cambiamento, con un atteggiamento molto pushing back. E altri, come Intesa Sanpaolo o anche Banca Sella, che invece hanno scelto di affrontarlo cercando di essere avanti e non a traino.

Che cosa significa la vostra alleanza con Intesa?
Quando abbiamo cominciato, poco meno di due anni fa, ci eravamo prefissati di portare accessibilità, trasparenza e inclusione nel mondo dei prodotti finanziari. Abbiamo creato una piattaforma, un marketplace, alimentata dall’intelligenza artificiale, che potesse rendere semplice e a portata di smarthphone l’accesso. Da allora abbiamo capito che le grandi banche hanno maturato una tale conoscenza e un tale know how per sviluppare prodotti e servizi finanziari che noi potremmo replicare solo con il lavoro di molti anni. Quello che però a loro manca è l’ultimo miglio. E qui entrano in gioco le startup, entra in gioco Oval Money.

Che cos’è l’ultimo miglio?

È un focus costante sull’interazione degli utenti, sul design thinking e su una metodologia agile per lo sviluppo del prodotto. Quello che gli istituti tradizionali cercano, infatti, sono soluzioni digital first che possano avvicinarli a un nuovo target di utenti che cerca esperienze di uso naturali sull’ultimo miglio come quelle che ormai è abituato ad avere in altri settori come il trasporto, l’hotellerie e in genere l’ecommerce.

Benedetta Arese Lucini, founder e CEO di Oval Money

Il rapporto fra banche e startup

E le banche adesso sono disposte a farsi accompagnare dalle startup in questo ultimo miglio?
Alcune scelgono di fare tutto in house, altre invece preferisco lavorare con le startup, che sono più agili e possono farsi portatrici quell’esperienza digitale che loro non hanno. In questo senso vanno comprese le potenzialità delle partnership: mettersi insieme porta valore a entrambi.

Che cosa può portare una startup come Oval Money a una banca?
Dietro la nostra piattaforma ci sono mesi e mesi di lavoro fatto per intercettare nuovi utenti o utenti insoddisfatti che cercano nuove esperienze d’uso. La Psd2 non cambia certo i prodotti, ma le esperienze di accesso e di uso dei prodotti.

Intesa è entrata nel capital di Oval Money con una quota di minoranza. Nel comunicato di annuncio dell’operazione si parlava di progressiva integrazione. Significa che Oval Money lavorerà solo con e per Intesa? 
No, integrazione non vuol dire lavorare esclusivamente con Intesa o con prodotti in white label. L’obiettivo è fare leva sulla forza dei prodotti Intesa e sulla rete Banca5 per potenziarli con la customer experience di Oval. Da questa parnership poi nascerà anche una nuova categoria di prodotti. Oval non ha mai voluto essere un nuovo prodotto. Resterà sempre una piattaforma per mettere in contatto persone con prodotti finanziari con l’obiettivo di risparmiare in modo consapevole. Siamo un marketplace e quindi proporremo prodotti diversi di diversi partner.

Il modello di business di Oval Money

Questa è la prima partnership di Oval Money?
Di queste dimensioni sì, parte dall’Italia ma non si limita all’Italia.

Oval Money dove può essere utilizzata?
Oval funziona in tutta l’eurozona e in Gran Bretagna. L’app però al momento opera in inglese e italiano. Il 95% dei clienti attualmente arrivano da Uk e Italia, il  5% da Francia. Possiamo però andare dove vogliamo all’interno dell’area euro.

Chi paga OvalMoney?
Per l’utente resterà sempre free. Il nostro ritorno proverrà dai prodotti finanziari che andremo a distribuire. Per regulation siamo un “delivery and trasmission of order”. Facciamo coordinamento di ordini fra i clienti e chi eroga il servizio finanziario.

A inizio anno Oval Money ha chiuso un’importante campagna di crowdfunding. Avete in programma un altro round di finanziamento?
Con l’ingresso di Intesa Sanpaolo abbiamo aperto di fatto un nuovo round che contiamo di chiudere entro l’anno.

Oval Money è nata e ha sede a Londra. Come pensate di affrontare la Brexit?
Noi siamo Brexit agnostic e crediamo che per le startup ci sarà una soft Brexit. Se non sarà più possibile e conveniente restare, ci sono già molti altri Paesi che stanno pensando a soluzioni per attrarre le startup, dall’Irlanda all’Olanda, dal Belgio al Lussemburgo e alla Francia, tutti pronti ad adottare un sistema di autorizzazioni simile a quello della Gran Bretagna.

 Open banking, manca uno standard

Come vedi l’Italia da Londra?
Beh, vedo che le uniche startup che nel 2018 stanno facendo ticket di investimento importanti sono le fintech. Il problema è che se vai a vedere dentro sono italiane solo per metà. MoneyFarm, Satispay, Soldo sono ormai inglesi per metà. I capitali per multimillion round ci sono ma le fintech poi non riescono a investire completamente sull’Italia e in Italia perché non c’è ancora un sistema che le aiuta, a partire dal quadro di autorizzazioni.

Non c’è ancora uno standard per l’open banking previsto dalla PSD2. Questo costituisce un freno al cambiamento?
Teoricamente ce ne sarebbe uno europeo, basato su quello tedesco. Ma la direttiva ha lasciato aperta questa questione. Non credo però che sia un problema, anzi.

Quindi lo vedi come un vantaggio?
Noi ci stiamo regolando come ISP (Identity Service Provider) ma stiamo lavorando anche con diversi provider, non vogliamo essere vincolati. Il fatto che non ci sia uno standardi crea poi barriere all’ingresso di nuovi player.

Molte banche stanno lavorando per creare proprie piattaforme…
Va bene che lo facciano le banche che hanno le risorse necessarie. Il problema è per i piccoli istituti di credito, che sono tanti, soprattutto in Italia dove con 36 banche copriamo meno del 60% del mercato. In Gran Bretagna con 30 abbiamo sistemato il 96%.  C’è ancora una frammentazione sul territorio pazzesca. A volte ci segnalano banche che non abbiamo mai sentito nomimare e così le aggiungiamo alla nostra piattaforma. In Inghilterra l’implementazione è molto più semplice perché il sistema è fatto da pochi grandi player. Anche in Germania ci sono moltissime banche, circa 1600, è stato creato uno standard prima della PSD2. L’integrazione così è più semplice perché sono uguali anche partire dal sistema di accesso. In Italia invece chi mette prima il nome e cognome, chi il numero del conto, chi la password. C’è da impazzire.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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