INNOVATION DETECTIVE

La grande banca con la regola dell’ippopotamo e la paura di perdere i clienti

La regola dell’ippopotamo dice questo: la persona più pagata dell’organizzazione (Highest Paid Person in the Organization – Hippo) ha un diritto di decidere sulle sorti dei suoi sottoposti e dei loro progetti. Certamente non aiuta l’innovazione. Soprattutto quando l’ippopotamo pensa che il problema sia dove non è…

Pubblicato il 10 Nov 2022

Fintech

Una grande banca è per molti versi simile ad un’organizzazione paramilitare. È una cosa positiva, per noi Innovation Detective: la catena di comando è chiara, i processi sono codificati fin nei minimi dettagli, esiste un responsabile per tutto e non si muove una foglia senza che qualcuno l’abbia deciso. Allo stesso tempo, e per le medesime ragioni, è un incubo, perché i progetti di innovazione vengono valutati con la regola dell’ippopotamo, e guai a chi lo contraddice.

La regola dell’ippopotamo dice questo: la persona più pagata dell’organizzazione, o del suo gruppo nell’organizzazione (Highest Paid Person in the Organization – Hippo) ha un diritto di decidere sulle sorti dei suoi sottoposti e dei loro progetti che è commisurato alla sua paga. Quindi, è massimo: se decide che un progetto si fa, o non si fa, e così e nessuno può obiettare.

Manco a dirlo, tra me e l’Ippopotamo di turno non scorre mai buon sangue. Ma il diritto marziale in questo caso aveva agito in modo imprevedibile, e per ragioni che ancora mi spiego solo parzialmente, lui aveva voluto me a capo dell’indagine. “Lo so che ci sono state delle tensioni in passato” – aveva scritto nell’email – “ma in questo caso sento di non potermi fidare di nessuno. È vero che i suoi metodi non mi sono mai piaciuti, ma credo nella sua integrità scientifica, ed è quello che mi serve in questa occasione”. ‘Tensione’ è ovviamente un eufemismo, e il ‘metodo’ che ha sempre spudoratamente (per me) calpestato è proprio quello a cui adesso pretendeva di aggrapparsi. Io dal canto mio mi sono sempre rifiutata di adattare i risultati delle mie indagini alle sue machiavelliche aspettative, e lui in tutta risposta ha tagliato drasticamente il budget per l’innovazione, creando di fatto una distanza siderale tra di noi.

Adesso invece mi aveva precettata, e mi aveva affiancato il dott. Boldi, un bancario non proprio di primo pelo, con l’abitudine fanciullesca di fare un sacco di domande e di non comprendere il momento di smettere. Proprio grazie a queste domande fatte a casaccio tra i colleghi, l’agente Boldi ha velocemente messo a fuoco la situazione. Quasi volesse togliermi il disturbo di incontrare la mia nemesi. Si diceva insomma che l’Ippopotamo fosse ossessionato in modo crescente da una minaccia terribile che nessuno – a suo dire – riusciva a disinnescare:

aveva capito che decisioni irreversibili della banca avrebbero portato a ridurre drasticamente il segmento centrale di suoi clienti. “Centrale” in tutti i sensi. Perché costituivano il grande cuore del suo mercato, perché producevano la maggioranza del suo fatturato, e perché soffrivano di quello che lui aveva cominciato a definire “la sindrome della palla al centro.”

Le possibili vittime della cosiddetta “sindrome della palla al centro” erano i Lower Personal, cioè piccoli investitori (50-100K), giusto sopra la soglia del cliente ‘Family’ tutto-casa-e-risparmio. Il fenomeno inarrestabile ed irreversibile era la riduzione del numero delle filiali della banca. A causa di questa riduzione, i Lower Personal rischiavano di trovarsi ‘orfani’ della propria filiale, e in sostanza smettere di farsi parte attiva nel mantenimento della relazione commerciale con la banca. Allo stesso tempo, a causa della dimensione relativamente piccola del volume investito, correvano un altro rischio: il fatto che il consulente loro assegnato li trascurasse (in favore di altri clienti, più abbienti), e li escludesse dalla “liturgia del tagliando” – una sorta di appuntamento fisso periodico in cui il consulente della banca fa il punto, di persona, coi propri clienti, sullo stato del portafoglio investito.

Orfani della filiale e trascurati dal proprio consulente, questi clienti si trovavano in una terra di mezzo, ad elevatissimo rischio di esodo verso altre banche. E questo esodo terrorizzava l’Ippopotamo.

Aveva avuto l’idea di lanciare un servizio di assistenza digitale agli investimenti, una sorta di Fin-Alexa, e tutta la sua corte di sottoposti insisteva a dire che fosse un’ottima idea. D’altra parte, era così che li aveva addestrati. Ma adesso il rischio era troppo alto e tutta questa accondiscendenza non lo tranquillizzava affatto, anzi. Era consapevole dei limiti di ‘commoditizzazione’ della relazione automatica tra cliente e consulente, e temeva che questa Fin-Alexa non contribuisse a portare alcun sollievo né alla banca né ai suoi palloni contesi. Sul serio non credeva più a nessuno, nemmeno a sé stesso!

“Va bene, mentre lei si occupa dei clienti io vado al terzo piano?”. Il terzo piano era dove si trovava il team di sviluppo software che lavorava già alacremente al progetto Fin-Alexa. “No, ovviamente” faccio io, “si comincia sempre dal mercato, parallelizzare attività a caso non aggiunge nessuna efficienza, crea solo confusione e rallentamenti!”. Tiro fuori una lista di Lower Personal nel tentativo di incanalare la curiosità dell’agente Boldi in modo produttivo per l’indagine: “Li vedi questi? Ora il tuo compito è farti raccontare l’ultima volta che hanno incontrato il loro consulente, se le cose sono cambiate prima e dopo la chiusura della loro filiale, e come… se hanno altri consulenti, se si stanno guardando attorno, se il loro piccolo capitale sta continuando a fruttare o sta risentendo di questi cambiamenti organizzativi…”. “OK OK OK! Ho capito!” mi interrompe lui, “ma che senso ha chiedere tutte queste cose se sappiamo già che il mercato sta soffrendo, perché è oggettivo che le filiali chiudano…”. “Non esistono ancora dati di questo esodo, sono solo induzioni da un fatto noto, sono timori, quasi ossessioni del tuo capo, e per quanto potrebbero sembrare fondate… tutte le ipotesi lo sono, ma esistono anche altri scenari possibili. Vai o no? Vai!”

E lui è andato, e ha spolpato scrupolosamente tutta la lista. “Capo, ma siamo sicuri che siano questi i ”palloni contesi“al centro del mercato?”. Insomma, si comportavano in modo strano, inatteso. Innanzitutto, avevano una gestione del patrimonio non speculativa, orientata alla conservazione del patrimonio. Quindi non si può dire che vivessero attaccati alla gonna del consulente finanziario, anzi. Se capitava che un po’ di liquidità si accumulasse sul conto, contattavano loro stessi il loro referente in banca, per decidere cosa fare.

“Il problema non è la chiusura della filiale, o almeno non direttamente. Il fatto è che il consulente assegnato loro cambia ogni volta, senza avvertimento, e ogni volta che chiamano parlano con persone diverse.

Ma, non è come sta pensando! Non sono scontenti della gestione patrimoniale, anzi dicono che da questo punto di vista un consulente vale l’altro. E non sono nemmeno scontenti dell’assenza di relazione con questo tizio che tutto sommato non deve diventare il loro migliore amico. Quindi, attenzione: non stanno facendo i bagagli, non minacciano di andarsene!”

“Perciò dove sta il problema? Esiste? Abbiamo delle vittime o no? Ci sono ferite?” incalzo io.

Ferite non ce n’erano di evidenti, e le preoccupazioni dell’Ippopotamo erano di fatto poco fondate. Ma il resoconto dell’agente Boldi conteneva un dettaglio che il mio naso mi ordinava di non trascurare. Così ho approfondito, ed è venuto fuori che il fatto fastidioso per il cliente non era il cambio di consulente in sé, ma il fatto che avveniva senza preavviso. Senza avvertirli. Questo, dal loro punto di vista, era una mancanza di rispetto, la dimostrazione che la relazione con la loro banca era in corso di logoramento, che la banca non li valorizzava in quanto individui.

L’introduzione di Fin-Alexa in questo contesto era un’ottima idea, perché avrebbe risparmiano almeno al cliente il fastidio di questo cambio continuo ed inaspettato di consulente: avrebbe insomma riportato un po’ di stabilità nel rapporto con la banca.

Ma una cosa è stata messa in chiaro con l’Ippopotamo: non c’era nessuna “sindrome” da palla al centro, era necessario cambiare ossessione. La palla semmai si trovava a bordo campo, lamentava l’assenza di centralità, e non sarebbe stata Alexa a ributtarla in mezzo.

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Irene Cassarino
Irene Cassarino

Irene Cassarino, ingegnera di formazione, PhD in Gestione dell’Innovazione, è CEO e fondatrice di The Doers, ora parte del gruppo Digital Magics. Ha dedicato tutta la sua vita professionale alla ricerca di nuovi mercati, lavorando con più di 200 startup e decine di grandi aziende italiane e internazionali.

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