OPEN INNOVATION

Marco Palmieri (Piquadro): «Cerco startup che portino contaminazione distruttiva»

Il fondatore dell‘azienda di valigeria spiega l’obiettivo di My Startup Funding Program, la call che si chiude il 31 ottobre. «Non vogliamo startup che risolvano problemi, ma che intercettino bisogni non ancora emersi. Per me questo significa innovare. Fra gli startupper oggi vedo troppa attenzione alla finanza»

Pubblicato il 19 Ott 2017

Marco Palmieri, presidente e amministratore delegato di Piquadro

Scade il prossimo 31 ottobre il termine per candidarsi a MyStartup Funding Program, la call4ideas lanciata da Piquadro, che punta a promuovere l’innovazione delle migliori idee di business nell’area tecnologica applicata all’industria della valigeria e della moda. Il concorso mette in palio 100mila euro, oltre a un periodo di accelerazione in Silicon Valley, e fa parte di un percorso di open innovation che l’azienda di Gaggio Montano porta avanti ormai da qualche anno.

Percorso che è stato ideato da Marco Palmieri, fondatore e amministratore delegato della società, con l’obiettivo di «combattere chi potrebbe mettere in crisi la mia azienda». Per questo cerca idee in un mercato, quello tecnologico, che sia in grado di proporre soluzioni di business adattabili al settore del fashion e del luggage. Anche se la visione di Palmieri non è strettamente legata a dinamiche di business. C’è di più. «Dalle startup che selezioneremo grazie a My Startup Funding Program – dice – mi aspetto una vera e propria contaminazione distruttiva. Che sia in grado di portare innovazione a partire da processi lontani dai nostri. È così, secondo me, che si mette in pratica il concetto di innovazione aperta».

Al momento le candidature per partecipare a My Startup Funding Program sono circa sessanta, ma potrebbero crescere – come spesso accade in questi casi – a ridosso del termine di scadenza (31 ottobre). Per la maggior parte si tratta di aziende italiane (80% circa), mentre il resto proviene da Spagna, Germania e Russia. «Quel che offriamo – continua Palmieri – non è solo sostegno finanziario (100mila euro in palio, ndr) ma anche supporto industriale e tutoring, oltre a mettere a disposizione delle startup la nostra capacità prototipale». A tutto ciò si aggiungerà inoltre un percorso di accelerazione di tre settimane in Silicon Valley.

Piquadro, 100mila euro (e un viaggio in Silicon Valley) per le startup del fashion tech

Ciò che ha in mente il fondatore di Piquadro non è soltanto intercettare aziende in grado di distinguersi all’interno del mercato in cui operano, ma andare alla ricerca di chi «sia capace di tirare fuori necessità che ancora non ci sono. Non vogliamo startup che risolvano problemi, ma che intercettino bisogni che non sono ancora emersi. Per Piquadro questo significa innovare».

Avendo vestito i panni dello startupper in passato, quando nel 1987 – a soli 22 anni – fondò la sua azienda, l’amministratore delegato di Piquadro non risparmia qualche “suggerimento” ai giovani imprenditori di oggi. «Quando ho iniziato a fare l’imprenditore, ero ossessionato da un pensiero: fare la borsa più bella del mondo. Non mi interessava diventare ricco. Mi ero impossessato di un’idea: realizzare un prodotto che riuscisse a fare la differenza. Oggi gli startupper sono troppo concentrati sulla capitalizzazione, pensano sempre al prossimo round di investimento e poco all’idea». In altre parole, seguendo il ragionamento, un imprenditore dovrebbe incarnare il giusto mix di lungimiranza e pragmatismo perché: «da una parte c’è l’innovazione, dall’altra il day by day. Lo startupper non è un mestiere, è un insieme di passione, competenze, messa a punto dell’idea che si sviluppano a lungo nel tempo. Oggi invece vedo troppa finanziarizzazione».

Centrale nel ragionamento di Palmieri è anche il tema delle competenze: «C’è grande voglia di innovare nelle nostre aziende – spiega – basta vedere i numeri del piano industria4.0, tuttavia mancano le competenze. Specialmente per quel che riguarda le soft skill. Le nostre università sfornano gente molto preparata in settori specifici, ma non sono ancora in grado di fornire quelle competenze trasversali di cui chi vuole fare impresa ha assoluto bisogno».

Anche il contesto, infine, non aiuta e l’Italia risulta ancora un Paese che fa fatica a innovare: «sebbene, per tradizione, noi italiani siamo sempre stati dei maestri di creatività, nel tempo il sistema si è irrigidito. La causa? Norme e politiche scellerate, che hanno portato alla crisi delle aziende, aumentando la percezione del rischio. E quando il rischio percepito è alto, gli investimenti calano. Scenari che vanno in controtendenza con l’innovazione tecnologica, che invece si basa proprio sull’assunzione di rischi».

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Fabrizio Marino
Fabrizio Marino

Sono stato responsabile della sezione Innovazione e Tecnologia de Linkiesta, ho gestito la comunicazione di Innogest, sono Content Creator per PoliHub. Per EconomyUp mi occupo di innovazione e startup.

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