Ivan Vigolo (Gruppo Acea): così facciamo innovazione pragmatica

Entrato nella multitutility in pieno lockdown per guidare la divisione IT e Innovazione, in questa sua prima intervista Ivan Vigolo racconta programmi e progetti. “Il fine è rendere pragmaticamente migliori servizi e processi. Sull’open innovation stringeremo il tunnel di selezione”. I risultati dell’innovazione interna

Pubblicato il 06 Ott 2020

Ivan Vigolo, Responsabile della funzione Technology & Solutions del Gruppo Acea

Pragmatica. Così deve essere l’innovazione per Ivan Vigolo, 48 anni, entrato nel Gruppo ACEA in pieno lockdown per guidare la divisione IT e Innovazione. La multiutility che opera nei settori acqua energia gas e ambiente, con un fatturato di oltre 3 miliardi e circa 9000 dipendenti, ha avviato da tempo un percorso di open innovation e di corporate entrepreneurship che sta già portando a nuove applicazioni e servizi ad alto contenuto tecnologico.

Ivan Vigolo arriva in Acea da un’importante esperienza nelle telco e un formativo passaggio in SIAE. In Infostrada-Wind ha seguito le operazioni e i progetti strategici. Nel 2016 va in SIAE dove, come responsabile dei sistemi informativi, guida la digitalizzazione dei processi in un mercato, quello di diritti d’autore, ancora molto fisico e scosso dalla competizione delle startup. Abbiamo incontrato Ivan Vigolo per farci raccontare la sua visione dell’innovazione in azienda e le linee di intervento che seguirà in ACEA. In questa sua prima intervista Ivan Vigolo esordisce con una battuta: “Sono bergamasco, alto 1.80 e peso 94 chili”.

Scusi Vigolo, che cosa c’entra con l’innovazione?
Io mi porto dietro, con le mie esperienze, due hard skill. Una è quella geografica: provengo da una zona che ha una forte tradizione di rapporto con il lavoro, caratterizzata dalla presenza di tante imprese radicate sul territorio. L’altra viene dal mio percorso professionale: ho lavorato in aziende dove il ROI era fondamentale, dove non si faceva nulla che non portasse valore.

Lei lavora da oltre due decenni nell’IT. L’innovazione non è solo tecnologia ma questa è un ingrediente essenziale. Che cosa è cambiato?
Il primo compito di chi fa innovazione tecnologica è fare scouting, prima di tutto di idee e poi di tecnologie. Beh, oggi la tecnologia è ben diversa e sono cambiate sia le esigenze delle aziende sia dei clienti. E soprattutto sono molto diversi i tempi. Sono molto più veloci. Quando il mio capo del marketing nel 2007 mi chiedeva qualcosa per fare social engagement, bisognava partire da zero. E serviva molto tempo. Oggi in quattro settimane fai un POC e in due mesi hai pronto il prodotto.

È cambiata anche la posizione dell’IT nei modelli organizzativi. Lei è Responsabile della funzione Technology & Solutions del Gruppo Acea. Nella sua divisione ci sono insieme IT e Innovazione. Questa associazione è inevitabile?
Faccio fatica a pensare, nel 2020, a una separazione fra IT e Innovazione, dovrebbe essere già stata superata da almeno 10 anni, sia per le evoluzioni del mercato sia delle tecnologie. IT non è più e non può più essere un fornitore interno ma è business partner. Se non fa capire quali sono gli use case che si possono applicare, o come è possibile migliorare un servizio o conquistare nuovi mercati vuol dire che è obsoleta.

Qual è l’obiettivo dell’innovazione in azienda secondo Ivan Vigolo?
Il fine è rendere pragmaticamente migliori servizi e processi. L’obiettivo non può essere l’innovazione per l’innovazione, l’innovazione fine a sé stessa. Non dico che sia una cosa sbagliata, ma non rientra nella nostra missione né nei nostri obiettivi.

D’accordo, niente innovation theatre. Ma come si fa in fase di scouting a sapere qual è l’innovazione o la tecnologia che può creare valore? Per innovare è inevitabile affrontare una quota di rischio. Se c’è da entrare in un progetto innovativo lo fate solo quando è maturo?
No, entriamo prima ma lo facciamo e la faremo sempre più pragmaticamente. Il tema è analizzare 3mila startup l’anno ma con gli occhi di chi pensa al business. È quindi determinante capire se dietro un progetto c’è qualcosa di interessante oppure no.

Ci fa un esempio di innovazione pragmatica?
Il lean procurement che abbiamo creato per poter lavorare con startup e giovani tech-company. Tutti ne parlano ma, quando poi vengono fatte le gare, queste si fermano ai modelli tradizionali che non prevedono e non permettono di avere un fornitore giovane e innovativo. Con l’ufficio acquisti abbiamo messo in campo, nel rispetto della normativa, un modello di procurement diverso, che consente anche alla startup in rapporto con noi di rendere reale l’innovazione. A inizio settembre, grazie a questo nuovo modello, JustBit si è aggiudicata la gara di Acea Ato 2 per le soluzioni di customer intelligence. E presto ci saranno altre gare aperte alle startup, altre opportunità per nuove imprese che così possono andare in produzione con un partner come Acea.

C’è grande fermento nel mondo delle multiutility. Quali saranno le linee guida del Gruppo Acea nelle attività di innovazione?
Le multiutility, e quindi anche Acea, hanno compreso la necessità di innovare e il cammino che c’è da fare. In Acea ci sarà una continuità pragmatica con quanto fatto finora.

Cominciamo dall’open innovation…
Spingeremo ancora di più sull’open innovation ma con un refresh: stringiamo il tunnel di selezione su temi di business più vicini a noi. Tutte le partnership sono confermate. Ci sarà solo un filtro più stretto nella valutazione dei progetti.

Acea ha svolto nel corso degli ultimi anni un’importante attività di innovazione interna con l’Innovation Garage. Che cosa cambia sul fronte della corporate entrepreneurship?
Crediamo fortemente allo sviluppo della cultura imprenditoriale interna come fattore abilitante del change management aziendale. Questo ha portato a progetti estremamente importanti. Per esempio, Waidy, l’app per avere informazioni sui “nasoni”, come si chiamano le fontanelle a Roma, con all’interno un sistema di gamification. Potrebbe sembrare un gadget ma in realtà nasconde un portale per l’accesso e la condivisione di informazioni sulle risorse idriche in una città, creando un framework per raccoglierle e gestirle.

Waidy sarà un’app utilizzata solo da ACEA?
No, abbiamo intenzione di mettere a disposizione di altri player questo strumento che infatti chiamiamo “open water platform”. Acea è attiva in Lazio, Toscana, Umbria e Campania. Se altri partner di altri territori vogliono salire a bordo, saranno i benvenuti.

Ci sarà una nuova call interna dell’Innovation Garage?
Direi di si ma quando ancora non lo sappiamo. Dobbiamo prima completare il lavoro con i progetti emersi dalla prima edizione. Certamente il Covid ha sparigliato i programmi. Stiamo pensando invece al progetto di un framework che spinga all’interno dell’azienda la cultura dell’IoT.

In quali ambiti si sviluppa l’attività  di innovazione in Acea?
Ci focalizziamo sulla messa a terra dei progetti innovativi per portare sul mercato i servizi a valore aggiunto, dalla mobilità elettrica e sostenibile alle energie alternative. Guardiamo con interesse anche a un impegno nel corporate venture capital.

Vigolo, come vede l’ecosistema italiano delle startup?
Il problema dell’ecosistema italiano delle startup non sono le startup. Hanno acceleratori economici e una pressione di mercato senza un equivalente supporto operativo. Non bastano i capitali, la finanza. Alle startup serve un concreto supporto manageriale. Noi manager dovremmo prenderci l’onere e l’onore di regalare alle startup competenze ed esperienze per aiutarle a crescere, altrimenti rischiamo di perdere talenti e tecnologie. Dare soldi è facile, regalare il tempo è più difficile.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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