Scenari economici

Tassi, ma davvero non è cambiato niente?

La decisione della Fed di non alzare il costo del denaro ci dice che l’attenzione della banca centrale americana si è spostata fortemente sull’economia mondiale e le sue difficoltà. mentre le preoccupazioni sull’economia interna sono limitate

Pubblicato il 18 Set 2015

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E dunque è successo: non è cambiato niente. Infatti i tassi sono rimasti dove erano. O forse è cambiato tutto? Per pensarla così basta immaginare che questa decisione ci dirà pure qualcosa su strategie, ragionamenti economici, apparato analitico di chi l’ha presa. O no?

In effetti, le domande sulla bocca di tutti sono due. La prima è: perchè l’hanno fatto? E la seconda: e adesso cosa succederà? Stanco (per così dire) di fare previsioni, oggi voglio provare a interpretare, cioè ad occuparmi della prima delle due domande.

Partirò da un dato di fatto, che è difficile da accettare ma un dato di fatto è: non tutti ci poniamo lo stesso problema allo stesso modo. E dunque diamo risposte diverse allo stesso problema. Bellissimo. Nel commentare il fatto, un giornalista mi chiedeva: tanto prima o poi bisognerà pure tornare alla normalità, che differenza fa avviare il processo del rialzo dei tassi adesso, o avviarlo a dicembre, o addirittura ad ottobre?

Ma durante l’intervista Il mio approccio era diverso. A me non veniva naturale pensare che prima o poi sarà necessario ‘tornare alla normalità’. Quale normalità? E se con la decisione di oggi la Fed avesse avallato una nuova normalità? Se avesse avallato il fatto che la politica monetaria non conta più tanto quanto contava? Se avesse dato ragione a Sdogati (presuntuoso) quando dice che lo stimolo alla crescita non viene (tanto) dai bassi tassi di interesse quanto dalla spesa pubblica? E che, di conseguenza, se i tassi bassi non stimolano la crescita, allora un rialzo dei tassi non controlla l’inflazione? La politica monetaria è impotente??

Proviamo a documentarci. Durante la sua conferenza stampa, la presidente Yellen ha detto cose importanti: ha detto che vede il tasso di disoccupazione in discesa sotto il 5%, un tasso di crescita del pil al 2,1%, un tasso di inflazione al 2% nel 2018. In breve ha detto: non ho nulla da fare, tutto sembra sotto controllo. Certo, la crescita non è rievocativa degli anni del boom, ma è sempre meglio di quella (pezzente) europea; il tasso di disoccupazione è la metà di quello europeo; l’inflazione è vicina alla deflazione, come quella europea. Nell’economia americana, non ha molto da fare, Janet Yellen.

Jeff Lacker, presidente della Fed di Richmond, chiede a gran voce un aumento dei tassi perché il mercato del lavoro si sta avvicinando alla piena occupazione, questo farà aumentare le richieste dei salariati e, di conseguenza, i prezzi. Ma il FOMC vota a gran maggioranza con la presidente: mozione respinta, non c’è bisogno di restringere. E poi, scrivevo il 10 settembre: “Calma. Chi ha mai visto un aumento del tasso di sconto da un valore prossimo allo zero da sette anni, dopo espansioni del bilancio della FED inimmaginabili fino a pochi anni fa, nel bel mezzo di espansioni monetarie colossali da parte di BCE e BoJ?” Tradotto: chissa che diavolo potremmo combinare adottando una politica di cui bene o male conosciamo gli effetti in tempi normali, ma non abbiamo idea di come potrebbe funzionare in tempi di tasso di sconto a zero in gran parte dei paesi a reddito pro capite alto?

Questa decisione di lasciare i tassi immutati è il classico piccione che prende due fave. La prima fava, appena descritta, consiste nel non disturbare l’economia interna, che va meglio assai di quella europea, per esempio. La seconda fava? L’economia internazionale. Sappiamo infatti, per averlo discusso su queste pagine, che un aumento del tasso di sconto Usa avrebbe potuto portare ad effetti fortemente negativi sui paesi emergenti, poichè il rimborso della porzione del loro debito denominata in dollari avrebbe potuto diventare assai costosa, con ciò inducendo situazioni di difficoltà gravi simil-Brasile e sud America in genere. Lo aveva chiesto il fondo monetario internazionale, lo avevano chiesto i governatori delle banche centrali dei paesi emergenti. Bene: lasciando tutto come era la Fed ha ‘passato la mano’ sull’economia interna Usa, ma ha affermato con grande chiarezza che intende, d’ora in poi, prendere in seria attenzione lo stato dell’economia mondiale -e dei paesi ad economia emergente in particolare.
Ma in fondo, mi si chiede, la fed ha fatto bene o ha fatto male? Mah, i concetti di bene e male sono concetti difficili. Quel che so, è ciò che scrivevo una settimana fa:

“E Lei, Sdogati, cosa farebbe?
Quello che son venuto predicando dal 2007: meglio che lo lascino immutato, e se proprio vogliono cambiarlo meglio poco che tanto. Perché il motore politico della crescita è in mano ai governi, non alle banche centrali.”

Mi fa piacere che la Fed la pensi allo stesso modo.

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