SOLUZIONI & APPLICAZIONI

Non esiste innovazione senza creatività, anche nel business

Nel libro “Creative Confidence” Tom e David Kelley, fondatori di IDEO e della d.school a Stanford, ricordano una verità lapalissiana. Ma non per i manager delle grandi aziende, che resistono quando si tratta di incoraggiare la creatività nella vita quotidiana dell’impresa

Pubblicato il 12 Lug 2017

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In questi giorni ho finito di leggere Creative Confidence dei fratelli Tom e David Kelley, fondatori di IDEO e della d.school a Stanford. È una lettura che chi si occupa di innovazione dovrebbe fare perché sottolinea una di quelle cose che risultano ovvie solo quando qualcuno le indica, ossia che non esiste innovazione senza creatività.

La creatività è l’uso dell’immaginazione per creare qualcosa di nuovo ed entra in gioco ogni volta che c’è l’opportunità di generare idee, soluzioni o approcci. Nel mondo degli affari, la creatività si manifesta come innovazione. Il corollario è lapalissiano: un’azienda innovativa deve necessariamente essere un’azienda in cui la creatività viene incoraggiata e premiata. Cosa che accade assai raramente, perché la maggior parte delle persone “serie” identifica la creatività con l’arte, il disegno, la scultura, la musica. Nel mondo degli affari, i creativi sono tipicamente i designer, i pubblicitari, gente che ha licenza di vestirsi in modo strano proprio per sottolineare la diversità dagli uomini in abito grigio e dalle donne in tailleur.

Ovviamente non è così: tutti possono imparare a maneggiare gli strumenti usati correntemente dai designer di esperienze e a esercitare il muscolo della creatività. La pratica ha mostrato chiaramente che le aziende che lo fanno, producono soluzioni più efficaci, migliorano la soddisfazione del cliente e, in definitiva, aumentano la propria competitività. I casi di studio sono innumerevoli, tanto che le tecniche del design thinking stanno diventano sempre più popolari anche nelle grandi aziende di consulenza.

Eppure, non è facile convincere i manager delle grandi aziende della necessità di incoraggiare la creatività e gli stessi autori dedicano diverse pagine alle storie di resistenza che incontra chi vuole introdurre il design thinking nella propria organizzazione.

Qualche suggerimento per portare la creatività in azienda

Non mancano alcuni suggerimenti. Il punto di partenza dipende da chi è il promotore dell’iniziativa e da quanto potere e budget ha. Spesso, gli evangelisti della mentalità del progettista sono persone in posizioni intermedie che devono comunque fare riferimento a un capo, che ha il potere di incoraggiarli o inibirli. In questo caso, la tattica più efficace sembra essere quella di procedere per piccoli passi inglobando alcune tecniche di design thinking nei processi esistenti. Oppure di fare il lavoro due volte: come i metodi e i risultati che si aspetta il capo e in modo alternativo; questo approccio da la possibilità di sottolineare la differenza di qualità nei due output e quindi di valorizzare il metodo con cui si è ottenuto il risultato migliore.

Se, invece, l’evangelista del design thinking ha potere e budget, probabilmente il modo migliore da cui partire è creare un innovation lab, ossia un luogo simbolico dove svolgere le attività di progettazione per tutta l’azienda. Di questo ho parlato in una serie di tre articoli che trovate qui:

  1. Il design thinking e il rischio dell’innovazione prêt-à-porter
  2. Design e innovazione, l’importanza di un luogo (simbolico) e di un team “misto”
  3. Design thinking, l’innovazione diffusa dalle “spintarelle”

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