Crisi & Crescita

Made in Italy: il digitale ci salverà?

In questo periodo difficile abbiamo un’opportunità: condividere lo sguardo votato al domani, che contraddistingue il web e chi ci lavora, con le piccole e medie imprese, che sostengono il concetto di “autenticamente” italiano e possono così trovare il modo di rilanciarsi

Pubblicato il 22 Lug 2013

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Franco Di Rosa è Chief Executive Officer di Dgt Media, ItalianBrandGroup

Le crisi possono essere anche opportunità di crescita, occasioni per reinventarsi, ripartire, a volte rinascere. In questo contesto, quale ruolo giocano le nuove tecnologie, in particolare i canali digitali: possono essere un elemento di accelerazione e stimolo al cambiamento?

Chi lavora nel digitale ha una certa predisposizione e attitudine all’innovazione, il suo quotidiano è un continuo confrontarsi con nuove applicazioni e canali, costantemente alla ricerca di nuove modalità di interazione. Una propulsione che nasce da una forma mentis necessaria, anzi direi imposta dalla professione. Il modo in cui si concepisce un brand e i suoi prodotti, le tecniche di comunicazione e relazione con i consumatori, l’ottimizzazione dei processi, la razionalizzazione dei costi e il miglioramento delle prestazioni sono solo alcuni degli obiettivi di chi opera in questo ambito.

È proprio in periodi come questo che si fa più marcata la necessità di trasferire parte di questo modo di pensare anche negli spazi apparentemente meno interessati: nel caso del nostro Paese, tutto l’indotto legato al concetto di autenticamente italiano, segmenti di mercato che a una prima lettura si legano a forme “analogiche” di produzione e comunicazione.

Cos’è, oggi, il “Made in Italy”? Dalla grande casa di moda alla piccola bottega artigiana locale, rientrano nella categoria tutte quelle aziende parte di una filiera produttiva che si riconosce e si distingue per creatività, eleganza, stile e cura del dettaglio, un insieme di valori non replicabili altrove, frutto di una cultura e di una sensibilità unica al mondo.

Il web è oggi uno strumento che può innescare questa simbolica detonazione. E non solo per aziende con grandi budget a disposizione, ma anche per PMI che sentono la pressione di una morsa economica difficilmente sostenibile, e cercano spazi nuovi per rilanciarsi.

In questo, l’osservazione dei dati riportati dall’European Digital Behaviour Study sul rapporto fra consumatori e eCommerce è sicuramente interessante: anche in un paese poco digitalizzato come l’Italia, ad esempio:

In Italia a fronte di quasi nove utenti su dieci (89%) che si informano online su prodotti e brand, la percentuale di utenti Internet che acquista online si ferma al 34%. Il dato, seppur basso rispetto agli altri paesi, ha potenziale di crescita: l’8% dei non-shopper italiani si dichiara pronto per acquistare online nei prossimi 12 mesi; a questo si aggiunga il circolo virtuoso per cui chi già acquistava nell’ultimo anno lo ha fatto più spesso e con maggior varietà.” (L’E-Commerce Report – European Digital Behaviour Study 2013, Netcomm /ContactLab)

Diverso il discorso negli altri paesi europei, dove il commercio elettronico si ritaglia sempre più fette di mercato. Abbigliamento, tecnologia e trasporti i settori che oggi approfittano più dell’ecommerce e dell’intervento digitale: ma quanto si può fare, soprattutto in tutto ciò che è veramente “Made in Italy”?

Pensiamo ad esempio al settore del food, o del manifatturiero: micro realtà che attendono solo di essere scoperte, di emergere in una forma che possa essere sostenibile, che ottimizzi le risorse umane ed economiche, valorizzi i prodotti.

Storie come quelle raccolte da wwworkers.it sono esempi di quanto vi siano margini di crescita anche là dove apparentemente il digitale potrebbe essere interpretato come un surplus inutile: il settore primario. Vendere on line i prodotti della terra: un azzardo? No: forse solo un’occasione in più per crescere.

Mi è capitato di leggere on line alcune storie raccolte dall’Espresso qualche anno fa di marchi locali che si sono salvati grazie all’introduzione della propria normale attività di un elemento digitale. Ho controllato: i loro siti sono ancora lì, a testimonianza che quel trend di rilancio non si è fermato, anzi. Ne citerò una: la Caffè Carbonelli che ha saputo veramente trasferire una capacità unica, un knowhow, da una dimensione prettamente locale a una di respiro globale: un’idea di business che si è rivelata salvifica, prima che remunerativa: per questo, ancor più preziosa.

Ecco: credo che se vogliamo trovare un’occasione in questo periodo, forse è necessario provare prima di tutto a condividere questo sguardo votato al domani che contraddistingue il web e chi ci lavora: unito alla nostra peculiarità dell’essere autenticamente italiani, potrebbe essere un’occasione di rilancio non indifferente.

Franco Di Rosa è Chief Executive Officer di Dgt Media, ItalianBrandGroup

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