Per effetto delle concentrazioni e per la necessità di innovare le catene del valore diventano sempre più complessa. Una ricerca su 30 imprese dimostra che quelle più attente o maniache nella razionalizzazione hanno migliori risultati economici a parità di settore. E generano vantaggi anche per la catena dei fornitori
In molti settori economici le aziende stanno subendo un fenomeno progressivo ed inarrestabile di concentrazione. In quelli più maturi, per creare economie di scala e ridurre così i costi. In quelli più innovativi, per mettere a fattor comune le capacità innovative e gli investimenti in ricerca e sviluppo. Prendiamo ad esempio il settore automotive: molte delle aziende italiane e straniere i cui modelli circolavano comunemente sulle nostre strade qualche decennio fa sono state acquisite e sono progressivamente scomparse. Certo i meno giovani ricorderanno ad esempio le Autobianchi, le Innocenti, le NSU, le Simca, le Morris….
Questo fenomeno di accorpamento “orizzontale”, trova però un contraltare nella progressiva frammentazione “verticale” dei processi produttivi lungo la catena del valore, fenomeno meno visibile poichè tocca soprattutto gli stadi a monte della filiera, ma altrettanto continuo ed ineluttabile. Mano mano che i grandi produttori si concentrano sui propri compiti critici, lasciano a fornitori di primo livello quasi tutte le fasi di fabbricazione dei componenti ed ampie parti del processo di assemblaggio, un tempo svolte direttamente. In questo modo, l’assemblaggio finale della vettura avviene montando tra loro moduli funzionali complessi già assemblati in precedenza dai fornitori di primo livello, a partire da componenti prodotti da fornitori di secondo livello, che a loro volta si possono avvalere di fornitori di terzo livello per i semilavorati, e via fornendo…
LA COMPLESSITÀ DELLA CATENA DEL VALORE
Il fenomeno della deverticalizzazione, combinandosi con la globalizzazione delle reti di fornitura e di produzione, oltre che dei mercati di vendita, ha
prodotto catene del valore planetarie, capaci di produrre con costi molto bassi, ma estremamente lunghe e complesse. Purtroppo, a sua volta, la complessità della catena del valore può introdurre imprevisti ed attività di controllo di tali entità da più che annullare i vantaggi economici acquisiti.
COME INVESTIRE IN SEMPLICITÀ
Diventa, a questo punto, essenziale investire in semplicità. Ma come? Esistono due strade maestre:
1. la più diretta è ridisegnare la propria catena del valoreeliminando la complessità inutileche non crea valore
2. e se questo non fosse possibile, c’è sempre l’opzione indiretta, dotarsi cioè di strumenti adatti per ridurre gli effetti negativi della complessità.
COME SI DEFINISCE LA COMPLESSITÀ
Ma come si definisce e come si misura la complessità di una catena del valore? Essa è la combinazione di tre aspetti, tra di loro indipendenti ma fortemente interconnessi.
1) La varietà degli oggetti di business di cui la filiera si compone. Ogni entità rilevante all’interno di una catena del valore è un oggetto di business: un prodotto, un componente, un cliente, un fornitore, uno stabilimento, un magazzino, etc. In sintesi: ogni volta che non controllo adeguatamente il proliferare del numero di uno qualsiasi di questi “business objects”, permetto che aumenti la varietà del mio sistema e quindi la sua complessità.
Per il teorema di Pareto, non tutti i clienti o i prodotti mi possono dare il medesimo fatturato: così mettere sul mercato una gamma prodotti più ampia non è garanzia di aumentare i volumi. E dall’altra parte ripartire il medesimo volume di produzione su più prodotti vuole dire minore ripetibilità, minori economie di scala, minore automazione, …
2) Le interconnessioni tra gli oggetti di businessdi cui si compone la filiera. Se realizzo 100 prodotti finiti in 10 stabilimenti, ed ho focalizzato ciascuno stabilimento per produrre autonomamente 10 di questi prodotti è un conto: ogni fabbrica lavora in maniera indipendente dalle altre. Se invece ciascuno dei 10 stabilimenti può produrre in parallelo agli altri ognuno dei 100 articoli, dovrò allocare ogni ordine cliente su uno specifico stabilimento, bilanciare i carichi di lavoro, alimentare tutti i componenti a tutti gli stabilimenti, mantenere allineati i metodi e le tecnologie di produzione,… e la soluzione del problema si complica. E se avrò dedicato 5 stabilimenti a produrre ciascuno l’intera gamma dei componenti necessari e gli altri 5 ad assemblare tutti e 100 i prodotti finiti, dovrò gestire anche le relazioni di fornitura ed avrò ancora aumentato il numero di relazioni da gestire, e quindi la complessità del sistema.
3) La dinamicità della catena del valore, ossia la rapidità con cui nel tempo cambiano gli oggetti di business che la costituiscono, oppure le relazioni che li legano e li fanno interagire tra di loro. Esistono contesti estremamente dinamici per sviluppo tecnologico, altri che evolvono sulla base del design, altri ancora in cui le normative o gli stili di vita dei clienti determinano rapidi cambiamenti ed infine altre catene del valore che evolvono aprendosi a nuovi mercati geografici. Ed esistono anche settori con lunghi periodi di stabilità in cui nulla o quasi cambia nel tempo.
GESTIRE LA COMPLESSITÀ HA EFFETTI ECONOMICI
Sappiamo però che per il secondo teorema della termodinamica i sistemi non presidiati tendono inesorabilmente al disordine… E pertanto è logico pensare che se il management applica maggiore attenzione nel contenimento della complessità, o quanto meno nella riduzione dei suoi effetti, dovrebbe derivarne un effetto percepibile anche a livello di economics generali delle imprese.
Partendo da questo assunto concettuale, è stata condotta una ricerca su una trentina di aziende produttrici di beni durevoli di consumo o di loro fornitori di primo livello, tutte appartenenti al medesimo comparto. Sulla base di studi di caso approfonditi, condotti nelle aziende partecipanti alla ricerca, esse sono state catalogate in 3 gruppi distinti.
AZIENDE PIGRE, ATTENTE E MANIACHE
– le aziende pigre, ossia quelle che avevano applicato qualche azione specificamente volta a ridurre la complessità della filiera oppure i suoi effetti, lavorando però disorganicamente a “macchia di leopardo” in aree aziendali o processi diversi. Una di queste aziende ad esempio ha standardizzato qualche famiglia merceologica di componenti; ha standardizzato il tipo di confezioni primarie impiegate per i componenti e per i prodotti finiti; ed ha introdotto uno schedulatore di produzione supportato da un sistema efficace di Manufacturing Execution (MES).
– Le aziende attente, che avevano applicato grosso modo il medesimo numero di azioni rispetto alle aziende pigre, ma a differenza da loro avevano agito in maniera focalizzata su uno specifico processo, attaccando a fondo la complessità sviluppata in quel processo, ed al tempo stesso cercando di ridurne gli effetti. Ad esempio, un’azienda attenta ha applicato al proprio processo di sviluppo prodotto in maniera sistematica i concetti della modularizzazione della gamma, di standardizzazione e riutilizzo della componentistica. Sulla base di tali azioni ha potuto sviluppare il codesign con i fornitori chiave e ridisegnare il processo di sviluppo prodotto da sequenziale a concurrent.
– le aziende maniache, cioè le poche che sono state in grado di agire con l’approccio delle aziende attente, ma non limitandosi ad un solo processo, anzi contagiandone tutti i principali processi di business aziendali. Ad esempio un’azienda maniaca, dopo avere applicato al proprio processo di sviluppo prodotto un’azione simile a quella sopra descritta, ha razionalizzato i processi di fornitura riducendo fortemente la numerosità del parco fornitori ed instaurando con i pochi fornitori di primo livello relazioni di partnership. In parallelo, ha sfruttato la modularità dei prodotti per ridisegnare il sistema di produzione da reparti a linee.
CHI SEMPLIFICA FATTURA DI PIÙ
I risultati raccolti hanno effettivamente evidenziato come le aziende maniache siano in grado di raggiungere, a pari settore industriale con le altre, risultati di crescita del fatturato e di profitto rapportato al fatturato decisamente superiori, come illustrato dalla figura. Questo risultato così nitido evidenzia quindi alcuni messaggi in maniera molto chiara:
la lotta alla complessità ed ai suoi effetti negativi effettivamente ha il potere di migliorare in maniera molto chiara le prestazioni aziendali, ma solo se applicata con un progetto preciso, organico ed olistico, capace di contaminare tutte le aree ed i processi chiave dell’azienda
poichè il campione d’imprese esaminato descrive una catena del valore, comprendendo sia produttori di un bene finito, sia i fornitori ai vari livelli a monte, viene evidenziato come questo effetto benefico più ancora che applicarsi a singole aziende riesce a migliorare radicalmente le prestazioni di intere supply chain
il miglioramento ottenuto non è pertinente solo all’area dell’efficienza (minori costi) oppure dell’efficacia (maggiori ricavi) ma riesce a comprendere contemporaneamente entrambi questi effetti, garantendo alle aziende maniache dei veri e propri superpoteri nella capacità di generare profitti.
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Marco Perona
Professore Ordinario di Logistica Industriale presso l’Università degli Studi di Brescia, è direttore scientifico del Laboratorio Research and Innovation for Smart Enterprises (RISE) e del Centro di Competenza sull’Innovazione Gestionale e Lean Management.
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