L'INTERVENTO

La nuova vita delle marche dopo il digitale: che cosa è cambiato

La trasformazione digitale ha cambiato anche il modo di creare e gestire le marche. Diventano centrali le «user experience» rese possibili dalla tecnologia. E dal concetto di share of voice si passa a quello di share of time. Le marche sono sempre più come persone che devono mostrare il meglio di sé.

Pubblicato il 27 Feb 2020

Coca Cola Freestyle

Come è cambiata la vita delle marche nel mondo post digital? Che cosa significa fare branding? A questa domande risponde il nuovo libro di Giuseppe Mayer, managing partner di Antifragile, che viene pubblicato da Egea: “Branding by design. Gli otto caratteri della marca post digitale”. La rivoluzione digitale ha trasformato le modalità di creazione e gestione di un brand: i marchi sono diventati come persone, dice Mayer. Che ha sintetizzato per EconomyUp la trasformazione digitale del branding.  

Che cosa sta succedendo nel mondo delle marche? Disney lancia, anche in Italia, il suo servizio di streaming Disney+ per competere con Netflix. Coca-Cola rende i suoi prodotti ancora più personali grazie agli erogatori freestyle nei Cinema e nei centri commerciali. Nike si trasforma in una azienda tecnologica e direct-to-consumer.

Tutti e tre questi brand stanno dunque investendo ingenti risorse per trasformare la propria offerta ed evolvere il proprio posizionamento. Perché?

Stiamo parlando di marchi storici che hanno saputo prosperare nell’epoca dei mass-media puntando a ridurre il livello d’incertezza dei consumatori e differenziando la propria offerta da quella dei competitor in un quadro economico e sociale relativamente stabile. I consumatori avevano, allora come oggi, bisogno di semplificare il proprio processo decisionale e di riconoscere, attraverso un sistema di segni e un linguaggio riconoscibile, le alternative presenti in un mercato progressivamente più aperto e articolato.

La copertina del libro di Giuseppe Mayer

Marche e digitale: il costo contatto e la tracciabilità

La crescente affermazione, nel corso delle ultime due decadi, dei canali digitali è stata vista inizialmente dalle imprese come un’opportunità per rendere queste attività di branding più economiche (riducendo il costo contatto) e tracciabili (su internet, si diceva, tutto è misurabile), senza modificare il modello di generazione del valore o le pratiche consolidate di interazione con i clienti finali.

Marche e digitale: l’open innovation dei brand

Negli ultimi tempi però è diventato difficile riuscire ad utilizzare questo modello per prevedere i ritorni delle attività di branding. Al tempo stesso, un ristretto numero di brand si è evoluto mostrando come, proprio tramite il digitale, sia possibile costruire una marca in modo diverso, aprendosi ai contributi di coloro che stanno all’esterno, per imparare ad adattarsi alle specifiche richieste di specifici target, avendo altresì l’obiettivo di diventare antifragili, ovvero di migliorare ogni volta che il brand viene sottoposto a qualunque tipo di pressione o di fronte a ogni esigenza di cambiamento.

Brand, che cosa è cambiato con il digitale?

In passato abbiamo imparato a costruire brand sulla base delle abitudini di fruizione media dei nostri consumatori; per raggiungere una audience significativa prima del digitale era infatti necessario puntare sullo sviluppo di annunci per la stampa o spot per la radio e la TV. Leggere, ascoltare, guardare hanno rappresentato per decenni il paradigma del branding e il contenuto dominante di questo paradigma è stato lo storytelling attraverso il quale la narrativa delle marche viene spinta verso l’audience di riferimento puntando su intrattenimento e impatto con l’obiettivo di generare fiducia ed orientare le scelte del pubblico. A determinare l’efficacia di una campagna in questo modello è lo «share of voice» ovvero la copertura del nostro messaggio rispetto a quello dei nostri concorrenti; alle persone è quindi riservato il solo ruolo di spettatori e consumatori.

Marche e digitale: la centralità delle user experience

Oggi non è più pensabile costruire una marca attraverso le abitudini di fruizione media perché queste con il digitale sono profondamente cambiate. Diventa così centrale considerare invece le cosiddette «user experience» che sono rese possibili da nuove abitudini di fruizione della tecnologia e dagli strumenti che la sua evoluzione ci mette a disposizione. Continueremo certo a leggere, ascoltare e guardare, ma a queste attività si aggiungono una moltitudine di interazioni rese possibili da smartphone, smartTV, smartwatch, smartspeaker ecc che rappresentano la nostra nuova normalità.

Dallo share of voice allo share of time

È attraverso questi strumenti che ci informiamo, comunichiamo e acquistiamo; per un brand abbracciare questo nuovo paradigma significa puntare non più solo sullo «share of voice» ma piuttosto integrare questo con lo «share of time» ovvero la capacità di coinvolgere le persone quando per loro è più importante anche al di fuori del momento d’acquisto.

Costruire una marca di successo in un mondo post digitale significa allora riuscire ad allineare e rendere coerenti storytelling e user experience, messaggio e strumenti abilitanti, credo e comportamenti reali e concreti capaci di incidere sulla vita delle persone.

Il digitale ha reso insomma il marchio di una azienda o di un servizio simile ad una persona per caratteristiche, ruolo e connessioni nella nostra vita di ogni giorno. Fare branding in questo nuovo mondo significa allora trovare il meglio di quella persona.

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Giuseppe Mayer
Giuseppe Mayer

Giuseppe Mayer si occupa di brand strategy e digital marketing da più di vent’anni. Founder della società di consulenza Antifragile, ha ricoperto diversi ruoli in multinazionali del settore della comunicazione tra cui il Gruppo Armando Testa, Grey/ WPP, Ambito5/Publicis e Isobar/Dentsu.

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