TECNOLOGIA SOLIDALE

La formula dell’unicità per la vera inclusione in azienda



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È possibile un modo nuovo di affrontare diversità e inclusione nelle aziende. Lo racconta Daniele Regolo nel libro “La formula dell’unicità”, che raccoglie anni di esperienza con cui ha dimostrato che la tecnologia può aiutare l’integrazione. Dipende solo da noi

Pubblicato il 10 mag 2024

Antonio Palmieri

Fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido



Foto Tecnologia SOldiale

Sono i giorni del Salone del libro di Torino. Il libro è per definizione il “luogo” in cui il pensiero diventa solido. A volte, quando diventa troppo solido, si trasforma in un mattone…ma questo non è il caso del tuo libro “La formula dell’unicità. Un nuovo percorso verso l’inclusione”, che presenti a Torino lunedì 13, alle 10.30, in Sala Campania, vero Daniele Regolo?
“Spero proprio che il mio libro non sia un mattone, ma un mattoncino per costruire un nuovo “edificio” vale a dire un nuovo modo di affrontare la diversità e l’inclusione in azienda. Del resto io non sono uno scrittore di professione…”

E allora come si spiega questo tuo libro?
“Questo saggio narrativo nasce dopo oltre dieci anni di visite in aziende per affrontare temi legati alla disabilità e alla diversity & inclusion. Scriverlo, è stato un processo quasi inaspettato ma – questo desidero sottolinearlo – intellettualmente onesto. Non ho messo nero su bianco parole per “diventare famoso” ma per condividere dei temi oggi veramente strategici, che rischiano di appassire rapidamente sotto la minaccia della loro stessa inflazione.”

Tu sei un testimone, non semplicemente uno che scrive di questi temi. Per chi non ti conoscesse, ricordo che sei imprenditore, manager, velista, papà, ma sei una persona con una grave sordità. Nel 2011 hai fondato Jobmetoo (piattaforma online e agenzia per il lavoro autorizzata dal Ministero del Lavoro, focalizzata sulla ricerca di lavoro per le persone con disabilità) e da allora hai accumulato una grande esperienza nei temi dell’inclusione specie a partire dal 2020, quando la tua startup è stata acquisita dal Gruppo Openjobmetis, di cui sei oggi sei D&I Ambassador.
“Come hai scritto in un post di Tecnologia solidale nel marzo 2015, mi sono ribellato all’idea che una persona nella mia situazione, laureato, fosse ritenuto idoneo solo per un certo tipo di mansioni. Io non sono definito dalla mia sordità. Sono una persona unica al mondo, come te e come chi ci sta leggendo ora”

Tu hai trovato nella tecnologia, nel digitale, uno strumento per fare vera integrazione…
“La tecnologia, come tutte le produzioni culturali dell’essere umano, è uno strumento. Con Jobmetoo abbiamo messo insieme in modo mirato ed efficiente le aziende che cercavano lavoratori con disabilità e le persone con disabilità che cercavano lavoro. Lo facciamo con un accurato lavoro individualizzato, grazie alla tecnologia e a esperti specifici: ogni disabilità e ogni livello di professionalità sono orientati verso la posizione lavorativa più adatta, attraverso accurati filtri di ricerca e tramite la possibilità di inserire annunci di lavoro visibili solo ai candidati compatibili. Oggi, dopo l’ingresso in Openjobmetis, la nostra offerta si è allargata a tutti i temi di diversità e inclusione”

Daniele Regolo

Questa è tecnologia solidale in azione. Oggi l’evoluzione tecnologica e una crescente consapevolezza rendono possibili collocazioni lavorative solo qualche anno fa inimmaginabili…
“Un’app ben progettata mi consente di capire dove partirà il mio treno, visto che non posso capire i messaggi verbali; un’app mi può permettere di insultare e ferire un altro essere umano per aspetti legati al suo corpo. Siamo noi, e soltanto noi, a dover governare il progresso tecnologico. L’intelligenza artificiale oggi spaventa, ma se noi siamo saldi al timone, ci aprirà nuovi spazi di vera integrazione”

Purché sappiamo accettare l’importanza del limite. Il boom dell’intelligenza artificiale generativa sembra rilanciare l’idea di una società dove la tecnologia (e una certa cultura che l’accompagna) superi il concetto di limite, come se l’essere umano avesse un potere illimitato, fosse sulla via per diventare l’homo deus di cui parla nel suo celebre libro Yuval Noah Harari…

“Il limite, per me che vivo con un limite sensoriale (disabilità uditiva profonda) è qualcosa che mi ha sempre interessato. Tutti tendiamo a vederlo come un confine angusto: io credo vada reinterpretato secondo una visione più ampia e profonda. Il limite è il segno che indica il nostro posizionamento nel mondo. È solo a partire da questo posizionamento che noi possiamo veramente crescere, evolvere. Se ci dotiamo di questa visione, la prospettiva intera cambia radicalmente. Il super(amento)-umano è indice di un paradigma fiacco, perché parte dal limite inteso come handicap…”

Quindi non dobbiamo diventare illimitati…
“Noi non dobbiamo assolutamente diventare illimitati, dobbiamo evolvere: sono due concetti molto diversi tra loro. La stessa parola “talento”, del tutto abusata nelle risorse umane, è diseducativa: non siamo tutti talenti. Ciascuno, questo sì, ha il proprio. Che va scoperto e coltivato.”

A tal proposito, nel tuo libro scrivi che “la diversità, prima di tutto, è qualcosa che dobbiamo lavorare dentro di noi singolarmente ma anche collettivamente.”. Che significa esattamente?
“La diversità umana, di cui oggi parliamo rischiando paradossalmente di esagerarne il volume, è un fatto che ci caratterizza da sempre. Dobbiamo riprendere il significato profondo di “diversità” perché solo a partire da questo aspetto potremo realizzare azioni veramente inclusive. La diversità oggi può spaventarci, ma “lei”, la diversità, è sempre la stessa: siamo noi che siamo cambiati. Forse involuti?”

A proposito di involuzione. Il politicamente corretto in molti casi travalica i confini del ragionevole in nome di una esasperata ricerca della diversità. Quali sono i confini?
“Nella vita siamo chiamati a fare cose difficili. Essere politicamente corretti è facile, facilissimo. Purtroppo è anche sbagliato e ci porta presto fuori strada. Essere corretti è molto più difficile, perché ogni volta significa ricominciare da zero, considerare ogni persona che incontriamo come la più importante (non a caso il mio libro è dedicato al mio prossimo, chiunque esso sia) e solo nella faticosa costruzione di una relazione equilibrata saremo certi di non sbagliare azioni, linguaggio, intenti. Se siamo corretti, saremo anche inclusivi”

La tua definizione di inclusione è…
“L’incessante processo di rimozione delle barriere che ci circondano, siano esse fisiche o culturali, quale che sia la nostra specifica condizione di esseri umani”

Perché l’equità è cosa da non confondere con l’uguaglianza…
“Parto da lontano: rispetto a cosa dobbiamo essere uguali visto che siamo tutti diversi? Dovremmo esserlo nella possibilità di partecipare liberamente – come piace definirlo a me – al “gioco del mondo”. L’equità serve proprio, attraverso azioni e misure spesso disuguali, a rendere possibile questa eguaglianza: in azienda come nella società civile.”

Per questo il tuo libro parla di impresa ma va oltre…quale pubblico hai immaginato, scrivendolo?
“Ho pensato alle persone che, a qualsiasi titolo, vivono la dimensione aziendale. Poi, essendo le aziende fatte di persone, è ovvio che molti temi toccati escano dai confini dell’impresa per andare a lambire tutti gli altri aspetti della nostra vita economica e civile. Le aziende sono fatte di persone; e le persone (quale che sia il loro ruolo) fanno le aziende.”

Ultima. Come e perché l’impresa ha “l’onore di migliorare il mondo”?
“Sono proprio io a dirlo che, dopo anni in attesa di un impiego attraverso il Collocamento mirato, ho compreso la complessità della realtà: le aziende non sono insensibili perché tali. Ma quale sciocchezza! Le aziende sono fatte di persone e quindi le persone possono essere artefici del miglioramento del mondo proprio facendo business, perseguendo il profitto ma di pari passo vivendo in modo armonioso, rispettando le peculiarità di ognuno e mettendo al centro l’impatto sociale ed ambientale”

Per fare questo servono leadership “contemporanee”, che capiscano che il mondo e quindi anche il mondo del lavoro è cambiato…
“È così. Per questo motivo ho sottoscritto il Manifesto della “Leadership che serve” che avete lanciato con la Fondazione Pensiero Solido e vedo con piacere il percorso di riflessione su intelligenza artificiale e lavoro che iniziate lunedì 13 maggio a Milano. Abbiamo bisogno di capire il cambiamento necessario…”

…portando ciascuno il proprio mattoncino, come fai attraverso il tuo libro, che non è un mattone ma un segno di incoraggiamento per chi opera per costruire una realtà sempre più a misura d’essere umano, dentro e fuori la tecnologia… Grazie, Daniele.

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