OPEN WORLD

Il caso Oval e il fallimento del co-founder di Twitch: 5 lezioni

L’incapacità di concepire ed accettare il fallimento è la principale ragione per cui le aziende non mettono a terra l’open innovation. Mentre in Italia si discute della fine di Oval, negli USA Justin Kan, dopo il successo di Twitch, ha annunciato il fallimento di Atrium. E ne ha spiegato le ragioni. Eccole

Pubblicato il 01 Giu 2021

Justin Kan, co-founder di Twitch

Questo mese la placida tranquillità dell’ecosistema italiano è stata scossa dalla notizia di Oval. Exit o shutdown? Successo o fallimento? Come spesso succede in questi casi si sono formate due fazioni che hanno cominciato a discutere rumorosamente. Senza trovare una quadra perchè … il successo, al pari del fallimento, non esiste. Entrambi sono degli “stati”, dei momenti che, nella vita di ognuno (persona o azienda), si alternano. Ciò vale anche per le startup con la differenza che, essendo per DNA esposte ad una fortissima volatilità di risultati, vedono amplificati i propri alti e bassi.

Sul tema ci viene – a sua insaputa – in soccorso da oltreoceano Justin Kan, co-founder di Twitch (venduta per 970 milioni). Settimana scorsa Justin ha fatto coming out annunciando il fallimento di Atrium, la sua ultima avventura imprenditoriale. Chiusa dopo aver raccolto 75 milioni di dollari (con Andreessen Horowitz tra gli investitori).

Le ragioni del fallimento secondo Justin Kan, co-founder di Twitch

Kan, in modo quasi irrituale in un mondo ove si tende a raccontare solo la parte di successo (o presunto tale) delle storie, ha spiegato con brutale trasparenza le ragioni del suo fallimento con un lungo twitter thread.

Perché, mi chiederete, in una rubrica di Open Innovation rivolta alle aziende, parlare di fallimento? Perché l’incapacità di concepire ed accettare il fallimento è la principale ragione per cui le aziende non mettono a terra l’open innovation. Quindi un ottimo esercizio anche per loro.

Di seguito ho riassunto i 5 principali spunti che emergono dall’esperienza di Justin Kan.

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1. Avere avuto successo prima aiuta immensamente nel funding ma non è una garanzia

With my name at the helm, everyone was running to us with offers”, spiega Justin che racconta di avere raccolto un series A 10 milioni di dollari con un’idea e un deck di 10 slides. D’altronde, dopo avere fatto una exit da quasi un miliardo di dollari (e fatto il partner a YC) la strada è decisamente in discesa. Questo vale ovunque, ma in particolare in Silicon Valley ove il track record dell’imprenditore pesa non poco nell’accesso ai finanziamenti. Corollario. Per chi non ha tale pedigree o viene da fuori dal circuito di Stanford e Berkeley è tutto molto più difficile. Scordatevi di raccogliere un solo dollaro in Silicon Valley senza un solido e provato progetto alle spalle.

2. Product matters

Il prodotto conta tantissimo. “We simply hadn’t spent enough time to figure out our product“, ammette Kan. Segnalando di avere privilegiato la crescita (“growth over product”). Con il problema che, senza un prodotto solido, è quasi impossibile tenere i clienti acquisiti.

3. La visione di mercato

Justin nella sua analisi retrospettiva ammette come non fosse chiaro a chi Atrium si rivolgesse. Se direttamente agli studi di avvocati o alle aziende che avevano bisogno di servizi legali. Questa indeterminatezza ha fatto sì che cadessero nella trappola di “trying to be everything to everyone“. La mancanza di focus porta inevitabilmente a disperdere energie e risorse. E accelerare senza una chiara direzione (quella che viene chiamata Product Market Fit) porta fuori strada accumulando scelte sbagliate come la scelte delle persone (“Hiring too quickly – especially before PMF can be a fatal mistake“).

4. Leadership style

Justin riconosce che il suo stile di guida (“win or die leadership”) non abbia pagato (i suoi quattro co-founder se ne sono andati uno dopo l’altro, con l’aggravante di aver compromesso dei rapporti di amicizia) e che un approccio più empatico avrebbe probabilmente prodotto risultati migliori.

5. La motivazione

Se una causa si vuole proprio trovare, alla fine è nelle motivazioni. Kan ha costruito un’azienda su uno spazio identificato in modo opportunistico (“I settled on the concept in the most mercenary way I could think of: all I wanted was to create the biggest possible company”) per cui non aveva un reale interesse (“I also had no passion or real interest in legal tech“). E senza motivazioni forti è difficile tenere la barra dritta in situazioni difficili che sono all’ordine del giorno in qualunque impresa (“Not figuring out my intrinsic motivation made it impossible to stay resilient in tough situations”).

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Provate a fare invece di commentare i risultati degli altri

Due messaggi di chiusura:

Passione per quello che si fa (“Build something you believe in and love, not for your ego”) e accettazione dei risultati che ne verranno (“Be proud of your failures – wear them like a badge”).

A questi ne aggiungo uno io, rivolto agli “spettatori” del mondo delle startup: provate a fare piuttosto che passare il tempo a commentare i risultati degli altri.

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Alberto Onetti
Alberto Onetti

Chairman (di Mind the Bridge), Professore (di Entrepreneurship all’Università dell’Insubria) e imprenditore seriale (Funambol la mia ultima avventura). Geneticamente curioso e affascinato dalle cose complicate.

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