L'ANALISI

Che cosa c’è dietro le alleanze fra case automobilistiche e grandi player del digitale

Microsoft con Volkswagen e GM (o meglio la sua Cruise Automation). Google con Ford e poi il Project Titan di Apple e gli investimenti miliardari di Amazon. Stanno uscendo allo scoperto molti progetti tra car maker e giganti del software. Perché il futuro dell’auto non nascerà nei tradizionali reparti ricerca e sviluppo

Pubblicato il 10 Mar 2021

Cruise Automation

Che cosa significa innovare? Dizionario alla mano, “mutare uno stato di cose, introducendo norme, metodi, sistemi nuovi”. Tra i tre, forse le norme sono le uniche su cui si è riusciti ad agire, talvolta con opinabile accanimento, per molti anni nel settore automotive, che adesso è alla ricerca dell’auto del futuro. Finalmente, da qualche tempo, si sente anche di nuovi metodi e nuovi sistemi, complice l’attesa per la proclamata mobilità futura. Smart, interconnessa, autonoma. E in questo nuovo contesto vanno lette le sempre più frequenti e numerose alleanze fra car maker e grandi player digitali, da GM, Ford, Volkswagen a Microsoft, Google e Apple.

Conviene cominciare da una domanda. Siamo ancora convinti che nell’imminente transizione, l’innovazione sia frutto degli sforzi del comparto ricerca e sviluppo del settore, e che sia proprio di “automobile innovativa” che si debba parlare? Sembra, piuttosto, che il settore automotive sia stato tra quelli maggiormente in grado di interpretare il concetto di “open innovation”, mutuando contenuti da domìni apparentemente distanti, rendendo finalmente il veicolo un “mezzo”, una piattaforma che si presti all’integrazione di soluzioni che hanno poco a che fare con aspetti di autotecnica, con cilindrate frazionate, rapporti stechiometrici, scuotimenti di sospensioni e mescole per pneumatici.

Che l’innovazione automobilistica della prossima fase non sia quindi nei nuovi metodi e nei nuovi sistemi, ma nella capacità di trasferire al veicolo tecnologie e soluzioni originariamente non pensate per esso, ma che ad esso si possano adattare, rendendo l’innovazione nient’altro che un ponte, un trasferimento di conoscenze da un dominio tecnico ad un altro, ove possa crearsi nuovo ed inatteso valore?

Un po’ quello che da tempo l’imprenditoria della West Coast (e la ricerca nostrana, in alcune illuminate sedi, che ho avuto il piacere vivere negli ultimi anni di inatteso percorso da “acadepreneur”) ha colto e messo in atto nei grandi centri di aggregazione tecnologica: fai che alla macchinetta del caffè abbiano modo di incontrarsi e comunicare persone di estrazione tecnico/culturale variegata, e l’innovazione, semplicemente, germoglierà. Perché ciascun “tecnologo” ragiona principalmente sul valore del progresso in applicazione al proprio settore, finchè non interagisce con qualcuno che gli offra un’occasione per pensare a come applicare la sua conoscenza incrementale alla risoluzione di problemi differenti. È allora che l’innovazione diventa qualcosa che va oltre il “nuovo metodo” o “nuovo sistema”, ma diventa “nuovo contesto”.

Tornando all’automotive, è esattamente lo scenario su cui i grandi player del digital e della mobilità hanno lavorato negli ultimi anni e su cui stanno man mano uscendo allo scoperto, dando alla luce chimerici progetti a due teste (e due cervelli) che di mostruoso hanno solo il proprio potenziale di mercato. Microsoft e GM (anzi, in particolare la sua Cruise Automation, acquisita nel 2016) sulla guida autonoma, ed ancora Microsoft e Volkswagen per lo sviluppo di un cloud che supporti la gestione degli ADAS. Google con Ford, oltre che “con sé stessa” nel progetto Waymo, per la creazione di sistemi di infotainment basati su Android. Apple ed il suo Project Titan, che pare potrà vedere la luce in termini produttivi in sinergia – si dice- con Nissan. Amazon che nel solo 2020 ha investito circa 3 miliardi di dollari nei van autonomi di Rivian ed ha acquisito Zoox, specializzata in taxi self-driving, per oltre un miliardo. E poi c’è Tesla…

Ed è solo la punta di un profondissimo iceberg che si prepara ad emergere su molteplici fronti, ben oltre le big del FAANG (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google) o GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) a seconda di quale acronimo di preferisca. Qualcomm, che nel 2000 raggiunse una discreta notorietà per i processori, si sta ritagliando un significativo spazio di mercato tra i produttori di chip di bordo per i veicoli che verranno. E la sua competitor Intel, con l’israeliana Mobileye, in occasione del CES 2021 hanno introdotto un sistema di Lidar System-on-Chip (SoC), non più basato sul principio del time-of-flight, che potrebbe rivoluzionare il mercato di tali sistemi e che rappresenta la quintessenza della sinergia tra una (ex) startup legata ai sistemi di visione e un colosso dei microprocessori.

Difficile scorgere, in questo valtzer di alleanze e joint ventures, chi potra risultare vincitore di un mercato in fin dei conti ancora tutto da creare. Digitare “car of the future” su Google restituisce oltre 4 milioni di risultati. Ma prima che arrivi quella del futuro, è quella del presente l’auto con cui dovremo convivere forse ancora un bel po’, e sulla quale le problematiche di elettrificazione, sicurezza e sostenibilità produttiva continueranno a tener banco, e chissà che non sia anche in questi ambiti che inattese sinergie non si rivelino determinanti.

Quel che è certo è che era da un po’ che non si respirava, anche nel mondo della ricerca automotive, quella sensazione di futuro ancora da scrivere, di foglio di carta bianca, che da un lato sa di “horror vacui”, ma dall’altro di infinite possibilità e strade da percorrere.

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Flavio Farroni, ricercatore e imprenditore
Flavio Farroni, ricercatore e imprenditore

Ricercatore in Dinamica del Veicolo presso l’Università Federico II, è CEO e co-founder della startup MegaRide. "Young Scientist of the Year" secondo Tire Technology International nel 2015, e nella lista dei 10 innovatori Italiani under 35 del MIT nel 2018, per i progetti sviluppati nel settore automotive/motorsport.

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