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Francesca Carlesi, CEO Revolut UK: “La cultura aziendale in una startup? Non un manifesto, ma comportamenti quotidiani”



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La CEO di Revolut UK, Francesca Carlesi, spiega come la cultura aziendale nelle startup diventi il vero collante per crescere, gestire le crisi e mantenere coesione tra valori, leadership e persone. E racconta la sua esperienza di founder di Molo Finance

Pubblicato il 27 ott 2025



Francesca Carlesi, CEO Revolut UK
Francesca Carlesi, CEO Revolut UK

Costruire una cultura aziendale forte non è un lusso per startup già affermate, ma una condizione necessaria per la loro sopravvivenza. Lo sostiene Francesca Carlesi, CEO di Revolut UK ed ex founder di Molo Finance, in una conversazione ospitata nel podcast Made IT .

Chi è Francesca Carlesi

Francesca Carlesi è stata nominata CEO della divisione UK del gruppo Revolut nel dicembre 2023.
Nata a Verona nel 1974, ha vissuto a Roma dove si è laureata all’Università Tor Vergata in Banking & Finance. Ha conseguito un MBA (con onori) presso la Columbia Business School, e un diploma alla Harvard Kennedy School.
Nel suo percorso professionale ha ricoperto ruoli senior in importanti istituti finanziari come Deutsche Bank e Barclays, nonché ruoli di consulenza e private equity presso McKinsey & Company e Bridgepoint Capital.
Nel 2017 ha fondato la fintech britannica Molo, primo prestatore di mutui interamente digitale nel Regno Unito, del quale è stata CEO fino all’acquisizione-exit.
Oggi guida la filiale UK di Revolut, con l’obiettivo di rafforzare la posizione dell’azienda nel sistema bancario britannico e fin tech.

Nel corso dell’intervista, Carlesi racconta come la cultura, intesa non come un insieme di slogan ma come comportamento collettivo, sia ciò che permette a un’impresa giovane di superare momenti di difficoltà e costruire un team coeso.

La cultura come comportamento quotidiano, non come manifesto

Per Francesca Carlesi, parlare di cultura aziendale nelle startup significa innanzitutto parlare di comportamenti. “La cultura è il modo in cui le persone agiscono, interagiscono e prendono decisioni ogni giorno”, afferma. Non è una lista di valori scritta sul muro né una raccolta di buone intenzioni. “Ciò che la cultura non è”, spiega, “è un insieme di parole carine appese all’ingresso o valori dichiarati ma disattesi”.

Questa impostazione si traduce in una visione molto pragmatica: la cultura, per Carlesi, è un insieme di segnali concreti che il founder e il team trasmettono attraverso le proprie azioni. È un collante che tiene unita l’organizzazione, soprattutto nelle fasi di incertezza. “Se le persone si riconoscono negli stessi valori e li vivono davvero, quella cultura può persino salvare l’azienda”, racconta. Il riferimento è al periodo di forte pressione che le startup affrontano per natura, in cui le risorse sono limitate e le sfide si moltiplicano.

Il momento giusto per costruire la cultura

Molti founder, secondo Carlesi, sottovalutano l’importanza della cultura nelle prime fasi di crescita. Eppure è proprio in quel momento che prende forma l’identità dell’azienda. “La cultura inizia dal giorno uno. Non puoi delegarla o definirla in un secondo momento”, afferma.

Il fondatore diventa così il primo custode e riflesso della cultura. Le sue decisioni – su chi assumere, come affrontare una crisi o come gestire le performance – trasmettono al team un messaggio preciso su ciò che è accettabile e ciò che non lo è. Per questo la manager sottolinea l’importanza della coerenza tra valori dichiarati e comportamenti quotidiani: “La cultura sei tu. Devi ‘walk the talk’ ogni singolo giorno”.

Pur considerandola un processo spontaneo, Carlesi distingue due fasi: vivere la cultura e codificarla. La prima nasce dai comportamenti del gruppo fondatore, la seconda può avvenire in un momento successivo, quando l’azienda ha raggiunto una dimensione sufficiente per riflettere collettivamente sui propri principi. “Non bisogna affrettarsi a scrivere i valori su un documento: meglio aspettare che siano emersi naturalmente”, spiega.

L’esempio personale e le scelte difficili

La leadership consapevole è per Carlesi la base della cultura aziendale. Ogni decisione del founder diventa un esempio osservato dal resto del team, soprattutto nei momenti difficili. “Durante una crisi, le scelte che fai resteranno nella memoria dell’azienda. Anni dopo le persone ricorderanno come hai reagito.”

Quando Molo Finance si è trovata ad affrontare l’impatto del COVID-19 e l’aumento dei tassi di interesse, la trasparenza è stata per Carlesi la chiave per mantenere la fiducia interna. “Ci siamo seduti e abbiamo discusso apertamente di cosa stesse accadendo. È in quei momenti che dimostri se tieni davvero alle persone.”

Anche le decisioni legate alle persone – assunzioni, promozioni, licenziamenti – diventano “momenti della verità” che definiscono la cultura. “A volte ti trovi davanti a dipendenti bravissimi ma completamente disallineati con i valori aziendali. Devi essere disciplinato e agire, perché tollerare comportamenti tossici è il modo più rapido per distruggere la cultura.”

Dal sogno alla codifica: il caso Molo Finance

Nel raccontare la propria esperienza da founder, Carlesi spiega come la cultura di Molo Finance sia nata dal desiderio di costruire un ambiente diverso da quello delle grandi corporate dove aveva lavorato. “Volevo un’azienda in cui le persone si assumessero la responsabilità, pensassero in grande e fossero realmente focalizzate sul cliente”, afferma.

In una fase iniziale, i valori non erano ancora formalizzati, ma emergevano dalle scelte quotidiane e dal modo in cui il team si comportava. Solo quando l’azienda ha raggiunto circa venti persone, è iniziato un percorso di riflessione collettiva. “Abbiamo organizzato un offsite con tutto il team per definire insieme i nostri valori”, racconta. “È stato un processo bottom-up: ognuno ha contribuito a descrivere cosa significassero quei valori nella pratica”.

Questo approccio partecipativo ha permesso di trasformare la cultura in un sistema concreto di regole condivise. I valori, una volta codificati, sono diventati parte integrante dei processi di performance review e di selezione del personale. “Valutavamo sempre due dimensioni: il cosa e il come. Non basta raggiungere gli obiettivi, conta anche come li raggiungi.”

Assumere per mindset, non solo per competenze

Un’altra lezione centrale dell’esperienza di Carlesi riguarda il reclutamento. Nelle startup, dove ogni nuovo ingresso può cambiare gli equilibri del gruppo, è fondamentale assumere persone che condividano il mindset e i principi dell’azienda. “Assumere solo per competenze tecniche è un errore. Devi valutare anche come la persona pensa, reagisce e collabora.”

Per questo Carlesi invita a essere deliberati sin dalla stesura delle job description, includendo la dimensione culturale come criterio esplicito di valutazione. “Nel processo di selezione, mi chiedevo sempre: questa persona, anche se ha un CV perfetto, incarna i nostri valori?”

Allo stesso modo, la CEO sottolinea l’importanza di non cadere nel pregiudizio secondo cui chi proviene da contesti corporate non sia adatto a una startup. “Ci sono grandi professionisti in grado di adattarsi e imparare. Bisogna saper leggere il potenziale, non solo il passato.”

Tuttavia, aggiunge, la chimica di team resta fondamentale. Prima delle assunzioni, Molo organizzava incontri informali tra i candidati e i futuri colleghi per testare la compatibilità personale. “Lavoreremo insieme, spesso fino a tardi. È essenziale capire se potremmo davvero condividere quel tempo.”

La gestione del fit e l’importanza del licenziare con trasparenza

Carlesi ammette che licenziare qualcuno è sempre difficile, ma nelle startup può diventare un atto di responsabilità verso l’intero gruppo. “Ogni persona in una piccola azienda ha un impatto enorme. Se non funziona, il danno non riguarda solo le performance individuali ma l’intero team.”

Il principio che la guida è semplice: “hire slow, fire fast”, cioè assumere con cautela ma intervenire rapidamente quando qualcosa non funziona. Tuttavia, la CEO rifiuta ogni approccio impersonale. “Serve trasparenza e rispetto. Bisogna spiegare le ragioni, assumersi la responsabilità e comunicare in modo chiaro al resto del team.”

Cultura aziendale e lavoro da remoto

Nel suo percorso, Carlesi ha vissuto il passaggio da una cultura in presenza a modelli completamente remote-first, come quello adottato da Revolut. “Essere nello stesso luogo aiuta a creare legami umani, ma anche da remoto si può mantenere una cultura solida se si investe nella comunicazione.”

Durante la pandemia, Molo ha introdotto rituali digitali per mantenere coesione: riunioni settimanali aperte e momenti sociali virtuali, come i “venerdì di riepilogo” dedicati non al lavoro ma alla condivisione personale. “Trovare modi per connettersi oltre il lavoro è essenziale. La cultura vive anche nei momenti informali.”

Oggi Carlesi riconosce che il modello remoto richiede una comunicazione molto più intenzionale. In assenza di interazioni spontanee, i leader devono creare spazi di confronto e ribadire con costanza i messaggi chiave. “Anche se ti sembra di ripeterti, è così che porti tutti nella stessa direzione.”

Cultura e performance: un equilibrio possibile

Una delle riflessioni più significative riguarda la compatibilità tra cultura positiva e performance elevata. Carlesi respinge l’idea che una cultura “gentile” sia incompatibile con risultati ambiziosi. “È come una squadra sportiva: per vincere servono atleti motivati, ma anche valori condivisi. Le due cose si rafforzano a vicenda.”

La cultura aziendale nelle startup, quindi, non è un elemento “soft” né un aspetto decorativo: è il sistema operativo che consente di attrarre persone giuste, affrontare le crisi e crescere in modo coerente. Le aziende che riescono a costruirla fin dai primi giorni – conclude Carlesi – non solo sopravvivono, ma sviluppano nel tempo una resilienza che diventa parte del loro vantaggio competitivo.

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