“No exit, no party”, siamo soliti a ripetere perché l’industria del Venture Capital è costruita sulle exit. In primis le IPO (quotazioni in borsa), a seguire gli M&A (acquisizioni).
Senza exit il motore del Venture Capital si ingolfa. E tutto il mondo degli investimenti rallenta. Cosa che si è puntualmente avverata dal 2022 ad oggi.
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Il mercato delle IPO è ripartito?
E, su questo fronte, nel 2025 potrebbe intravedersi la fine del tunnel.
Dopo un inizio fiacco – l’incertezza sulle politiche commerciali americane ha spaventato i mercati, causando un blocco totale tra aprile e maggio – le IPO sono tornate a giugno. Sei aziende importanti sono approdate sui mercati: tre negli Stati Uniti e tre in Cina. E non si è trattato di piccole operazioni.
Circle ha visto le proprie azioni salire al debutto e poi impennarsi di nuovo dopo l’annuncio che il governo americano stava lavorando a un framework normativo per gli stablecoin. CoreWeave, che si era quotata poco prima del rallentamento del secondo trimestre, continua a performare molto bene.
A livello globale, le IPO sono in crescita. Secondo EY, nella prima metà del 2025 si è registrato un aumento del 17%, arrivando a 539 operazioni.
Il 62% delle IPO americane sono startup straniere
Ma ci sono un paio di dati che fanno pensare.
– Il maggior numero di IPO si è svolto negli Stati Uniti
– il 62% di queste è stato realizzato da aziende straniere.
Il primo non stupisce: è riflesso della maggiore dimensione dell’ecosistema statunitense.
La domanda vera è perché anche le aziende non americane scelgano gli Stati Uniti per quotarsi e cosa stanno facendo gli altri Paesi per frenare questa trasferimento.
La risposta è che gli Stati Uniti offrono ancora una combinazione unica di profonda liquidità, capitale istituzionale, copertura da parte degli analisti e, soprattutto, una cultura capace di valutare l’innovazione, in particolare sulle tecnologie emergenti (oggi deep tech e AI).
Il Sud-Est asiatico, che era stato un tempo terreno fertile per le IPO di aziende consumer, sembra che abbia perso il treno della nuova ondata deep tech.
Mentre la Cina sta spingendo con forza la sua agenda di IPO domestiche, incoraggiando le tech company a tornare in patria dopo un breve rallentamento, l’Europa (Regno Unito compreso) sembra al momento avere premuto il tasto snooze. Calma piatta e nessun senso d’urgenza.
La EU Startup & Scaleup Strategy, guidata da Ekaterina Zaharieva, lo ha messo in agenda tra le cose su cui intervenire. Speriamo che produca risultati prima che sia troppo tardi. Ma è difficile immaginarsi una strategia coordinata per rendere i mercati dei capitali europei attraenti per le aziende tech. Rimane soprattutto un gap enorme nella capacità di valutare il nuovo che, alla fine, è dove gli Stati Uniti sono ancora più avanti di tutti.
Il presunto mancato patriottismo delle startup
La cosa forse peggiore in Europa però è la cultura che tende a quasi colpevolizzare i founder che decidono di quotarsi altrove.
Mettiamo le cose in chiaro: come giustamente osserva Fergal Mullen le IPO non sono atti di patriottismo. Sono scelte strategiche aziendali. I founder hanno il dovere di portare le proprie aziende, i propri investitori e i propri team nel miglior mercato possibile. E oggi quel mercato sono ancora gli Stati Uniti.
Più che biasimare gli imprenditori europei che scelgono di crescere altrove, dovremmo lavorare seriamente per dagli delle opzioni di crescita in Europa.
In caso contrario la recente orgogliosa presa di posizione dei leaders di European Investment Fund (EIF) Merete Clausen e Uli Grabenwarter (peraltro un amico che stimo tantissimo): “Europe is better than an incubator for the US” tenderà a diventare una profezia autoavverante.
La sfida: ora o mai più
Quello che accadrà nei prossimi mesi potrebbe ridisegnare l’intero ecosistema tech.
Storicamente, le grandi IPO innescano un nuovo ciclo di venture capital circa sei mesi dopo, grazie al reinvestimento del capitale nella prossima generazione di startup.
Se questo accadrà anche in Europa dipenderà solo da una cosa: se decideremo di svegliarci o se preferiremo restare ancora una volta a guardare, cosa che resta il nostro sport preferito.
Per ora, il verdetto è evidente: le IPO sono e restano un “US Game”, anche quando i giocatori non lo sono. Come l’NBA.






