Il caso

Regalereste soldi a una startup per pagare gli avvocati?

Qualcuno lo ha già fatto sulla piattaforma TakeOff, dove B.P.I. ha lanciato la campagna di raccolta “Davide contro Golia” per sostenere i costi di un contenzioso con una banca. La società, fornitrice di un software per il risk management, punta a raccogliere 11mila euro. In cambio gadget, networking e formazione

Pubblicato il 02 Apr 2015

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Massimo Colombo, amministratore delegato di B.P.I.

Avere a che fare con le banche non è sempre facile: lo sanno bene le startup, che spesso si rivolgono agli istituti bancari per finanziare la propria attività. Se poi sorgono contenziosi, è inevitabile il ricorso agli avvocati, e sono soldi. Ma c’è una startup innovativa, B.P.I. Business Process Informatisation srl, che ha trovato una soluzione altrettanto innovativa, e anche piuttosto curiosa, per sostenere le spese legali: ricorrere al crowdfunding, la raccolta fondi online molto in voga negli ultimi anni. Lo strumento è solitamente utilizzato per finanziare progetti no profit, artistici o culturali: tramite il crowdfunding reward-based gli utenti della Rete possono dare un contributo a una qualsiasi causa e in cambio ricevere piccoli omaggi. La colletta ai tempi di Internet, insomma. Ma finora nessuno aveva pensato di utilizzarla come sta facendo Bpi, startup partita bene e cresciuta bene, che poi un giorno ha incontrato ostacoli sul suo cammino e ora sta cercando di rimanere a galla. Anche attraverso il crowdfunding. “Questa forma di raccolta fondi nasce per far decollare le startup, noi torniamo al crowdfunding per cercare di non fallire – dice a EconomyUp Massimo Colombo, socio di maggioranza e amministratore unico di Bpi – ma non chiediamo l’elemosina. E siamo convinti che incontreremo la solidarietà di altri imprenditori come noi in difficoltà con le banche”.

Nata nel 2009 con un finanziamento seed della Regione Lombardia da 150mila euro assegnato alle migliori idee innovative, Bpi è una delle 100 start up selezionate dal Politecnico di Milano dal 2000 ad oggi e ha la sede operativa presso il Polihub. Il suo founder Colombo ha 50 anni e per 20 è stato dirigente in una grande azienda.

Da un paio d’anni il business di Bpi è un software per la gestione del risk management. L’azienda ha infatti sviluppato una tecnologia ICT proprietaria di BPMs (Business Process Management suite) per generare in automatico web e tablet application direttamente dal processo organizzativo desiderato. In particolare si è concentrata su una soluzione verticale per i processi di Risk Management denominata Windrose.

Dal 2010 al 2013 ha vinto diversi bandi pubblici in ricerca e innovazione e assunto personale, acquisito clienti, stipulato accordi di ricerca, investito denaro. Cominciano anche i primi contatti con i venture capital. Tra il 2012 e il 2013 arriva una commessa internazionale da 1 milione di dollari da parte di una multinazionale americana. Per Bpi potrebbe essere l’occasione per spiccare definitivamente il volo. Colombo e soci sono entusiasti, ma vogliono anche tutelarsi e azzerare il rischio di credito. “Così ci siamo rivolti a una grande banca nazionale – spiega l’Ad – e abbiamo acquistato una polizza pro soluto quadro sul cliente estero proposta anche come un’assicurazione per tutelare i rischi di incasso su fatturazioni estere”.

Ma le cose non vanno come dovrebbero. Gli americani hanno un grosso problema con la sede in Ucraina e chiedono di bloccare tutto. Ci pensa la banca? No, perché salta fuori che l’assicurazione stipulata “non c’è”. “Non solo la banca non ha rispettato il contratto regolarmente pagato – sostiene Colombo – ma ci ha mandato in sconfino, nonostante la copertura assicurativa, senza il minimo preavviso”. Ora l’azienda ha il conto in rosso ed è sotto di 80mila euro. L’Ad di Bpi usa parole dure e sceglie di passare alle vie legali. L’istituto bancario schiera la sua squadra e le sue ragioni.

Il contezioso va avanti ed è complesso, soprattutto visto dall’esterno. Nel frattempo la startup perde clienti, deve licenziare i dipendenti ed è costretta a rinunciare a tutti i rimborsi dei bandi vinti. Un disastro. L’istituto bancario ha bloccato tutti i conti della società e anche il conto personale di Colombo. Servono gli avvocati ma vanno pagati: il preventivo è 22mila euro. Non resta che sperare nella solidarietà della Rete.

Così Colombo si affida a TakeOff, piattaforma di crowdfunding lanciata da un’altra startup innovativa del Polihub. Sono vicini di stanza e startupper anche loro. È già un modo per fare squadra. E poi, commenta Colombo, le grandi piattaforme internazionali di crwodfunding avrebbero probabilmente ignorato una storia del genere.

Su TakeOff Bpi chiede la metà della somma necessaria, 11mila euro, per la dispendiosa e lunga campagna legale già avviata e le perizie dei danni subiti. In cambio offre cappellini e magliette con lo slogan “Davide contro Golia” (questo il significativo nome della loro raccolta fondi) per le donazioni più basse. Ma anche incontri di networking, seminari e progetti di team building per coloro che faranno una donazione più consistente. Già, ma chi sarà disposto a dare soldi a un imprenditore per pagare degli avvocati? “Ci sono diversi imprenditori che si sono trovati in difficoltà di questo tipo – dice Colombo – e sanno cosa si prova. Siamo una delle poche startup che è riuscita a fare qualcosa e ora fallisce per colpa delle banche. Si può uccidere così un’azienda, per 80mila euro?”.

Per il momento Bpi ha raccolto 1.555 euro da 15 sostenitori. Ha ancora 74 giorni di tempo per arrivare a quota 11mila. Nel frattempo la loro campagna su TakeOff ha generato 15.000 visualizzazioni in soli 8 giorni. Intanto gli avvocati scalpitano.

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