L'INTERVISTA

Francesco Inguscio: gli errori che ho visto fare e che eviterò con la mia startup COP

Francesco Inguscio dopo 10 anni da supporter di startup con Nuvolab, lancia COP (Chi odia paga). In questa intervista racconta perché l’ha fatto e come gli tornerà utile l’esperienza con le startup degli altri. “Sbagliare timing di lancio, team, sviluppo del prodotto e business model sono gli errofi più frequenti”

Pubblicato il 07 Nov 2019

francesco_inguscio

COP è una startup tecnologica ad alto impatto sociale che ha sviluppato la piattaforma Chi Odia Paga, la prima legaltech italiana che difende le persone vittime di odio online come per esempio: misoginia, xenofobia, islamofobia, omofobia, antisemitismo. I reati di questo genere, purtroppo, sono sempre più frequenti: stalking, revenge porn, cyberbullismo, hate speech.

L’iniziativa è di Francesco Inguscio, fondatore e CEO di Nuvolab, venture accelerator di startup innovative e società di consulenza per l’innovazione con numerosi progetti a sostegno dell’ecosistema innovazione italiano sviluppati con primari soggetti sul territorio. Laureato con lode alla facoltà di Economia di Padova, a 28 anni diventa managing director dell’incubatore di startup M31 Usa in Silicon Valley (il primo incubatore italiano aperto in Silicon Valley). È stato  business development manager nell’incubatore di startup Usmac a San Josè e San Francisco e dealflow manager nel business angel network The angels’ forum a Palo Alto, prima di fondare Nuvolab.

Dopo 10 anni da supporter di startup con Nuvolab, hai deciso di scendere in campo. Perché? Perché proprio sul tema dell’odio online? E perché con una startup sociale?

Dopo 10 anni (e centinaia di startup passate dal nostro acceleratore, di cui 14 da noi partecipate o co-fondate, 2 exit e 1 write-off) passati a fare da co-pilota ad altre startup mi sembrava giunto il momento di creare un progetto tutto mio e tornare ad imparare nel modo migliore: facendo startup (scalabile), visto che l’imprenditorialità non si impara sui banchi di scuola ma sul campo.

Già nel 2017, quando l’idea è stata concepita, l’odio online mi sembrava un male da estirpare dalla nostra società. Pensando alle ripercussioni diseducative (per chi lo vede) e psicologiche (per chi lo subisce) di questo fenomeno, ho pensato che laddove non potevano arrivare il nostro sistema educativo (che evidentemente ha fallito) e il nostro sistema giuridico (troppo lento e costoso per imbrigliare in modo efficace questo nuovo male della Rete), lì poteva l’innovazione.

In questo caso, invece che una società di servizi come Nuvolab ho preferito creare una società di prodotto (digitale e) scalabile. La prima motivazione è data da una personale preferenza e un maggiore potenziale economico della società, anche se, nel corso del tempo, ho scoperto di apprezzare le aziende che oltre a fare soldi, fanno del bene. Secondariamente, in Italia non percepisco l’esistenza di molte startup “sociali” che facciano del bene e, allo stesso tempo, siano fatte bene (con un team competente e una piattaforma tecnologica solida) e che “paghino bene” (business model scalabile e redditizio). Così ho deciso di crearla io.

Come può una startup sociale essere economicamente sostenibile? Qual è il modello di business di COP?

Una startup sociale è innanzitutto una startup come tutte le altre. Se seguiamo la definizione di Steve Blank, uno degli esponenti più autorevoli dello startup ecosystem internazionale, deve avere un business model “ripetibile e scalabile”. Inoltre, sceglie di non massimizzare solo il ritorno per la società (con la s minuscola) e i suoi shareholder, ma di fare una cosa ancora più complessa e massimizzare il ritorno per l’intera Società (con la s maiuscola) e i suoi stakeholder. L’obiettivo di COP  è proprio questo: dimostrare che “il bene fatto bene, paga bene per fare del bene”.

Inizialmente, il business model è nato con lo scopo di fornire alle vittime servizi legali a basso costo (idealmente un ordine di grandezza inferiore a quelli sul mercato) e con un revenue model transazionale, ma, successivamente, molti soggetti (istituzionali, corporate e associativi) hanno chiesto di rendere maggiormente accessibile il servizio rendendolo gratuito per le vittime. Un’ulteriore sfida che ho deciso ovviamente di accettare.

Che cosa ti tornerà utile delle esperienze fatte finora? 

Il know-how e il know-who sviluppato in questi 10 anni. Da una parte come sviluppare una startup in modo lean, testando il mercato con un MVP, raccogliendo metriche e sviluppando la piattaforma con una “customer development approach”. Dall’altra coinvolgere le persone giuste per ciascuna area di competenza, le tecnologie e le startup giuste per ogni tipo di bisogno. Così da non dover reinventare la ruota laddove ci siano già tecnologie o startup esistenti.

Di chi e che cosa ti sei circondato per sviluppare questo progetto? 

Dei giusti capitali: come investitore abbiamo scelto e siamo stati scelti da Oltre Venture, l’unico fondo che fa “impact investing” in Italia e finanzia “il bene fatto bene”.

Delle giuste competenze giuridiche: il nostro advisor legale è l’Avvocato Giuseppe Vaciago, uno dei massimi esperti di digital forensics in Italia, tra i primi a scriverne quasi venti anni fa, fra i primi a gestire cause che incrociavano digitale e diritto e sicuramente uno degli avvocati con maggiore esperienza sul tema reputazione online e reati penali sui social network.

Delle giuste competenze tecniche: il nostro CTO è l’Ingegnere Francesco Grotta, conosciuto sul campo mentre facevamo una delle nostre prime startup e con oltre dieci anni di esperienza nel creare piattaforme tecnologiche scalabili. Di un team per rendere possibili le cose: sia l’Avvocato Nicole Monte che Cristina Moscatelli (il nostro “core team” operativo è tutto al femminile) sono estremamente motivate e orientate all’obiettivo.

Quali sono gli errori che hai visto compiere e che ora, da imprenditore, sai di poter evitare? 

Sbagliare il timing di lancio: progetti che proponevano una soluzione ad un problema già risolto da altri (es: creare la nuova “Facebook” 10 anni dopo che era già arrivata Facebook). Con COP crediamo di risolvere un problema (quello dell’odio online) mai adeguatamente risolto in Italia (e altrove).

Scegliere il team sbagliato: per realizzare il progetto servono competenze complementari ed esperienza sul campo e non il contrario (un team fatto da junior o dal classico “cugino” senza chiare competenze). In COP alla guida dei diversi team funzionali abbiamo profili senior con soldi track record. In ciascun team lavorano giovani talenti molto motivati. Laddove non c’è un leader senior per il team, ne siamo alla ricerca (in questo caso stiamo cercando un responsabile per il team marketing per quando saremo online con la piattaforma. L’annuncio lo trovate su JustKnock )

Sbagliare lo sviluppo del prodotto: ci son bellissime idee eseguite male per diversi motivi. In COP sia le competenze che i fondi ci sono e abbiamo i canali di accesso a cui attingere a nuovi talenti e capitali se servisse.

Sbagliare il business model: anche se una azienda ha il miglior prodotto con il miglior team, se non trova un modello di business efficace corre il rischio di finire la cassa prima del tempo e fallire. Anche se su COP il business model potremo testarlo solo una volta andati live con la piattaforma pubblica, stiamo modellandolo in base ai feedback dei potenziali utenti per minimizzare il rischio di grandi errori.

Qual è oggi la principale difficoltà che incontra chi vuole fare startup in Italia?

L’accesso al talento. Tutto comincia e finisce lì. Un buon team troverà il modo di far funzionare anche un’idea non distintiva. Viceversa, una buona idea con un team mediocre alle spalle non si trasformerà mai una buona azienda. Il problema maggiore in Italia è trovare persone con un giusto mix di competenza ed esperienza.

Che cosa non hanno ancora capito le aziende mature delle startup?

Che fare startup non è un tema tecnologico, quindi di “oggetti”, ma di mindset, quindi di “soggetti”. Quello che serve per innovare è avere le giuste persone in azienda e la giusta cultura aziendale. Pensare che basti “comprare” una startup per diventare innovativi è un po’ come pensare che basti piantare un albero nel deserto per fare una foresta. L’open innovation è intanto una attività di change management. Solo dopo arriva la tecnologia.

Gli obiettivi di COP da qui a 5 anni.

Trovare un business model sostenibile che minimizzi gli esborsi per le vittime di odio online e consenta di sostenere non solo noi ma anche le associazioni che si occupano di questi temi in Italia. Il bene fatto bene deve sostenere anche le principali associazioni che educano e sensibilizzano su questi temi, mi sembra una naturale evoluzione del progetto. Tutti uniti per debellare l’odio online. Ognuno farà la sua parte. Stiamo pensando anche di estendere la gamma di servizi di COP per sostenere le vittime di odio online non solo da un punto di vista legale ma anche da un punto di vista psicologico, attraverso la (ri)educazione degli haters.

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