L’exit di una startup rappresenta uno dei passaggi più delicati e meno frequenti dell’ecosistema startup italiano. È il momento in cui il valore costruito da una giovane impresa viene riconosciuto dal mercato e trasformato in capitale, competenze e nuove opportunità. È da questa prospettiva che si inserisce l’intervento di Bruno Cordioli, Co-founder & Board Member di Muscope Cybersecurity, che il 2 dicembre 2025 è intervenuto al convegno Digital & Open Innovation 2026: cosa serve a imprese e startup per un cambio di passo, organizzato dagli Osservatori Startup Thinking, Startup & Scaleup Hi-tech e Digital Transformation Academy presso gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano.
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Dall’esigenza di mercato alla nascita di Muscope
Muscope nasce da una domanda semplice, ma strutturale: “qual è la probabilità che un’azienda, una qualunque azienda italiana o straniera, sia attaccata dai cyber criminali?”. A questa prima domanda se ne aggiungono altre, legate alle conseguenze economiche e alla capacità di sopravvivenza delle imprese colpite da un attacco informatico.
Cordioli ricorda che molte aziende “non sopravvivono a un evento di attacco dai cyber criminali”, ed è da questa consapevolezza che prende forma l’idea di Muscope. Il team iniziale è composto da quattro founder: tre con oltre vent’anni di esperienza in ambito cybersecurity e network, e un quarto co-founder molto giovane, che all’epoca aveva appena 23 anni.
Diciotto mesi in stealth mode
Nei primi diciotto mesi, Muscope lavora in stealth mode, concentrandosi sullo sviluppo della piattaforma senza esporsi al mercato. Cordioli sottolinea che in questa fase i founder hanno sviluppato il prodotto in modo autonomo, rimandando il confronto con investitori e partner.
Dopo circa dodici mesi iniziano i primi contatti con il mondo degli investimenti. Il round seed raccolto è di 800 mila euro, suddiviso tra due fondi: uno italiano e uno internazionale, in particolare francese. Una cifra che, nel contesto attuale, appare contenuta, ma che all’epoca veniva considerata sufficiente per accompagnare la startup verso il break even in un arco temporale di circa 24 mesi.
L’incontro con TeamSystem e il cambio di traiettoria
Il percorso di crescita di Muscope prende una direzione inattesa quando uno degli investitori presenta Cordioli e il team a TeamSystem. In quel momento, l’obiettivo principale non era un’operazione di M&A, ma la crescita del numero di clienti e partner industriali.
Il primo incontro, però, avviene direttamente con il responsabile M&A del gruppo, segnando fin da subito un possibile cambio di prospettiva. Cordioli osserva che uno degli elementi che ha facilitato il percorso verso l’exit è stata la trasparenza del team e la compatibilità culturale tra le due realtà, entrambe aziende tecnologiche focalizzate sul software.
Nel giro di tre anni dalla fondazione, Muscope conclude l’operazione di exit.
Exit e mercato italiano: un nodo ancora aperto
Nel dialogo con Giorgio Ciron, Direttore di InnovUp, emerge un tema più ampio: il numero ancora limitato di aziende tecnologiche italiane che effettuano acquisizioni. Cordioli riconosce che il mercato resta concentrato su pochi grandi player e che l’exit di una startup continua a essere un evento raro.
Guardando al contesto macro, Cordioli invita a mantenere un approccio realistico. I dati del 2025 mostrano una crescita moderata e, secondo lui, “non penso che il 2026 sarà la svolta”. Allo stesso tempo, individua segnali incoraggianti, soprattutto sul fronte dei finanziamenti early stage.
Seed più grandi, ma selettività necessaria
Uno dei segnali che Cordioli considera positivi è l’aumento della dimensione dei round seed e pre-seed. Se Muscope aveva raccolto 800 mila euro, oggi “vedo dei seed da 2 milioni, da 3 milioni”, un dato che per Cordioli indica un’evoluzione del mercato italiano.
Questa crescita, però, non deve portare a facili entusiasmi. Cordioli sottolinea la necessità di restare ancorati ai fondamentali: le idee devono essere innovative, ma soprattutto devono risolvere problemi reali. Alla base deve esserci una domanda di mercato e la capacità di generare fatturato, perché “alla fine bisogna creare valore”.
Creare valore, non solo fare startup
Uno dei passaggi più netti dell’intervento riguarda proprio questo punto. Cordioli afferma che “non bisogna fare la startup, bisogna creare valore”, distinguendo tra l’atto di fondare un’impresa e la capacità di costruire un modello sostenibile nel tempo.
In questa prospettiva, l’exit di una startup non è un obiettivo fine a sé stesso, ma il risultato di un percorso in cui prodotto, mercato e organizzazione trovano un equilibrio. È anche per questo che l’esperienza di Muscope viene letta come un caso utile per riflettere sul funzionamento complessivo dell’ecosistema startup italiano, più che come un’eccezione da celebrare.





