Post Brexit

Patent box: cos’è e perché potrà aiutare gli imprenditori in fuga da Londra

L’argomento riemerge in piena Brexit: il sindaco Sala, nel proporre Milano come polo attrattivo delle imprese che lasceranno la City, ha citato il nuovo regime fiscale agevolato per i redditi derivanti dagli “intangibles” quale strumento utile a chi si trasferirà in Italia. Ecco cosa c’è da sapere

Pubblicato il 27 Giu 2016

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L’argomento “Patent Box” è tornato di attualità, sia pure tra le righe di un contesto molto più ampio, in occasione della Brexit, il referendum del 23 giugno con il quale la Gran Bretagna ha deciso di uscire dall’Unione Europea. In una lettera al Corriere della Sera il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha candidato il capoluogo lombardo a ospitare l’Autorità Bancaria Europea e a fare dell’area Expo un’area dedicata all’imprenditoria. “Con il presidente del Consiglio – ha scritto – abbiamo già svolto un primo esame della situazione e posso dire che il progetto di fare dell’area Expo una zona franca fiscale per le imprese che vi si insedieranno sarà presto approfondito col governo. È vero che in Italia resta alta la pressione fiscale, ma è vero anche che i nuovi strumenti a disposizione degli operatori potranno essere utili proprio sul fronte che ora stiamo iniziando a considerare. Mi riferisco al Patent Box e al credito d’imposta a sostegno delle attività di ricerca e sviluppo…”. Ma cos’è esattamente il Patent Box e quali vantaggi può portare alle imprese? Ecco una breve disamina per spiegare come funziona, i benefici che se ne potranno ricavare e anche gli eventuali punti critici.

Come noto a chi si trova ad operare, o ha comunque familiarità, con i diritti di proprietà intellettuale, la Legge di Stabilità 2015 ha introdotto in Italia un regime opzionale, il cosiddetto Patent Box, che consente di agevolare fiscalmente i redditi derivanti dall’utilizzazione economica degli intangibles. Lo scopo è quello non solo di incoraggiare e favorire gli investimenti in ricerca e sviluppo, ma anche di rendere il sistema Italia più attrattivo per gli investitori internazionali ed incentivare la collocazione e il mantenimento in Italia dei beni immateriali detenuti all’estero.

Patent Box, ecco il decreto tagliatasse per marchi e brevetti

Cosa è il Patent Box e a cosa si applica – L’ambito di applicazione comprende attualmente il software protetto da copyright, i brevetti industriali (concessi o in corso di concessione), i marchi di impresa (registrati o in corso di registrazione), i disegni ed i modelli, giuridicamente tutelabili, le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali proteggibili. A decorrere dall’esercizio 2015, la misura permette di detassare i redditi derivanti dallo sfruttamento commerciale dei beni immateriali, riducendoli del 30% il primo anno, del 40% il secondo e del 50% il terzo per poi applicare, una volta a regime, quest’ultima percentuale a tutti gli esercizi a seguire. Fondamentale è l’individuazione di un nexus ratio pari al quoziente tra costi qualificati (ossia imputabili ad attività di ricerca e sviluppo) e costi complessivi, al fine di ottenere un coefficiente che, moltiplicato per il reddito agevolabile, determinerà il risparmio fiscale riferito ad un determinato periodo di imposta. Tra i costi qualificati non sono compresi soltanto quelli direttamente correlati ad attività di ricerca, ma, ad esempio, anche quelli legati alla tutela dei diritti IP.

Chi può accedere alle agevolazioni – All’agevolazione possono accedere tutti i titolari di un reddito di impresa, purché svolgano attività di ricerca e sviluppo e detengano un diritto allo sfruttamento economico dei beni immateriali. Deve quindi sussistere un nesso tra l’effettivo svolgimento di tale attività (individuabile nello sviluppo, nella manutenzione e nell’accrescimento del bene immateriale), i beni intangibili ed il reddito agevolabile. Per quanto attiene alle operazioni straordinarie di fusione, scissione e conferimento di azienda, l’avente causa subentra al dante causa nell’opzione di Patent Box. Sono in ogni caso escluse le società assoggettate a procedure di fallimento, liquidazione coatta e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Inoltre la misura non ammette i titolari di reddito d’impresa che nella determinazione del proprio reddito adottino metodologie differenti (qual è il caso delle società agricole che determinano il reddito su base catastale) rispetto ai criteri tipici della contabilità analitica. Se si esclude, infatti, il breve periodo transitorio entro cui è consentito di identificare i costi e i ricavi relativi ai singoli beni immateriali in forma aggregata (per le domande pervenute entro il 31 dicembre 2015 in relazione ai periodi di imposta 2012, 2013 e 2014), l’opzione di Patent Box si applica per singolo bene immateriale. Da ciò il carattere non soltanto opzionale, ma anche discrezionale del regime, che riconosce al contribuente la facoltà di selezionare, in ordine al calcolo dell’agevolazione, anche solo una parte di beni.

Come possono organizzarsi contabilmente le imprese – A partire dall’anno 2015, risulta necessario che le imprese che aderiscono al Patent Box siano in grado di identificare i costi e i ricavi relativi ai singoli beni immateriali attraverso un adeguato sistema contabile o extra-contabile. Infatti esse devono essere in condizione di individuare costi e ricavi attraverso adeguati criteri tracking and tracing, e ciò al fine di considerare anche le eventuali perdite legate agli investimenti sostenuti per sviluppare un prodotto innovativo nell’attesa che il suo sfruttamento possa generare profitti. La disciplina prevede che, in caso di utilizzo diretto dei beni immateriali, il loro contributo economico al reddito complessivo sia quantificato a seguito di una procedura di ruling, assimilabile ad una sorta di speciale interpello che ha per oggetto la determinazione (in via preventiva e in contraddittorio con l’Agenzia delle entrate) dell’ammontare dei componenti positivi di reddito impliciti, nonché dei criteri utili ad individuare quei componenti negativi che siano riferibili a detti componenti positivi: un’istruttoria che richiede specifiche competenze e che costringe professionisti di vario genere e tecnici contabili ad un lavoro complesso e gravoso.

Quali sono i punti critici – Proprio tale obbligo procedurale (la facoltatività riguarda solo i casi di utilizzo indiretto del bene immateriale, vale a dire se il contribuente lo concede in licenza) presenta tuttavia qualche criticità, a partire dalla competenza inizialmente riservata alle Direzioni centrali Accertamento, Settore Internazionale, Ufficio Accordi preventivi e controversie internazionali, il che ha reso pressoché indispensabile l’assistenza di studi professionali operanti nelle aree di Roma e Milano. A seguito delle circa 4.500 domande pervenute entro il 31 dicembre 2015, l’Agenzia delle entrate, oltre a formare appositamente 250 operatori, con provvedimento datato 6 maggio 2016 ha quindi definito la competenza anche delle Direzioni regionali (oltre che delle Direzioni provinciali di Trento e Bolzano) a gestire le istanze di accordo preventivo, seppure limitatamente alle richieste di adesione inoltrate da imprese con volume di affari o ammontare di ricavi inferiori a 300milioni di euro. In termini di tempo, le grandi imprese hanno dovuto presentare insieme all’istanza, con scadenza al 31 dicembre 2015, tutta la documentazione contabile necessaria, avendo poi a disposizione solo cinque mesi per integrare in fase istruttoria, con memorie o altro, quanto prodotto (a fronte di oggettive difficoltà, l’iniziale termine di 120 giorni è stato elevato a 150. A differenza delle grandi, le piccole e medie imprese non hanno dovuto illustrare preventivamente i criteri di calcolo, ma non per questo sono esentate dal ruling, con il rischio comunque di non riuscire a definire l’entità dell’agevolazione entro i termini predefiniti. Occorre aggiungere che, sempre a fini istruttori, l’Agenzia può operare degli accessi presso le sedi delle imprese onde esaminare ulteriori documenti: un’eventualità che sicuramente non ha incoraggiato molti dei soggetti potenzialmente interessati al Patent Box. La necessità, inoltre, di adottare un sistema contabile o extra-contabile informato ai criteri della contabilità analitica (con attribuzione dei costi non per natura, bensì per destinazione) può tradursi, in molti casi, in un aggravio legato all’adeguamento non solo del sistema di registrazione e imputazione dei costi, ma anche della preparazione del personale amministrativo, o comunque di coloro che prestino la propria opera nell’ambito dell’assistenza contabile. L’accordo è vincolante (per entrambe le parti, contribuente e Agenzia delle entrate) per cinque periodi d’imposta, con decorrenza dalla sua sottoscrizione e ciò, insieme all’irrevocabilità dell’opzione, rappresenta un aspetto capace di indurre le imprese a guardare con circospezione al Patent Box. Un ulteriore punctum dolens riguarda l’ambito oggettivo a cui i benefici si estendono. Difatti la legge di Stabilità 2016, modificando l’art. 1, co. 39 della legge di stabilità 2015, ha sostituito l’espressione “opere dell’ingegno” con “software protetto da copyright”. Pertanto buona parte del diritto d’autore (si pensi alle opere letterarie, teatrali, cinematografiche e a tutto quello che investe i format televisivi) è stato escluso dall’operatività del Patent Box in ragione della compliance dovuta nei riguardi delle azioni predisposte dall’OCSE con la versione definitiva del piano BEPS (Base Erosion and Profit Shifting). Si noti che in realtà, come rilevato da alcuni commentatori, fin dagli esordi l’Italia ha inteso il Patent Box come un vero e proprio IP Box capace di abbracciare tutto il patrimonio tipico del made in Italy. Per tale motivo il Patent Box nazionale è stato esteso anche a modelli e disegni e, per l’effetto, ai marchi commerciali che, al contrario, l’OCSE non include tra gli IP qualifying assets. Contemporaneamente, le linee guida OCSE escludono anche il segreto industriale (know-how) poiché non soggetto a procedure di concessione come quelle previste per il conseguimento di brevetti o analoghi diritti. A tal fine, la clausola di salvaguardia (Grandfathering rule) consente all’Italia di sfruttare il periodo transitorio ammettendo, per quanto concerne i marchi commerciali ed il know-how sprovvisto di specifica certificazione del MISE, quelle istanze definite ed approvate entro il 30 giugno 2016. Oltre tale termine, si dà per assodato che nuove opzioni riguardanti marchi e know-how siano escluse dalle possibilità di fruire del Patent Box. È chiaro tuttavia che un’ipotetica assenza dal Patent Box di tutti quei marchi che, grazie alla loro valorizzazione, costituiscono il principale patrimonio dei brands legati alla moda e al lusso rischi di fare implodere, per gli anni futuri, almeno buona parte della strategia perseguita dal Governo italiano.

Perché l’adozione del Patent Box è ancora in fieri – Al momento il Patent Box italiano si colloca perciò in una posizione in cui l’Italia deve valutare il rapporto costo-opportunità (trade-off) tra la funzione obiettivo tesa verso una maggiore competitività di sistema ed il vincolo dato dalla conformità alle regole OCSE che essa condivide. Se questo è lo stato dell’arte, il regime di Patent Box assume il profilo di un’architettura complessa, forse troppo sofisticata e di poca sostanza per buona parte del sistema produttivo italiano, in cui la messa a punto è ancora in fieri, come dimostra l’elevato numero di aggiustamenti (v. estensione del vincolo di complementarietà anche a tipologie e famiglie diverse di beni immateriali) resi noti attraverso provvedimenti dirigenziali e circolari esplicative. Ne è testimonianza la circolare n. 11/E dell’Agenzia delle entrate datata 7 aprile 2016, un documento di 94 pagine ben strutturato con numerosi esempi e precisazioni anche in tema di plusvalenze e cessioni infragrugppo con indicazioni per valorizzare gli IP assets in relazione al transfer pricing. È di palmare evidenza come il Patent Box italiano sia interessante nella misura in cui il coefficiente rappresentato dal nexus ratio si avvicini a 1, ossia che i costi ascrivibili ad attività di ricerca e sviluppo costituiscano la pressoché totalità dei costi complessivi sostenuti dall’impresa. Inoltre, in caso di utilizzo indiretto dei beni immateriali, l’intervento delle percentuali di royalties nel meccanismo di calcolo rischia di rendere irrisoria la quota di reddito agevolato.

Perché è importante per la competitivà del Paese – Tuttavia lo stesso Direttore dell’Agenzia Rossella Orlandi ha avuto occasione di ribadire, in sede di audizione dell’11 maggio 2016 di fronte alla VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati, l’importanza del Patent Box (facendolo precedere, all’interno della relazione, al commento relativo alla voluntary disclosure) in termini di attrattività e competitività a livello internazionale (endiadi coniugata esplicitamente con la parola d’ordine innovazione e internazionalizzazione), sottolineando in modo particolare la sua posizione sinergica con il credito di imposta in ricerca e sviluppo. Difatti, se non espressamente previsto, il Patent Box non esclude necessariamente l’accesso ad altre misure agevolative. In conclusione, è auspicabile che le startup innovative siano fin dall’inizio strutturate secondo i criteri descritti, con l’invito rivolto ai soggetti attivi già da tempo ad operare un’attenta analisi e valutare la possibilità di dare vita a nuove imprese, create ad hoc, al fine di beneficiare del Patent Box, in modo tale da semplificare al massimo tutti gli aspetti procedurali collegati a tale regime.

* Andrea Bertocci – Studio legale Melani Graverini – Arezzo
bertocciand@gmail.com

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