La crescita degli investimenti nel Retail Media porta con sé una sfida cruciale: la misurazione dell’efficacia. Senza strumenti condivisi e affidabili, diventa difficile valutare il ritorno delle campagne e orientare le strategie. Durante il Convegno di presentazione dei risultati 2025 del Tavolo di Lavoro Retail Media del Politecnico di Milano, svoltosi il 17 settembre scorso, la ricercatrice senior Valentina Palummeri ha delineato un quadro approfondito su metriche, modelli e framework, sottolineando come i KPI nel retail siano oggi una delle leve principali per lo sviluppo del settore.
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L’assenza di standardizzazione come barriera agli investimenti
Secondo una ricerca di IAB Europe citata da Palummeri, il 58% dei brand indica la mancanza di standardizzazione come una barriera agli investimenti, mentre il 60% dei brand e il 35% dei retailer vedono la misurazione come un’area di crescita. Questa disomogeneità si traduce in difficoltà nel confrontare i risultati tra piattaforme diverse e nel valutare con precisione l’impatto delle attivazioni.
«La mancanza di una strategia di misurazione condivisa è oggi uno dei principali ostacoli allo sviluppo del Retail Media» ha affermato Palummeri, sottolineando come la costruzione di un impianto solido sia una condizione necessaria per generare fiducia negli investitori.
I principi alla base della misurazione
Un sistema credibile non può prescindere da alcuni principi di fondo. Trasparenza, accuratezza, affidabilità, privacy e sicurezza sono i requisiti che garantiscono coerenza e comparabilità. Se viene a mancare anche uno solo di questi elementi, la misurazione perde significato e i dati non sono utilizzabili per decisioni strategiche.
L’adozione di KPI nel retail deve quindi partire da un quadro di riferimento che assicuri robustezza tecnica e conformità agli standard di settore, come quelli indicati da IAB e MRC a livello internazionale.
Metriche e classificazioni
Nel dettaglio, le metriche individuate da IAB Europe si dividono in quattro grandi categorie: metriche media, che misurano esposizione e qualità come impression e viewability; metriche di attribuzione, che valutano i risultati delle campagne attraverso indicatori come ROAS e Halo Effect; metriche insight, che analizzano il contributo incrementale con strumenti come il Sales Uplift; e metriche di advanced insight, ancora in via di definizione, che comprendono indicatori come ROPO o Customer Lifetime Value.
Questa classificazione permette di collegare gli obiettivi delle campagne ai dati raccolti e di costruire un percorso interpretativo coerente. L’adozione di metriche condivise è inoltre fondamentale per favorire confronti trasversali e per garantire la credibilità delle analisi di performance.
Il ruolo del framework
Accanto ai principi e alle metriche, Palummeri ha evidenziato l’importanza di un framework in grado di connettere dati e obiettivi. «Un framework solido consente di allineare i KPI agli obiettivi di vendita del retailer, integrare le performance on-site e off-site e monitorare costantemente ogni fase del customer journey» ha spiegato.
Tra i benefici principali ci sono la possibilità di personalizzare le metriche in base alle caratteristiche delle diverse categorie merceologiche e l’integrazione di dati qualitativi e quantitativi, per una visione più completa dei risultati.
Verso modelli di misurazione evoluti
L’approccio tradizionale, basato su principi, metriche e framework, rappresenta la base. Ma per fare un salto in avanti occorre introdurre modelli evoluti, capaci di anticipare tendenze e analizzare le relazioni causa-effetto. Palummeri ha citato tre strumenti principali:
- Test incrementali, che misurano l’impatto reale delle campagne on-site e off-site sulle vendite retail, permettendo di valutare formati, creatività e audience specifiche. Tra le criticità, i costi elevati e la difficoltà nel costruire gruppi di controllo affidabili.
- Multi-Touch Attribution (MTA), che assegna il merito della conversione a più touchpoint lungo il percorso utente. Offre dettagli preziosi, ma soffre della frammentazione dei dati e della difficoltà nel tracciamento cross-device e cross-retailer.
- Marketing Mix Modeling (MMM), utile per analizzare l’impatto combinato di media e promozioni e stimare gli effetti anche sullo scaffale fisico, ma caratterizzato da tempi lunghi e analisi granulari.
Questi modelli, pur con i loro limiti, permettono di arricchire la lettura dei KPI nel retail, trasformando la misurazione in uno strumento strategico e non solo tattico.
Stato dell’arte tra on-site, in-store e off-site
Il Tavolo di Lavoro ha analizzato anche lo stato attuale della misurazione nei diversi canali. Nei formati on-site, gli indicatori sono più consolidati e la misurabilità è elevata, soprattutto nelle fasi di consideration e conversion. Gli spazi in-store hanno ancora misurazioni limitate, spesso basate su dati aggregati, ma l’evoluzione di sensoristica e riconoscimento facciale promette miglioramenti significativi. Il canale off-site, invece, mostra un forte potenziale per le fasi di awareness, ma resta caratterizzato da frammentazione e mancanza di metriche raffinate per valutare attenzione e attribuzione.
Palummeri ha ricordato come, nonostante le differenze tra i tre canali, sia necessario costruire un sistema di misurazione coerente e integrato, capace di valorizzarli in modo equo.
La prospettiva per il settore
Il lavoro del Tavolo di Lavoro Retail Media indica con chiarezza che la definizione di standard condivisi sarà decisiva per far crescere la fiducia degli investitori e consolidare il canale. Con un sistema di misurazione integrato, basato su KPI nel retail robusti e comparabili, sarà possibile trasformare il Retail Media da soluzione tattica a strumento strutturale delle strategie di marketing.






