Generazioni

Missoni, Rosso e Vena jr.: «Così innoviamo (ma non troppo) nelle aziende di famiglia»

I giovani eredi di tre grandi imprese italiane (Missoni, Diesel e Amaro Lucano) raccontano come guideranno le realtà fondate dai loro padri (o avi) tra hi tech, co-branding ed ecommerce. «Il modo di lavorare è cambiato ma la sfida è tutelare tradizione artigianale e italianità»

Pubblicato il 17 Giu 2015

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Vittorio Missoni, Ottavio Missoni Jr. e Ottavio Missoni

Prima di tutto, occorre smentire la diceria per cui la prima generazione fonda e quelle che arrivano dopo distruggono”: scherzano, ma non troppo, i tre eredi di tre diverse realtà imprenditoriali italiane, Missoni, Amaro Lucano e Diesel, quando parlano di come guideranno le aziende di famiglia in futuro.

Intervenuti nel corso dell’incontro “Brand Reloaded” organizzato dal Master in Brand Management and Communication dello Ied, Francesco Vena, bisnipote del pasticcere lucano che ha fondato Amaro Lucano, Ottavio Jr. Missoni, nipote dello stilista-atleta di Gallarate e Andrea Rosso figlio di Renzo, il fondatore di Diesel hanno provato a raccontare agli studenti come la loro sfida quotidiana sia quella di portare il marchio e l’azienda di famiglia ad affrontare le sfide del futuro senza però nulla togliere ai valori aziendali e alla tradizione artigianale che ne caratterizzano la storia.

Andrea Rosso, oggi lavora in Diesel, azienda che, in pratica ha la sua età e che è stata fondata da suo padre. “Il mondo è cambiato: io

Andrea Rosso

sono nato nel’77 e ho visto un mondo che chi è nato 10 o 15 anni dopo, ha conosciuto solo per sentito dire. Allo stesso modo le aziende, anche quelle di recente fondazione come Diesel, sono cambiate radicalmente in una manciata di anni: solo a fino pochi anni fa, per esempio, non c’erano gli strumenti per valutare, con immediatezza il sentiment e la risposta del pubblico rispetto ai nostri prodotti. Serviva una trafila lunga e articolata che ora invece si riduce a due passaggi o poco più: abbiamo le risposte dai nostri clienti in tempo praticamente reale e questo ci consente di modulare le collezioni di conseguenza lavorando in un modo nuovo anche se il punto di forza della nostra casa rimane la familiarità e la nostra profonda italianità, l’essere del tutto radicati nel nostro territorio, con buona pace del fatto che per anni in molti hanno pensato che fossimo un marchio americano”.

L’identità è forte anche al centro del lavoro quotidiano di casa Missoni: “Da un lato i nostri capi sono facilmente identificabili, anche a una veloce occhiata, dall’altro perché da anni i Missoni sono testimonial di loro stessi, con risultati di visibilità e identificazione personale forse persino migliori di quelli che potremmo avere dalle celebrity – dice Ottavio Missoni Jr. spiegando come per il marchio sia cruciale mantenere questa stessa, fortissima identificazione, salda anche nel mondo parcellizzato di oggi e di domani -. La sfida da qui ai prossimi anni, che in parte è già cominciata riguarda da un lato il co-branding unendo Missoni ad altri marchi, dall’altro, la diversificazione delle linee e delle collezioni, che già oggi sono molto più grandi di quello che erano alcuni anni fa, e da ultimo la sfida dell’ecommerce”.

Stesso compito,

Francesco Vena

ossia pensare al mercato che verrà, ma in una tradizione assai più corposa e radicata, è quello che tocca alla quarta generazione della famiglia Vena, fondatrice dell’Amaro Lucano: “Per noi – spiega Francesco Vena – è praticamente impossibile staccarci dalla tradizione della nostra storia e della nostra terra: l’azienda è nata nel retrobottega della pasticceria di mio nonno; il nostro marchio riporta lo stemma di casa Savoia, di cui eravamo fornitori ufficiali, e come se non bastasse, sull’etichetta c’è la ‘pacchiana’, la popolana delle antiche campagne lucane: quella è, forte e chiara, l’identità del brand”.

Un’identità che inevitabilmente segna i confini all’interno dei quali il marchio può crescere. “Ci sono cose che non possiamo fare, perché fanno a pugni con il nostro brand. Per questo a noi tocca una difficile opera di equilibrismo rispetto al mercato, innovando sì, ma non troppo e soprattuto stando lontani da tutto quello che non c’entra con la nostra identità: il modo per farlo è, secondo noi, quello di lavorare con i bartender e i piccoli locali, più che con la GDO. Non significa che i supermercati non sono un canale importante, anzi, ma è un dato di fatto che lavorano secondo logiche diverse, fatte di numeri e di volumi complessivi di vendita che, appunto, non sono quelli del nostro pubblico”.

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