Il data-ritratto

Martina e l’arte di fare impresa con il restauro

Recuperare le opere d’arte e fare manutenzione conviene? È un’attività che riesce a creare occupazione? La risposta può arrivare mettendo insieme i dati del settore e la testimonianza di una restauratrice di Verona. Che racconta: “Di lavoro, volendo, ce n’è per tutti…”

Pubblicato il 10 Ott 2014

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Riforma del lavoro, F35, iPhone 6, ma non solo. Ad animare l’informazione italiana di fine settembre ci ha pensato anche il summit dei ministri europei della Cultura riuniti a Torino. Una conferenza inserita nell’ambito della Settimana europea della cultura che oltre a garantire acceso libero in molti musei ha riacceso i riflettori sulle potenzialità economiche del nostro bene più prezioso: il patrimonio artistico. Un asset che prima di essere mostrato al pubblico ha bisogno di cura e manutenzione: restaurare conviene davvero? E dà lavoro? Abbiamo provato a capirlo analizzando qualche dato con l’aiuto di una restauratrice di Verona.

30mila

Deve esserci un fascino particolare nel poter vedere e toccare un’opera d’arte da vicino. Nell’avere accesso, come mai nessun turista potrà averlo, a una Monnalisa o a un affresco di Giotto. E forse è questo contatto fisico con il patrimonio artistico che spinge persone come Martina Pavan – 36 anni veronese e 10 anni di esperienza nel recupero delle opere d’arte – a far parte di un esercito. Anzi, di un corpo scelto composto da circa 30 mila tra restauratori e manutentori (queste le stime approssimative del Ministero dei Beni Culturali, dei sindacati e delle associazioni di categoria) che ogni giorno si prendono cura dei beni culturali sparsi su tutta la Penisola: una risorsa preziosa con cui è possibile mangiare ma che più spesso viene mangiato. Dalle intemperie e dall’incuria. Eppure, là dove molti vedono disfattismo e degrado, qualcun altro intravede poesia e opportunità.

LA DATA-INTERVISTA

Martina, perché fa questo mestiere?
Stavo visitando un basilica a Venezia quando ho visto per la prima volta una restauratrice all’opera, moltissimi anni fa. In quel momento ho pensato: io farò questo lavoro. Ho frequentato l’Istituto superiore per la conservazione ed il restauro di Roma, una scuola ambitissima, ma qui in Italia vantiamo diversi centri di formazione di altissimo livello. Il restauratore è più di un artigiano, è un vero scienziato delle opere d’arte, una figura indispensabile nel comparto Cultura.

Quanto valore aggiunto apporta all’economia di un Paese la manutenzione di un’opera, di una collezione museale, di un sito archeologico?
Molto valore aggiunto. Specie se si pensa che in media con un intervento di piccola manutenzione di circa 5 mila euro se ne possono risparmiare centinaia di migliaia e in alcuni casi milioni per riparare i danni da incuria e abbandono. Spendere meno ma programmando più interventi a distanza di poco tempo aumenterebbe il lavoro e farebbe risparmiare gli enti pubblici. Immagino di dare risposte noiose tirando fuori questi numeri, ma la mia professione è fatta anche di questo e non solo di poesia.

Il patrimonio artistico italiano è consistente, 30 mila restauratori non sono troppo pochi?
Di lavoro ce n’è per tutti, ma non ci siamo solo noi restauratori. L’indotto del settore comprende anche collaboratori, archeologi, chimici, biologi,

storici dell’arte, architetti e fisici: tutte figure che di solito non si pensa siano coinvolte negli interventi di restauro e che invece sono importantissime per capire come reagiscono i materiali dell’opera alle intemperie o che effetti avrà un particolare prodotto su una pittura o su una statua.

Lei è una libera professionista: lavora da sola o in squadra?
Il nostro è un lavoro di squadra, per forza. Con altre colleghe ho fondato una società di manutenzione e restauro che opera a Roma, la Ma.co.rè, proprio perché ognuna di noi è specializzata in un particolare tipo di intervento, ad esempio su legno, su marmo, su pittura. La conservazione non riguarda solo il patrimonio artistico ‘classico’: anche le opere d’arte contemporanea hanno bisogno di interventi, e lì di lavoro ce n’è tanto.

Per tutelare il patrimonio e renderlo remunerativo è meglio l’intervento privato o quello pubblico?
Direi privato al momento: aprire il più possibile a sponsor e investitori fa bene.

Cosa manca al suo comparto in questo momento?
Forse più prodotti ad hoc per il restauro. Mi spiego, ora l’incidenza di solventi e prodotti chimici per il mio lavoro è abbastanza bassa sul costo di un intervento: in genere pesa per il 10-20% sulle spese di restauro. Ma si passa molto tempo a sceglierli: la maggior parte di questi prodotti sono studiati per altri scopi, ad esempio vengono impiegati per i lavori edili o per la verniciatura. Non mi dispiacerebbe poter contare su una linea di prodotti testati e specifici. Ora ad esempio diversi centri di ricerca stanno mettendo a punto prodotti sviluppati con la nanotecnologia, utilissimi e dalle prestazioni incredibili.

Quella che è appena trascorsa è stata la Settimana europea della cultura: quale aspetto della tutela del patrimonio artistico dovrebbe potenziare l’Europa?
Bisognerebbe investire ancora di più nella piccola manutenzione, nel restauro e soprattutto nelle figure professionali come la mia che permettono di mantenere intatto il valore del patrimonio artistico. E poi servirebbero regole più flessibili per aprire un po’ più il mercato alle ditte private, piccole, che non possono permettersi di partecipare a grandi gare d’appalto per il recupero e il restauro anche di piccole porzioni di edifici, opere, ecc…: di lavoro ce n’è tantissimo, sono migliaia le chiese, i siti e i beni da monitorare, abbiamo solo bisogno di maggior accessibilità per intervenire.

DATA-CURIOSITÀ

28
È il numero di ministri europei che il 23 e 24 settembre ha animato il vertice della Settimana europea della Cultura Mentre la città piemontese ospitava il summit, nel resto del Vecchio continente arte e siti archeologici sono stati protagonisti per sette giorni del dibattito politico sulla gestione e il rilancio del patrimonio culturale.

46
L’Italia, tra chiese, opere e siti archeologici concentra nel proprio territorio un consistente patrimonio di interesse storico e artistico. Al momento abbiamo 46 siti culturali segnalati come patrimonio dell’umanità dall’Unesco (in tutto il mondo ce ne sono 777) e qualche migliaio di chiese, affreschi e opere non ufficialmente patrimonio dell’umanità ma che sono la vera ricchezza del Paese perché attraggono turisti e hanno bisogno di manutenzione costante.

100%
Le imprese che decidono di sponsorizzare e investire in interventi di recupero, manutenzione o cura del patrimonio artistico italiano godono del 100% di sgravi fiscali. In buona sostanza: possono scaricare dalla tasse l’intero importo investito. Anche le persone fisiche e gli enti non commerciali hanno vantaggi fiscali pari al 19 per cento di sgravi.

1979
È il numero di interventi di conservazione e tutela programmato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC) nel triennio 2014-2016. Si tratta di interventi ordinari di restauro, recupero e manutenzione in tutta Italia per un costo complessivo di 313 milioni 208 mila 263 euro.

Gioca sulla ruota di…
Uno dei maggior sostenitori economici dei beni culturali italiani è il gioco del Lotto. Dal 2010 a oggi chi ha giocato numeri sulle ruote di tutta Italia ha contribuito a restaurare e recuperare opere e siti di interesse culturale per 211 milioni di euro (esattamente 211.054.788 euro). Rispetto a 5 anni fa la fetta di finanziamenti si è ridotta di almeno due terzi, passando da oltre 60 milioni di euro nel 2010 a circa 24 milioni nel 2014.

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