Venture Cap

Le cose da non dire a un venture capitalist

Mai offrire la maggioranza della società o, ancora peggio, dire che non si vogliono fare soldi. Il VC non è un imprenditore ma un socio temporaneo che cerca il massimo ritorno possibile dell’investimento, almeno 10 volte. Anche perché deve bilanciare numerosi fallimenti.

Pubblicato il 06 Mar 2014

pierluigi-paracchi-founder-131129151029

Pierluigi Paracchi, founder and Ceo Medixea Capital, Investor and Board Member at EOS

Forse non ci siamo capiti! Un venture capitalist (“VC”) nazionale riceve qualche centinaio di proposte di investimento all’anno; un VC internazionale supera le mille, più di tre al giorno. Un VC non fa più di 2-4 investimenti all’anno in media; solo lo 0,3% di quello che vede finanzia. Fatti poi 10 investimenti, solamente uno, forse, riesce a ottenere i ritorni che un VC cerca: 10-15 volte il capitale investito.

Di recente ho avuto un incontro sconcertante con due imprenditori (comunque seri e preparati) che mi hanno presentato la loro idea; dal momento che si dice il peccato ma non il peccatore, eviterò di dare troppi dettagli per garantire il giusto anonimato. Mi occupo di investimenti nel biotech, in questo caso era un deal “green/clean economy” (i razionali delle biotecnologie sono diversi come avrò occasione di raccontare in altri post). Mi soffermo su due “peccati”:

1. il magico duo dopo circa un’ora e mezzo di conversazione se ne esce con un: “stiamo cercando un investitore che si prenda la maggioranza”;

2. non contenti, proseguono annunciando: “non stiamo facendo questo per fare soldi ma perché vogliamo fare qualche cosa di importante”.

Bene. Non ho lasciato scampo. Per prima cosa ho ricordato loro che un VC non è un imprenditore ma un socio temporaneo dell’impresa che cerca di fare del proprio meglio per favorire la creazione di valore, non solo apportando capitali. Se con il primo round di investimento i proponenti-imprenditori vanno già in minoranza vedo un problema motivazionale nell’affrontare la lunga sfida imprenditoriale fino alla exit [la valorizzazione dell’investimento tramite vendita o quotazione in borsa].

Secondo, non è peccato dire che si crea impresa per fare profitto; anzi, per creare una tonnellata di profitto: il VC americano Sequoia ha realizzato oltre 50 volte l’investito nella vendita di WhatsApp a Facebook e il fondatore della startup ha appena debuttato nella classifica di Forbes degli uomini più ricchi del mondo; con la vendita della biotech italiana EOS abbiamo realizzato oltre 14 volte l’investimento. Tutto ciò fa molto bene all’ecosistema che si nutre di exit: si creano miti, emulazioni, leggende.

Un VC cerca ritorni, come abbiamo detto, pari almeno a 10 volte il capitale che investe. Ciò per remunerare il capitale investito al netto dei numerosi fallimenti che deve affrontare nella sua attività di gestione. Insomma, viva gli imprenditori che sostengono il valore della propria impresa e che lottano per guidare il proprio progetto fino al successo. Per gli altri meglio il ritorno ad un (s)comodo lavoro subordinato.

* Pierluigi Paracchi è Ceo di Medixea Capital @pigiparacchi

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 4