Quintarelli: viviamo in epoche diverse perché il digitale non è (ancora) di tutti

Il 13 maggio un webinar con il tecnoguru, prestato alla politica, che ha appena pubblicato il libro “Costruire il domani”. Qui pubblichiamo il capitolo in cui spiega perché lo ha scritto: l’impatto delle tecnologie sulla società non è omogeneo. E la politica deve comprendere i mutamenti in atto. Registrati qui per poterlo incontrare online

Pubblicato il 14 Apr 2016

Stefano Quintarelli, informatico, esperto di tecnologia, innovatore, ex deputato e autore di "Capitalismo Immateriale"

Stefano Quintarelli ha appena pubblicato con Il Sole24Ore il libro “Costruire il domani. Istruzioni per un futuro immateriale”. Una cassetta degli attrezzi per capire un presente opaco e tentare di intravvedere un futuro indecifrabile. Quintarelli, professore, imprenditore seriale e business angel, è considerato uno dei pionieri del digitale in Italia. Dal 2013 è anche deputato impegnato sui temi dell’innovazione ed è stato nominato Presidente del Comitato di Indirizzo dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Qui pubblichiamo il capitolo di apertura del libro, in cui Quintarelli spiega l’obiettivo del suo lavoro ma anche le ragioni per cui leggerlo.

Un famoso aforisma dello scrittore W. Gibson recita: “il futuro è già qui, solo che non è distribuito in modo uniforme”. Alcuni di noi vivono già un quotidiano che per molti altri di noi è futuribile. Per certe persone, sono normali alcuni comportamenti e attività che per altre sono impensabili o – al massimo – “cose da film”. Alcuni traggono beneficio dall’utilizzo, anche quotidiano, di servizi e sistemi che per altri sono diavolerie incomprensibili. E che talvolta, pure, inducono timore. Lo stesso timore può averlo provato un nativo americano, sempre vissuto nelle praterie, se esposto alle innovazioni di una città all’inizio del secolo scorso.

La società è insomma sfilacciata tra chi vive un presente molto simile al passato e chi vive in un futuro molto simile alla fantascienza. Ed è un fatto che questo divario si stia allargando, con velocità crescente. La fisica, l’elettronica, le tecnologie digitali sono le principali responsabili di questo “sfilacciamento” della società che genera incomprensioni, disagio e finanche timore. Viviamo letteralmente in epoche diverse. Usiamo codici e pratiche che risultano di difficile comprensione e accettazione dai rappresentanti più estremi di questa disparità. Gli effetti non si limitano allo specifico settore dell’elettronica.

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Dato che quella digitale è una tecnologia trasversale che viene usata in ogni settore della società (gli economisti le chiamano GPT “General Purpose Technologies”) i suoi effetti si propagano su tutta l’economia. Ne beneficia anche la ricerca di base nei settori più disparati, dalla medicina alla chimica ai materiali eccetera. Non ci sono state moltissime tecnologie di questo tipo nella storia; ad esempio sono GPT il fuoco, il motore al vapore, l’elettricità, la ferrovia. Ma a differenza di altri casi precedenti le tecnologie digitali non evolvono e non producono i loro effetti a velocità costante. Lo fanno bensì a velocità crescente, come vedremo nel capitolo dedicato agli andamenti esponenziali delle componenti di base. Il risultato è che la distanza tra quei due estremi della società (“avanguardie” e “retroguardie”) tende ad aumentare. Aumentano così incomprensioni, disagio e tensioni che si manifestano nella società in molti modi.

Non appartengo alla categoria dei neo-luddisti che ritiene il futuro pericoloso o che l’evoluzione delle tecnologie metta in crisi le strutture sociali. Non sono un nostalgico romantico che, come scriveva già Jorge Manrique nel quindicesimo secolo, ritiene che “ogni tempo passato fu migliore”. Ma non sono nemmeno un futurista che è certo della radiosa magnificenza del futuro, come scrisse Filippo Tommaso Marinetti nel Manifesto Futurista del 1909: «Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi, da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro».

Non tutto ciò cui aspirano o immaginano i sacerdoti del culto delle avanguardie è positivo. Non tutto ciò che lamentano i soloni delle retroguardie è negativo. Tuttavia, molto è inevitabile. Sono infatti convinto che la strada sia segnata e che quindi certi fenomeni di base, determinati dallo sviluppo tecnologico, a sua volta determinato dalla evoluzione della ricerca nella fisica, siano inarrestabili. Mentre per molti secoli è esistita una economia solo materiale, l’economia immateriale – che da quella materiale origina – è uno sviluppo recente nella storia dell’uomo. Recente ma con una crescita poderosa. Si stima che nel 2030 arriveremo a 500 miliardi di dispositivi connessi alla rete con una conseguente enorme crescita dell’economia immateriale. Tentare di opporvisi risulta futile, anzi, controproducente perché nel farlo si impegnano energie e risorse…

Resta indubbio che le società sono plasmate dalla tecnologia. Ma il suo sviluppo può e deve essere guidato e tendere ad un ideale di benessere sociale il più ampio possibile. In questo senso è importante che intellettuali non tecnologhi e intellettuali tecnologhi si avvicinino contaminandosi a vicenda. È necessario che la politica si sforzi di capire in profondità i radicali mutamenti imposti dall’evoluzione tecnologica. Solo così è possibile trovare una sintesi, un punto di equilibrio tra tutela dell’esistente e promozione del futuro, capendo anche come le scelte di un Paese possano condizionare direttamente o indirettamente quelle di un altro.

Per questo è opportuno comprendere e governare certi aspetti più di dettaglio: per accompagnare l’evoluzione della società in modo da rendere le trasformazioni e le discontinuità, meno traumatiche possibili e massimizzare il potenziale di prosperità offerto dalle tecnologie. Così è possibile anche dare una giusta dose di fiducia nel futuro a chi è più pessimista, riconoscendo e difendendo valori base e loro evoluzioni; cercando di rendere più inclusiva la profonda trasformazione che stiamo vivendo e meno sfilacciata la società.

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