Smart working, siamo (anche) il luogo dove decidiamo di essere
L’ufficio comunica una buona parte di noi. Il marketing sensoriale ci dice che le sensazioni corporee determinano le decisioni che prendiamo. L’amministratore delegato di Windows on Europe spiega come se n’è tenuto conto nella Clubhouse Brera che aprirà in marzo
di Pietro Martani
Pubblicato il 23 Feb 2016

Credo che molti di noi sappiano che le cose stanno così, probabilmente è una cosa inconscia per la maggior parte del tempo, ma diventa fin troppo evidente quando si incontra un cliente per la prima volta. Consideriamo per un attimo l’esperienza alienante che ci attende: si fa la fila alla reception, si annuncia il proprio arrivo, si prende un badge visitatori, si attraversano i tornelli, si prende l’ascensore, probabilmente ci si perde al piano mentre si cerca l’ufficio/sala meeting in cui si deve andare, e poi finalmente si arriva dove si deve essere, si incontra una faccia amica (se si è fortunati!) e si incomincia a fare quello che si deve, magari anche con un rinfresco di benvenuto (se si sta davvero sbancando!).
In termini di personal branding, il nostro ospite non ne sta mettendo a segno una, vero?! Ma siccome viviamo nell’era economica della conoscenza, delle emozioni, della trasparenza, del social blending e sharing, emergono molte opportunità per rivoluzionare l’esperienza di uno spazio condiviso: immaginate un luogo in cui l’ospitalità di prima qualità viene abbinata a servizi d’avanguardia per voi e i vostri ospiti, un luogo in cui ogni nuovo ospite viene accolto da un ambiente familiare e confortevole. Pensate a questo: quando lo visitate per la prima volta, suonate al campanello e qualcuno viene ad accogliervi alla porta. Lui o lei vi guidano attraverso una lounge sofisticata, verso un bar, dove potete ordinare qualcosa da bere o fare quattro chiacchiere, mentre aspettate colui che vi ha invitato. Se doveste decidere di diventare un member di un luogo del genere, immaginate l’effetto che un’esperienza personalizzata come questa possa avere su di voi e conseguentemente anche sui vostri partner, fornitori, shareholder. Se tutto quello che ci hanno detto negli ultimi anni sull’environment branding è vero, e io credo lo sia, quali sarebbero gli indizi inconsci che mandereste anche allo stakeholder più disincantato? Che avete a cuore le persone, che riuscite a mettervi nei loro panni, che fate attenzione a ogni singolo dettaglio e che, fondamentalmente, vi importa quello che pensano e provano.

Per il nostro prossimo opening in Clubhouse Brera, Milano Italia, abbiamo sviluppato un member club con questo tipo di esperienza in mente, arricchendola con gli ultimi insegnamenti del marketing sensoriale. Nel numero di Marzo 2015 del HBR ho letto un articolo che svelava The Science of Sensory Marketing che ci spingeva a sviluppare un’expertise per coinvolgere i consumatori attraverso i cinque sensi, in modo da utilizzare al meglio le sensazioni corporee che in modo inconscio determinano le decisioni che prendiamo. Ho ripensato spesso all’esperimento condotto da Lawrence E. Williams, dell’University di Colorado a Boulder, e John A. Bargh, di Yale, che dimostrava come le persone che avevano tenuto brevemente una bevanda tiepida in mano, fossero più inclini a pensare che un estraneo fosse amichevole, rispetto a coloro che ne avevano tenuto una fredda. Ora, immaginate cosa accadrebbe se, invece di una mera bevanda, entrassero all’interno di un mondo in cui tutto è caldo e avvolgente.

Io lo credo fermamente: noi siamo dove decidiamo di essere. Il resto è rumore.
* Pietro Martani è amministratore delegato di Windows on Europe Group