ARTIFICIAL INTELLIGENCE

Robot in mostra: come sono nati e come sono oggi per l’Industria 4.0

Fino al 3 settembre, allo Science Museum di Londra, è possibile ripercorrere la storia della robotica, dagli automi del 1700 alla seconda rivoluzione industriale fino ai robot “pensanti” usati per scopi sociali o nelle fabbriche automatizzate. EconomyUp c’è stato: ecco cosa ha visto

Pubblicato il 17 Ago 2017

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La robotica è uno degli elementi distintivi dell’Industria 4.0, la quarta rivoluzione industriale incentrata sulla fabbrica interamente automatizzata e interconnessa. Può dunque sembrare un fenomeno relativamente recente: gli sviluppi nel campo dell‘intelligenza artificiale portano la maggior parte delle persone a credere che i robot siano nati e si siano evoluti a cavallo tra la seconda e la terza rivoluzione industriale. Pur essendo parzialmente vero – la parola robot venne coniata a metà degli anni ’20 da un romanziere ceco – nel mondo occidentale la robotica affonda le proprie radici nel lontano 1200-1300, per poi svilupparsi nel corso dei secoli fino ad assumere le caratteristiche attuali, in base alle quali i robot sono sempre più “macchine pensanti” in grado di coordinarsi e interagire con gli esseri umani,  svolgere compiti di assistenza e di controllo e persino imparare dai propri errori. Questo percorso è descritto in una mostra d’eccellenza, attualmente in corso allo Science Museum di Londra. Ho visitato questa mostra, che si intitola “Robots-The 500-year quest to make machines human” e che terminerà il 3 settembre. Ne ho ricavato una serie di informazioni che possono essere utili agli imprenditori dell’IT (ma anche di altri settori) e in generale a tutti gli innovatori per capire la trasformazione digitale: come è nata, come si è evoluta, a che punto siamo adesso. Si parte dagli autonomi tanto in voga nei secoli scorsi per passare ai macchinari utilizzati nella seconda rivoluzione industriale fino ad arrivare ai giorni nostri, dove trionfano i robot con sembianze umane e le macchine per l’Industria 4.0. Uno scenario in cui l’Italia fa la sua parte, per esempio con componenti ideati all’Università di Genova o con i macchinari per l’Industria 4.0 di Comau. Era italiano anche un ingegnere che negli anni Cinquanta costruì uno dei più popolari robot al mondo. Ma vediamo per ordine, e in estrema sintesi, le tappe fondamentali del percorso storico verso la robotica del 2017.

♦ LA NASCITA DEI ROBOT (1570 – 1800) – Pochi lo sanno, ma alcuni dei primi robot – o, per meglio dire, automi, i lontani antenati degli attuali robot – furono commissionati dalla Chiesa cattolica. Erano macchine che riproducevano le sembianze del corpo umano, dotate di meccanismi interni ad orologeria: riproduzioni di Gesù Cristo che sanguinava dalle ferite o di Satana che emetteva suoni orribili. Non abituato a questo genere di spettacoli, il popolo restava incantato e intimorito, e tendeva a credere che, dietro quelle figure che si muovevano e parlavano da sole, ci fosse una potenza divina. In questo modo, attraverso l’utilizzo della tecnologia, la Chiesa comunicava in modo vivido ed efficace il proprio messaggio. Il secolo d’oro per gli automi arrivò nel 1700, quando divennero strumenti di intrattenimento per le élite ma anche per il popolo. Era di moda assistere alle performance di manichini con sembianze umane che disegnavano, scrivevano o suonavano. Alcuni degli esemplari più pregiati furono costruiti per le corti reali europee, ammirati nei “gabinetti delle meraviglie” nelle case dei nobili o mostrati durante esibizioni pubbliche. Si può dire che chi li possedeva era una sorta di influencer ante litteram, perché in grado di attrarre e catturare le folle.

Un androide del 1700 in grado di disegnare
♦ LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE (1800-1920) – Nel 1781, con l’introduzione delle prime macchine e dei primi telai da tessitura a vapore, ebbe inizio la Seconda Rivoluzione Industriale. La sempre maggior richiesta di macchinari di questo tipo dette un forte impulso allo sviluppo della meccanica e della robotica. Un suo ruolo in questo scenario lo ebbe il Mechanical Turk o Automaton Chess Player, una macchina che giocava a scacchi con gli umani (e vinceva). Costruita nel 1770 dall’ungherese Wolfgang von Kempelen per impressionare l’imperatrice Maria Teresa d’Austria e distrutta dal fuoco nel 1854, fu esibita in pubblico da vari proprietari. In realtà era basata su un trucco: all’interno era nascosto un essere umano che portava avanti la partita. Tuttavia funse da stimolo per ulteriori riflessioni. In quel periodo sempre più gente abbandonava le campagne per andare a lavorare nelle fabbriche e si abituava a interagire con i macchinari. Così alcuni scienziati cominciarono a chiedersi se, in futuro, il lavoro ripetitivo nelle fabbriche potesse essere sostituito con qualcosa di simile al Tacchino, ovvero una macchina in grado di eseguire determinati compiti e relazionarsi con gli umani.

♦ I ROBOT E L’IMMAGINARIO COLLETTIVO – All’inizio del XX secolo i robot cominciano a “far sognare”: il cinema li adotta e dà loro una straordinaria ribalta. Nel 1927, in “Metropolis”, film di Fritz Lang, appare Maria, diventando subito il robot di fantasia più popolare del momento. Descritta come un Machinenmensch, un uomo-macchina, Maria ha il volto della maschera d’oro del faraone Tutakhamen, la mummia egiziana che era stata scoperta dagli archeologi cinque anni prima. In seguito molti film di fantascienza si sono ispirati alle fattezze di Maria per la rappresentazione scenica di robot. Tra le pellicole che hanno per protagonisti o comprimari esseri automatizzati non viventi ci sono, solo per fare qualche nome, Star Wars, The Terminator con Arnold Schwarzenegger fino ad arrivare a Ex Machina (2015), trasmesso da Netflix Italia.

♦ DAI GIOCATTOLI TELECOMANDATI… – I primi modelli di robot giocattolo appaiono sugli scaffali degli esercizi commerciali negli anni Trenta. I robot restano ancora, in parte, fonte di intrattenimento, ma nel contempo la loro presenza contribuisce ad alimentare le aspettative su una futura, intensificata relazione uomo-macchina. Nel 1957 un italiano dà il suo contributo allo sviluppo della robotica: si chiama Piero Fiorito ed è un ingegnere torinese appassionato di aero-modellismo. Fiorito costruisce Cygan, enorme robot che pesa 500 kg ed è implementato da 13 motori elettrici gestiti attraverso un radio-controllo. Cygan ha una fulminante carriera: danza, recita e partecipa a spettacoli di vario genere. All’epoca Fiorito, oggi dimenticato, si conquistò la copertina di una nota rivista insieme a Brigitte Bardot. Come lui altri ingegneri di altre parti del mondo costruirono in quegli anni robot di questo tipo.

Cygan, ideato dal torinese Fiorito
♦ …ALLE MACCHINE INTELLIGENTI – Gli “uomini di latta” erano piccoli capolavori di ingegno e creatività, ma non avevano una propria “mente”. Dietro ogni robot che si esibiva c’era un essere umano che lo guidava tramite un telecomando o un microfono. Negli anni Cinquanta i ricercatori cominciano a esplorare nuove modalità in base alle quali le macchine possano operare senza alcun aiuto da dietro le quinte. Alcuni si concentrano sulla fabbricazione di macchine in grado di reagire all’ambiente esterno come un essere umano. Altri puntano alla realizzazione di robot che possano eseguire specifici compiti in totale autonomia. Negli anni Novanta i robot cambiano anche “fisicamente”: prima si muovevano attraverso cavi, ingranaggi, pesi e contrappesi, ora gli ingegneri cominciano a lavorare su robot antropometrici con scheletri in plastica e tendini e muscoli realizzati con corde sottili ed elastiche. I progressi nella tecnologia e nelle conoscenze mediche aprono a nuove possibilità di creare macchine con forme e abilità umane. Tra i vari esemplari presenti nella mostra londinese c’è Cyskin, sviluppato dall’Università di Genova. Si tratta di una pelle artificiale flessibile in grado di dare agli oggetti il senso del tatto. I suoi sensori possono ricoprire una struttura robotica come fa la pelle umana con il nostro corpo. In questo modo il robot può avvertire quale parte del suo scheletro viene toccata e con quanta forza, e può quindi interagire in modo più intuitivo e sicuro con gli umani.

♦ I ROBOT SOCIALI – Dal 2000 in poi gli scienziati hanno cominciato a produrre robot destinati a scopi sociali. In mostra a Londra alcuni esemplari: Harry, il primo umanoide in grado di camminare della Toyota (2005), disegnato per suonare realmente la tromba; RoboThespian (UK, 2016), primo robot con sembianze umane ad essere commercializzato, un androide che recita e che ha partecipato a film e commedie, oltre a celebrare un matrimonio in Cina; Kodomoroid (Giappone, 2014), lettrice di notizie per Miraikan, il Museo Nazionale Giapponese delle Scienze emergenti (in pratica una giornalista). Quando è stata creata, Kodomoroid era considerata uno degli androidi più realistici del mondo.

Kodomoroid
C’è poi il robot che risponde alle emozioni umane, Pepper, in grado per esempio, in futuro, di fungere da badante per anziani, e Nao, utilizzato per l’insegnamento ai bambini.

ROBOT E INDUSTRIA 4.0 – Lo sviluppo della robotica nell’Industria 4.0 è un argomento lungo e complesso che merita un approfondimento a parte. Viene comunque dedicato uno spazio, nell’ambito della mostra, a questo fondamentale capitolo nella storia della robotica. Il primo robot al mondo a due braccia pensato per lavorare con l’uomo viene dagli Usa, si chiama Baxter ed è stato commercializzato nel 2015. Esiste in due versioni: una per l’utilizzo nelle fabbriche, l’altra per attività di ricerca in laboratorio. Baxter può indirizzare il proprio “sguardo” in varie direzioni per indicare cosa è in procinto di fare. E’ inoltre in grado di usare sei espressioni facciali per mostrare lo stato delle operazioni: neutrale, concentrato, confuso, sorpreso, triste (quando è quasi scarico) o dormiente. Anche il personale non specializzato può agevolmente addestrare Baxter guidando le  braccia e le pinze delle quali è fornito nelle posizioni corrette e poi salvando la memoria delle sue azioni.

Baxter
Il primo robot industriale con due braccia certificato da autorità indipendenti come in grado di lavorare in sicurezza a stretto contatto con gli esseri umani viene invece dalla Svizzera e si chiama YuMi. Lanciato nel 2015, è stato ideato per assemblare dispositivi elettronici, medici e altri piccoli device. A differenza dei tradizionali robot industriali di grandi dimensioni – potenti e che presentano alcuni potenziali rischi – YuMi è piccolo, sicuro ed è in grado di lavorare a pochi centimetri di distanza da una persona.

YuMi
In questo spazio dedicato alla robotica per la quarta rivoluzione industriale trova posto anche l’Italia con Amico, una macchina per l’Industria 4.0 realizzata da Comau, azienda torinese del Gruppo FCA, che sviluppa e realizza processi di automazione, soluzioni e servizi di produzione ed è specializzata in robot di saldatura.

Modello dimostrativo di Amico
Amico consiste in braccia robotiche flessibili, di alta precisione, pensate per essere montate in qualsiasi posizione. Nel modello dimostrativo presente all’interno della mostra londinese le braccia sono montate su un corpo umanoide per rimarcare la loro capacità di lavorare con semplicità ed efficacia anche all’interno di un piccolo spazio. Un dispositivo ideale per la fabbrica 4.0.

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