Open innovation

Quantum Leap: «Portiamo i brevetti innovativi delle startup alle aziende»

«Aiutiamo le imprese a cercare innovazione “ready made” e le neo società a trovare sbocchi di mercato» dice Emilia Garito, Ceo dell’azienda di brockeraggio della proprietà intellettuale. «Per noi open innovation è promuovere ricerca e idee»

Pubblicato il 07 Mar 2016

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Emilia Garito, Ceo e founder di Quantum Leap

“Finalmente la definizione di open innovation è entrata nel linguaggio comune”. Parte da questa affermazione l’incontro tra Emilia Garito, Ceo e fondatrice di Quantum Leap, ed EconomyUp. Con sedi a Torino e Roma, l’azienda è specializzata in “innovazione aperta” e trasferimento tecnologico. Nel dettaglio, Quantum Leap è la rappresentante italiana in esclusiva di “ICAP Patent Brokerage”, società statunitense attiva nel brokeraggio di brevetti e proprietà intellettuale. Grazie a questa partnership, l’azienda ha accesso sia ad un portafoglio di 400 nuovi brevetti americani l’anno sia ad ulteriori 1.400 proposte derivanti dalle partnership create con IP Intermediary – l’istituto governativo dello stato di Singapore preposto al trasferimento tecnologico e alla valorizzazione della ricerca – a cui si aggiungono le decine di brevetti per i quali ha ricevuto mandato da centri di ricerca nazionali e singoli inventori. Stiamo parlando, complessivamente, di un portafoglio di oltre 2.000 brevetti tecnologici e decine di modelli di industrial design, che Quantum Leap può offrire alle aziende che vogliono essere aggiornate sui loro settori di attività e supportate nell’acquisire una licenza dai rispettivi proprietari IP (Intellectual Property). Aziende che, “come sosteneva Henry Chesbrough, possono e devono fare ricorso anche ad idee esterne se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche”, sottolinea Garito.

Partiamo dal paradigma di “open innovation”. Che la Quantum Leap sposa.
Assolutamente sì. Oggi in Italia sta aumentando la consapevolezza dell’opportunità di operare, sia in ambito industriale sia accademico, con un approccio e una visione ispirate all’innovazione aperta. Questo cambio di percezione del business, una volta trovato il sistema di implementarne le procedure attuative e di sviluppare una filiera dell’open innovation, è alla base di un nuovo modello di sviluppo economico industriale, anche per il nostro paese, che vale 329 miliardi di dollari nel mondo, di cui i principali paesi beneficiari sono gli Stati Uniti con un mercato da 128 miliardi di dollari e l’Europa, con 122 miliardi di dollari di fatturato derivante da royalties su proprietà intellettuale.

Che cosa significa, per una realtà come la Quantum Leap, applicare il paradigma di “innovazione aperta”?
L’azienda è stata creata nel 2011 per dare consulenza e supporto operativo alle imprese e ai centri di ricerca italiani secondo l’approccio dell’open innovation e con la missione di raggiungere, per essi, i difficili mercati internazionali. Applicare il paradigma dell’innovazione aperta significa infatti promuovere la ricerca e, più in generale, le idee brevettate e/o in via di brevettazione, creando l’opportunità di trasferirle presso il mondo industriale attraverso accordi di licenza d’uso dei diritti che ne tutelano l’inventiva e l’unicità creativa. In breve, la Quantum Leap opera nel ruolo di Patent Broker e definisce le possibili strategie di valorizzazione della proprietà intellettuale al fine di accelerare il processo di trasferimento tecnologico, dalla ricerca all’industria al mercato: tanto più i tempi tenderanno a zero, tanto più facilmente il nostro paese diventerà competitivo sui mercati globali.

Quali e quante sono le risorse, in termini di persone e investimenti, che dedicate all’innovazione?
Gli investimenti principali, in passato, sono stati quelli affrontati fin dal principio per la costruzione del network internazionale, mentre oggi quelli più importanti sono indirizzati in risorse umane e formazione. Di fatto, la struttura necessaria per fornire la consulenza richiesta dai nostri clienti – e per aumentare le loro probabilità di successo – è molto onerosa soprattutto a livello di formazione. Per questo gli investimenti in risorse umane vanno misurati in termini economici, nel valore stesso della formazione e nel tempo necessario per trasferirla.

Esiste un modello di open innovation al quale vi ispirate?
Il modello della Quantum Leap si è evoluto negli anni con l’esperienza e con la maggiore conoscenza del mercato italiano ed estero. È nato con l’idea di investire nei primi anni, assumere maggiormente il rischio dei propri clienti – per poter ampliare il portafoglio di tecnologie a cui attingere direttamente – e svolgere con maggiore facilità anche il servizio di scouting tecnologico per conto dell’industria. Oggi il modello ricalca quello dei “patent broker” internazionali e dei centri di trasferimento tecnologico che hanno una missione di valorizzazione della proprietà intellettuale, passando da una logica difensiva ad una logica di condivisione,

Da quante persone è composto il team della Quantum Leap? Qual è il fatturato?
La nostra squadra è formata da una decina di persone, tra staff, brokers e senior advisors esterni, ma è necessario aumentare il numero di persone da coinvolgere in tutte le attività oggi offerte e che sono rivolte ai centri di ricerca, ma anche e sempre di più alle aziende. Il fatturato? Si aggira intorno ad alcune centinaia di migliaia di euro ed è in crescita.

Come vi rapportate alle aziende già avviate e alle startup? In che modo organizzate le vostre relazioni?
Le imprese possono risolvere il problema della “maturità” della maggior parte dei propri settori tecnologici andando a cercare innovazione “ready made”, soluzioni innovative già brevettate da altri. Per contro, la brillante ricerca tecnologica, spesso contenuta nelle startup innovative, deve avere un aiuto per trovare sbocchi di mercato. Noi operiamo con entrambi, ma attraverso modalità e strumenti diversi. Per le imprese effettuiamo stime economico-brevettuali, valutazioni tecnico comparative, analisi di mercato e scouting tecnologico ai fini del licensing; per le startup, invece, abbiamo creato “QCatalyst”, un catalizzatore di competenze e opportunità ai fini di accelerare il loro accesso al mercato. Le aiutiamo a trovare finanziamenti, a rielaborare il modello di business in funzione anche della possibilità di valorizzare il proprio know-how e il portafoglio brevetti all’estero, o in Italia, in attesa di migliorare le loro performance economiche.

In che modo vi state espandendo, anche a livello di partnership?
Stiamo iniziando a collaborare con società di consulenza più grandi e a mettere a disposizione le nostre competenze specifiche, per poter operare insieme e più efficientemente sul mercato dell’industria italiana in ambito di open innovation. In parallelo, stiamo ampliando la rete di accordi con centri di ricerca, università, incubatori industriali e fondi esteri di investimento in start up e in Pmi con tecnologie brevettate. E ancora, manteniamo solide le partnership con operatori internazionali del settore, mentre è imminente il connubio con nuovi partner nell’ambito del trasferimento tecnologico dall’Italia verso la Cina.

Quali sono le difficoltà, oggi, nel fare business in Italia?
Il nostro è un paese di eccellenza tecnologica che crede di dover vivere soltanto di industria del cibo, moda e turismo; tutto ciò anche se siamo all’ottavo posto nel mondo per numero di pubblicazioni scientifiche e al quarto in Europa. Ne consegue una percezione distorta, da parte degli italiani, che genera sfiducia ed inerzia a operare perseguendo modelli più ambiziosi di sviluppo. Tutto ciò si ripercuote sulla possibilità di fare business in maniera trasparente e veloce, ma soprattutto di formare adeguatamente le nuove generazioni di imprenditori che, spinti dall’energia dell’innovazione globale, sono motivati a cercare fortuna altrove.

Quantum Leap fa dell’open innovation un cavallo di battaglia. Per capire in genere quali sono i modelli e gli strumenti più utili con cui fare innovazione aperta, c’è la piattaforma del gruppo Digital360. Scopritela qui

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