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Quanto trasferimento tecnologico c’è nel Recovery Plan? I numeri e qualche sorpresa

Nel Recovery Plan il Trasferimento Tecnologico compare nella Missione 4 (Istruzione e Ricerca) e 6 (Salute) per un totale di circa 12 miliardi. meno del 6% del totale disponibile. Nel piano nessuna occorrenza per la parola “venture capital”, due per “startup” e una sola per “open innovation”

Pubblicato il 19 Feb 2021

Photo by Emily Morter on Unsplash

Il Recovery Plan rappresenta l’opportunità di intraprendere una sostenibile e duratura ripartenza dell’economia italiana, su due parole chiave trasversali: innovazione e ricerca scientifica.

Secondo l’Indice annuale sull’innovazione della Commissione Europea, come si legge nell’introduzione all’ultima bozza disponibile del Recovery Plan del 12 gennaio,  l’Italia è un “innovatore moderato”, sotto la media dell’Unione. Per diventare un leader dell’innovazione, dovrà aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo, pubblici e privati, e competere sulla frontiera tecnologica, in particolare nel trasferimento tecnologico e nelle catene strategiche del valore europee, con un forte coinvolgimento delle PMI, puntando sulle filiere più avanzate, sulla crescita dimensionale e l’internazionalizzazione.

Recovery Plan, che cosa c’è per innovazione e ricerca scientifica

Nel Recovery Plan “pre-Draghi” abbiamo 209 miliardi di euro, di cui 144,2 miliardi finanzieranno “nuovi progetti”, mentre i restanti 65,7 miliardi sono destinati a “progetti in essere”. Ma quanti di questi soldi sono al momento destinati a innovazione e ricerca scientifica? Poichè affrontare le 172 pagine del testo non è banale, sono partito da una ricerca e da un’analisi delle keywords contenute.

Si scoprono così cose interessanti:

  • nessuna occorrenza per la parola “venture capital”, due per “startup” e una per “open innovation”.
  • va un filo meglio se mettiamo il termine “equity” (3 occorrenze);
  • nessuna occorrenza per “deep tech”, ma attenzione ben 4 occorrenze per “Key enabling tecnologies”, le famose KET europee, ossia le 6 tecnologie considerate dalla Commissione Europea come abilitanti e trasversali, tali da avere impatti profondi in tantissimi settori industriali e applicazioni quali biotecnologie, fotonica, materiali avanzati, micro e nanoelettronica, nanotecnologie, sistemi di fabbricazione avanzati (anche se poi nel testo del recovery plan ne troviamo di altre rispetto a quelle originariamente pensate dal legislatore comunitario);
  • ma attenzione, la sorpresa è trovare per ben 30 volte le parole “trasferimento tecnologico” (compresi i titoli, indici etc).
  • 3 occorrenze per “brevetti” e 1 per “proprietà intellettuale”;
  • e infine, anche il termine POC (proof of concept), che compare 2 volte.

Insomma, i concetti più o meno ci sono; sono i numeri che sembrano insufficienti, se li guardiamo con la prospettiva che la ripresa del Paese passerà inevitabilmente dall’innovazione e dalla ricerca scientifica.

Recovery Plan, dove si trova il trasferimento tecnologico

Come sappiamo, l’attuale Recovery Plan è articolato in 6 missioni; il Trasferimento tecnologico ricorre in primo luogo nella Missione 4 Istruzione e Ricerca, che cuba 28,5 miliardi, 13,5% del totale, diviso in

  1. potenziamento delle competenze e diritto allo studio, 16,72 miliardi
  2. dalla ricerca all’impresa, 11,77 miliardi (5,6% del totale)

Il concetto di Trasferimento tecnologico ricorre anche nell’ambito della missione 6 (Salute), nell’ambito del potenziamento e valorizzazione della ricerca biomedica dei sistema sanitario), con ahimè però soltanto 30 milioni di Euro, così suddivisi:

  • fondi POC per 100 milioni di Euro, con cui si prevede il finanziamento di progetti attraverso i quali ridurre il gap fra risultati della ricerca e applicazione industriale e sostenere lo sviluppo di tecnologie con un basso grado di maturità tecnologica, nonchè favorirne il trasferimento tecnologico verso l’industria;
  • finanziamento dedicato per sviluppare terapie specifiche su patologie rare, 100 milioni di Euro (giova ricordare che solo uno dei fondi di trasferimento tecnologico finanziati dalla Piattaforma ITAtech ha raccolto oltre 100 milioni di Euro, per investire in terapie rare basate in Italia);
  • rete di centri per il trasferimento tecnologico dedicata alla scienze della vita a alla salute, 40 milioni di Euro;
  • rafforzamento dell’hub Lifescience, ovvero infrastrutture dedicate alla ricerca pubblica-privata, all’attrazione di iniziative imprenditoriali innovative, al trasferimento tecnologico, 60 milioni di Euro.

Tech transfer, circa 12 miliardi nel Recovery Plan

Se ho interpretato bene la lettura tramite keywords e senza pretesa di aver approfondito in dettaglio tutte le 172 pagine, in totale nell’attuale versione del Recovery Plan pre-Draghi abbiamo poco più di 12 miliardi sul tech transfer e l’innovazione collegata alla ricerca scientifica, ossia meno del 6% del totale disponibile. Se la ripresa del Paese passa da qui, i numeri in gioco debbono sicuramente essere aumentati.

Riprendo le parole di Mario Draghi, che  già nel 2007 in un discorso alla Scuola Normale Superiore di Pisa col titolo “Dalla ricerca all’innovazione, per la crescita economica”  evidenziò come “la crescita di lungo periodo si sostiene con un elevato tasso di innovazione, che si alimenta e si realizza mediante un meccanismo di selezione e di “distruzione creatrice” delle iniziative imprenditoriali. L’ingresso di imprese portatrici di nuove idee, prodotti, tecniche di produzione o modelli organizzativi spinge fuori dal mercato quelle incapaci di rinnovarsi e tenere il passo. La chiave del processo economico è perciò garantire che gli innovatori possano svolgere il loro ruolo e che non siano esclusi dal sistema produttivo”.

Che cosa serve oltre ai capitali

La straordinaria novità degli ultimi mesi è che cominciamo ad avere tutti gli ingredienti al tavolo per realizzare una distruzione creatrice: competenze e attitudine all’innovazioni crescenti, nuovi capitali pazienti e dedicati. I denari però sono necessari ma non sufficienti. Sappiamo per esempio che per una piena interpretazione della terza missione degli atenei (ossia, in sintesi, il Trasferimento Tecnologico) dobbiamo aumentare il livello di preparazione del personale negli uffici dedicati e avere il coraggio di fare interventi a livello legislativo, per cambiare uno status-quo che sopravvive da troppi anni e che blocca l’enorme potenziale che abbiano nei nostri centri di ricerca. Ne abbiamo a lungo parlato in altre puntate del blog Eureka, che trovate qui.

La pandemia passerà, prima o poi, con un’unica certezza: alla fine saremo, come persone e come società, molto differenti da come eravamo prima del Covid-19. Non dobbiamo pensare a come e a quando ritorneremo a vivere come prima della crisi sanitaria (ed economica), dobbiamo costruire un nuovo futuro. La speranza è che si passi presto dall’ossessione della mascherina e del gel sulle mani all’ossessione per l’innovazione e che questa nuova visione venga davvero recepita nel Recovery Plan che verrà. In gioco c’è il futuro di un intero paese e delle nuove generazioni.

Stay tuned!

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Stefano Peroncini
Stefano Peroncini

Venture Capitalist e Serial Entrepreneur. CEO di EUREKA! Venture SGR e membro del Comitato di Investimento di FARE Venture (Fund of Funds da 80Ml€ di Lazio Innova). È stato fondatore e CEO di Quantica SGR, fondo che ha investito nella startup biotech EOS, ceduta all’americana Clovis Oncology per 470ml$

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