ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

L’innovazione non abita più in fabbrica, il suo posto è in “comunità”

Chris Anderson, co-fondatore di 3D Robotics (droni), spiega perché vincerà il modello aziendale “comunitario”: “Non ha barriere all’accesso, è aperto e trasparente, chi ci lavora ha motivazioni forti e guarda al lungo termine. Le vecchie companies ragionano sul breve periodo”

Pubblicato il 18 Ago 2014

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L’innovazione non abita più nelle fabbriche o nelle officine: la sua casa è la comunità. È un concetto di cui è convinto assertore Chris Anderson, direttore di Wired per oltre 10 anni, autore di libri sull’economia digitale e dal 2009 co-fondatore di 3D Robotics, azienda che produce tecnologia per Unmanned Aerial Vehicle (UAV), cioè droni. Un percorso che, come spiega lo stesso Anderson a Bcg Perspective del Boston Consulting Group, ha una sua logica perché “grazie alla tecnologia è diventato molto più facile mettere in piedi una fabbrica di quanto non lo fosse un tempo”. E del resto la sua non è una fabbrica ma, come lui stesso sottolinea, una comunità, ovviamente innovativa.

Ma cosa significa essenzialmente essere una comunità innovativa? L’ex direttore di Wired inizia l’intervista a Bcg Perspective spiegando che “il modo più facile per confrontarsi con i fondamentali cambiamenti che comporta l’innovazione tecnologica è semplicemente accoglierli”. Ricorda che, grazie a questa innovazione, le cose sono diventate meno costose, più facili e sono cadute le barriere all’ingresso, perciò nel mercato hanno fatto la loro apparizione nuove figure: startup, imprenditori e persino dilettanti. In particolare Anderson cita l’esempio dei media tradizionali, “devastati” dallo sviluppo del web, le cui barriere all’entrata sono pari a zero.

È proprio lasciando il suo incarico nei media che si è ritrovato a guidare la più grande azienda di droni degli Usa, che però – rimarca – “non voleva essere un’industria, ma è cominciata come un hobby ed è diventata una comunità”.

“In passato – spiega l’imprenditore – costruire un’azienda era una cosa difficile. Bisognava trovare i finanziamenti e cominciare concretamente a metterla in piedi. Oggi la tecnologia della produzione è arrivata ad essere così automatizzata e così poco costosa che si può esternalizzarla attraverso il cloud o si possono acquistare i componenti necessari su eBay come ha fatto il mio partner, un ragazzo di 19 anni di Tijuana. Ha comprato dei macchinari da eBay, ha scaricato il manuale delle istruzioni da Google, ha imparato da solo come usarlo, ha assunto persone ed ha contribuito alo sviluppo dell’azienda senza bisogno di fondi fino al momento in cui già si producevano decine di migliaia di oggetti. A quel punto, quando abbiamo avviato la raccolta di venture capital, siamo stati in grado di fare scale up, cioè di ampliarci verso uno stadio imprenditoriale più impegnativo”.

Il tutto sempre tenendo la barra dritta verso il concetto di comunità, opposto a quello di industria tradizionale. L’ex direttore di Wired chiarisce che, essendo 3D Robotics prima di tutto una comunità, prende decisioni “che vanno a vantaggio della comunità e a svantaggio dell’azienda”. In questo segue il consiglio di uno dei consulenti, Matt Mullenweg, Ceo di WordPress: “Scommettete sempre sulla comunità, perché c’è differenza tra pensare a lungo termine e a breve termine. Gli interessi di un’azienda sono nel breve termine, quelli di una comunità nel lungo termine”.

Tutto questo significa cambiare totalmente modo di pensare e, in conseguenza, di agire. Significa, spiega ancora Anderson, lasciare da parte avvocati, l’equipe che si occupa dell’Ip o quella che si occupa delle licenze, e dire a tutti coloro finora abituati a lavorare in gran segreto per battere la concorrenza di diventare trasparenti e aperti. “È difficile, è molto difficile” ammette.

Per quanto riguarda le grandi aziende, Anderson cita l’esempio di quanto ha fatto Apple con gli Apple Store: “È un’azienda super-chiusa – rileva – ma si è dotata di una piattaforma dove chiunque può fare quello che vuole, se approvato”.

Il modello di comunità non deve però far pensare a uno stile completamente anarchico di lavoro. Al contrario l’intervistato afferma che nelle comunità c’è bisogno di una leadership più forte del consueto. “Non sappiamo chi sono le persone che ne fanno parte, non hanno lavoro, hanno tutti motivazioni diverse. Nessuno ha come motivazione uno stipendio. Hanno tutti opinioni precise e hanno deciso di unirsi al progetto ognuno per le sue ragioni e, come risultato, vogliono perseguire il proprio progetto. In questo caso – ribadisce Anderson – serve una maggiore leadership, definizione di ruoli più netta del solito e demarcazione dei progetti. Non ci sono impiegati, ma persone che debbono portare a termine dei compiti e delle responsabilità. Possono essere licenziati o meno in base alle loro performance. Sono valutati per quello che fanno in ogni momento, mentre l’impiegato standard è sottoposto a valutazione annuale. Insomma, al vertice di ciascuna comunità ci deve essere un benevolo dittatore”.

Secondo Anderson, le aziende con modello comunitario “vinceranno sempre”, specialmente con la diffusione dell’Internet of Things, perché tutti gli oggetti sono connessi tra di loro ed è un modello difficilmente sostenibile quello di una fabbrica che, per esempio, produce e consegna solo un certo tipo di elettrodomestico senza aver provveduto a connetterlo con altri dispositivi casalinghi. “Il momento in cui qualcosa diventa parte di un network, c’è un vantaggio nel possedere una piattaforma e nell’avere uno standard aperto su cui altre persone possono lavorare”. Ed è questo il metodo di lavoro di una comunità.

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