TECNOLOGIA SOLIDALE

Giorgio Metta (IIT): investiamo 1 miliardo per una Società della Ricerca Applicata

“Si tratta di costruire “massa critica” per evitare la frammentazione, perché la ricerca oggi richiede investimenti e dimensioni importanti”, dice Giorgio Metta che propone di “replicare” il modello dell’Istituto Italiano di Tecnologia di cui è direttore scientifico. “Possiamo farlo adesso con il PNRR”

Pubblicato il 02 Lug 2021

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Professor Giorgio Metta, come sta Maria Fossati?

“Mi sembra stia molto bene e proceda di buon animo nel proprio lavoro di designer all’interno del team di SoftHand Pro, sviluppando protesi, come la mano artificiale che lei stessa indossa, essendo priva della mano sinistra dalla nascita.”

La mano bionica è un “classico esempio” di tecnologia solidale. Ne avete altri all’interno dell’Istituto Italiano di Tecnologia, che lei dirige dal 2020?

“Ne abbiamo diversi, ma mi lasci dire che tutto l’Istituto è un esempio di tecnologia solidale, anzi solida, come dice lei, perché a suo tempo abbiamo scelto di specializzarci in quattro settori, robotica, nanomateriali, lifetech e scienze computazionali, che hanno moltissime applicazioni di tecnologia solidale.”

Ne sono molto contento, anche perché c’ero, quando votammo la vostra istituzione, nel 2003, superando molti contrasti e una durissima opposizione. La consideravo una iniziativa che avrebbe potuto innovare l’intero mondo della ricerca italiana e sono molto contento del vostro buon esito. Ora che si comincia a intravvedere la luce in fondo al tunnel, come vi state preparando?

“È tempo di guardare in positivo alla ricerca, agli scienziati e ai modelli virtuosi che ospitano grandi concentrazioni di sapere in modo innovativo. La dispersione di idee, organizzazioni spesso frammentate e suddivise in funzione di logiche geografiche o personalistiche, non ha permesso alla ricerca anche quella sviluppata in ambito tecnologico, di offrire risultati tangibili al nostro Paese.”

Il PNRR è l’occasione buona per sostenere un processo che tenga insieme idee e investimenti?

“Lo sarà se sapremo fare le cose giuste. Prima come scienziato e ora come Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia ho potuto lavorare ad un modello di organizzazione dedicato alla ricerca che funziona e che può essere replicabile. I nostri risultati, validati da personalità scientifiche indipendenti (come il nostro statuto prevede) lo dimostrano.

Giorgio Metta, direttore scientifico dell'Istituto Italiano di Tecnologia

Quindi lei sta proponendo di replicare l’IIT? In che modo?

“Sì! Propongo di costituire la Società della Ricerca Applicata, con una missione chiara: ricerca e trasferimento tecnologico, puntando a una “smart specialization” nazionale, come identificata nel PNRR: intelligenza artificiale, ambiente ed energia, idrogeno, biofarma, agrifood, fintech, al quale dovrebbe aggiungersi la robotica/automazione, sulla quale l’Italia vanta un primato assoluto. Penso alla creazione di un sistema unitario e integrato, simile alla Fraunhofer Gesellshaft, l’organizzazione tedesca che raccoglie più di 60 istituti di scienza applicata. Dobbiamo creare una massa critica di risorse, competenze, capacità che offrano al nostro Paese la possibilità di competere ai massimi livelli nel panorama tecnologico internazionale.”

Se capisco bene, lei vorrebbe costruire ex novo tanti IIT specializzati, con lo stesso modello di reclutamento internazionale dei ricercatori, basato su un chiaro percorso di carriera e di valutazione fondati su standard internazionali universalmente riconosciuti, in cui i costi di amministrazione non incidano più del 15% dei costi totali?

“Esatto. Si tratta di costruire “massa critica” al fine di evitare la frammentazione, perché la ricerca oggi richiede investimenti e dimensioni importanti. Per questa ragione, la Società della Ricerca dovrebbe avere dei poli “pesanti”, istituti con 500-1000 unità di personale ciascuno e ramificazioni territoriali più leggere ove necessario, con una governance locale operativa, coadiuvata da un board di natura strategica a livello della Società nel suo insieme. Questi nuovi poli “pesanti” sarebbero indipendenti (come fondazioni di diritto privato per esempio) ma federati tra loro, previa preparazione di un Piano Strategico, per evitare duplicazioni e concentrare le risorse al meglio. Il reclutamento dei ricercatori dovrebbe avvenire a livello nazionale e internazionale in maniera molto aggressiva (abbiamo poco tempo!), formando i talenti migliori in tempi molto brevi, includendo la formazione sui temi di trasferimento tecnologico e di business.”

Nel 2003 stabilimmo una dotazione annua di 100 milioni per l’IIT. Attualmente, dopo una serie di riduzioni, la legge di bilancio 2020 l’ha diminuita a 91,5 milioni.  Per questa Società della Ricerca Applicata lei a che tipo di investimento pensa?

“Per poter dar vita a un progetto di questa portata credo si debbano investire risorse economiche fino a 800-1000 milioni di euro all’anno in tempi molto brevi. Per poter agire secondo le tempistiche previste dal PNRR, viene quindi naturale pensare a una struttura già esistente nel nostro Paese che possa essere utilizzata come modello o, addirittura, come trampolino di lancio per l’iniziativa completa.”

Quindi lei dice, moltiplichiamo per dieci l’IIT. Non le sembra di essere un po’ di parte?

“Lo sono, ma perché l’IIT mostra che si può fare. Replicare il modello di una struttura già esistente fa guadagnare tempo e risparmiare denaro. Dalla fine del 2003, abbiamo impiegato 18-24 mesi per arrivare da zero alla selezione del management e successivamente solo 12 mesi per avere i primi laboratori funzionanti. Ebbene, utilizzando l’esperienza IIT, i primi 18-24 mesi si potrebbero evitare e di fatto dal giorno zero, si potrebbe lavorare ai Piani Strategici (scientifici e tecnologici), alla realizzazione dei laboratori, al reclutamento dei ricercatori. Nell’ambito del PNRR, visto anche l’orizzonte temporale richiesto dall’Europa, si potrebbe realizzare una crescita rapida con eccellenti risultati.”

Tuttavia in Italia ci sono già anche esempi di realtà virtuose, che mettono insieme ricerca e trasferimento tecnologico, attrazione di talenti stranieri e ritorno in Italia di cervelli che erano andati all’estero. Penso, per esempio, al Cefriel di Milano. Non sarebbe opportuno iniziare a mettere a fattor comune ciò che già c’è?

“A mio avviso la Società della Ricerca Applicata potrà dar vita a collaborazioni con altri enti e strutture già in essere sui vari territori, valorizzando le competenze presenti ma mantenendo inalterato il proprio modello di funzionamento, per garantire un livello scientifico internazionale riconosciuto nella comunità della ricerca. La collaborazione con altri enti di ricerca e università sarà fondamentale e un fine bilanciamento degli assetti “politici” certamente necessario, così come una partecipata adesione da tutte le istituzioni, nazionali e regionali/locali, è altrettanto fondamentale.”

In definitiva, mi sembra di cogliere che il messaggio importante che lei vuol proporre è che si deve attuare un cambio epocale anche nel panorama della ricerca applicata in Italia.

“La ricerca deve essere uno strumento potente per garantirci un futuro costruito su nuove opportunità di lavoro, sostenibilità ambientale, miglioramento della qualità della vita a tutte le latitudini. Sono necessari investimenti economici ma prima ancora un cambio culturale nei confronti di scienza e ricerca, che inizia da una nuova concezione anche dei piani di studio e formazione. A questo si deve accompagnare un investimento focalizzato sull’infrastruttura di ricerca, che includa il capitale umano (il talento) e l’infrastruttura fisica (laboratori, strumenti, ecc.).“

Direi che questi due elementi sono complementari, dato che il talento ha bisogno dell’infrastruttura e il suo successo dipende proprio da essa.

“È così e tutto questo converge nella sfida legata alla ripresa economica e alla resilienza del sistema, alla transizione verde, alla digitalizzazione e al miglioramento dell’attrattività del nostro Paese rispetto alla crescita e al mantenimento in Italia dei talenti, con la conseguente creazione di opportunità di lavoro. Da qui la mia proposta al governo e alle istituzioni.”

Come intende portare avanti questa sua proposta?

“Vorrei mettere insieme le organizzazioni di più alta qualità in Italia per preparare un progetto da presentare al Governo partecipando ai bandi legati al PNRR dove e come necessario. Un progetto dove disegniamo governance e struttura organizzativa ma anche presentiamo un primo piano strategico (con contenuto tecnico/scientifico) per la Società della Ricerca Applicata, dove indichiamo i parametri di valutazione, la tempistica e i finanziamenti necessari. Un progetto dove segnaliamo anche come sostenere le attività di ricerca e trasferimento tecnologico oltre la durata del PNRR stesso.”

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Antonio Palmieri
Antonio Palmieri

Antonio Palmieri, fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido. Sposato, due figli, milanese, interista. Dal 1988 si occupa di comunicazione, comunicazione politica, formazione, innovazione digitale e sociale. Già deputato di Forza Italia

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