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Design thinking: cos’è, la metodologia, esempi e vantaggi per le aziende

Il Design Thinking è un approccio all’innovazione basato sulla capacità di risolvere problemi complessi usando una visione creativa. Ecco gli esempi

Pubblicato il 31 Gen 2022

Design Thinking

Per innovare è fondamentale saper pensare. Secondo il World Economic Forum, entro il 2025 le prime 5 competenze richieste nel mondo del lavoro saranno pensiero analitico e innovazione, apprendimento attivo e strategie di apprendimento, capacità di risolvere problemi complessi, pensiero critico e capacità di analisi, e infine creatività, originalità e spirito d’iniziativa. Uno scenario in cui diventa fondamentale il ruolo giocato dal design thinking. Vediamo meglio cos’è e come si applica.

Cos’è il design thinking, la metodologia

Il Design Thinking è un approccio all’innovazione che poggia le sue fondamenta sulla capacità di risolvere problemi complessi utilizzando una visione e una gestione creative. La definizione è dell’Osservatorio Design Thinking del Politecnico di Milano, massimo riferimento in Italia per quanto riguarda l’argomento, che ne sottolinea il valore aggiunto per le organizzazioni. Il designi thinking è definito anche una metodologia di problem solving, che si sviluppa tramite un processo incentrato sulla persona e sulla risoluzione di problemi complessi, con lo scopo di generare valore attraverso soluzioni innovative. Il Design Thinking può aiutare le aziende a risolvere problemi organizzativi interni, o accompagnare la progettazione e il lancio di una startup, oppure supportare e rendere più efficienti i processi di realizzazione e distribuzione di un prodotto e/o di un servizio. Ma in senso più esteso può essere usato da chiunque abbia un problema da risolvere e abbia bisogno di soluzioni creative per affrontarlo, sia in ambito aziendale sia personale.

Se fino a qualche anno fa a praticarlo era soltanto una piccola parte di consulenti, ora non c’è azienda che non organizzi workshop ed eventi a base di post-it, pennarelli colorati, empathy map, e così via.

Il motivo è semplice: tra le aziende cresce la necessità di innovare e trasformare digitalmente processi e prodotti. Il design thinking offre un modo efficace per farlo, con in più la possibilità di mettere al centro le persone. Perché per innovare serve proprio partire dalla comprensione degli individui (clienti, dipendenti, partner e via di seguito), fare leva sulle tecnologie digitali, chiedersi come andare oltre la burocrazia, i processi stantii, i vincoli tecnici e organizzativi.

Quando nasce il design thinking

Ad ufficializzare l’ingresso nel mondo accademico di questo termine è un saggio del 1987 di Peter Rowe, all’epoca Direttore degli Urban Design Programs di Harvard,  intitolato appunto “Design Thinking”, che descrive metodi e approcci utilizzati da architetti e urbanisti. Nel 1991 inizia poi una serie internazionale di simposi di ricerca sul design thinking presso la Delft University of Technology.

A portare alla ribalta mediatica il termine nel 1991 è Tim Brown, CEO di IDEO, celebre società di innovazione e design, che poi nel 2009 pubblicherà il libro “Change by Design: How Design Thinking Can Transform Organizations and Inspire Innovation”.

IDEO è stata costituita e ha presentato il suo processo di progettazione modellato sul lavoro sviluppato presso la Stanford Design School. IDEO è ampiamente riconosciuta come una delle aziende che ha portato il Design Thinking al grande pubblico.

Secondo la definizione che ne dà Tim Brown, “il design thinking è un approccio all’innovazione finalizzato a integrare i bisogni delle persone con le possibilità offerte dalle tecnologie e gli obiettivi aziendali”.

Nel 1992, il capo del design della Carnegie Mellon University, Richard Buchanan, pubblica un articolo, Wicked Problems in Design Thinking, nel quale riflette sulle origini del Design Thinking. In particolare sottolinea come le scienze si siano sviluppate nel tempo dal Rinascimento e formalizzate nelle specializzazioni e nei processi utilizzati, diventando sempre più separate l’una dall’altra. Il Design Thinking, chiarisce, si è sviluppato come mezzo per integrare questi campi di conoscenza altamente specializzati, in modo che possano essere applicati congiuntamente ai nuovi problemi che ci troviamo ad affrontare da una prospettiva olistica.

A partire dal 2005 il Design Thinking viene insegnato alla Stanford School of Design, o d.school. Nota oggi come Hasso Plattner Institute of Design, ha fatto dello sviluppo, dell’insegnamento e dell’implementazione del Design Thinking uno dei suoi obiettivi centrali. Altre prestigiose università, business school e aziende lungimiranti hanno adottato la metodologia a vari livelli, a volte reinterpretandola per adattarla al loro specifico contesto o ai valori del marchio.

Quali sono le fasi del design thinking

Secondo le linee guida definite dall’Istituto di design della Stanford University, il processo di Design Thinking può essere suddiviso in cinque fasi: Empatizzare, Definire, Ideare, Prototipare e Testare

— Empathise

Apprendere e raccogliere informazioni sulle persone e sui loro problemi, in modo da avere abbastanza dati per identificare le loro prospettive

— Define

Occorre mettere insieme tutte le informazioni acquisite e analizzare i dati al fine di ottenere informazioni più approfondite. In questa fase bisogna identificare e definire le problematiche ed esperienze comuni degli utenti, provando a cogliere le esigenze non soddisfatte.

— Ideate

La terza fase consiste in un brainstorming sulle informazioni delle fasi precedenti con lo scopo di trovare idee e soluzioni creative per il problema analizzato.

— Prototype

La quarta fase del processo consiste nella creazione di una serie di soluzioni alle problematiche sotto forma prototipi economici. L’obiettivo è di capire cosa funziona e cosa no, permettendo così di migliorare velocemente il prodotto in base ai feedback ricevuti.

— Test

L’ultima fase è volta a testare di come e quanto bene il prodotto realizzato risolve il problema degli utenti.

Le due pratiche più utili

Il design thinking, scrivono Stefano MagistrettiClaudio Dell’Era, è incentrato sui bisogni degli utenti, e sulla necessità di abbracciare un pensiero critico volto a comprendere meglio e riformulare il problema. In particolare, al suo interno ci sono diverse pratiche utili, ma tra gli esperti del settore sono due quelle che sembrano avere un ruolo chiave nella soluzione dei problemi di un’azienda: la sperimentazione, la capacità di creare ipotesi e testarle; e l’abduzione, la modalità di pensare a problemi complessi in modo nuovo.

Per quanto riguarda l’abduzione, esistono diversi tipi: l’abduzione esplicativa, che permette di spiegare qualcosa di ignoto; oppure l’abduzione innovativa, che permette di immaginare il futuro sulla base di alcune osservazioni. Le ricerche di tutto il mondo spiegano come questo modo di pensare crei sempre più valore in processi di sperimentazione di alta innovazione, come le grandi sfide che il design thinking oggi si trova a fronteggiare.

Vantaggi per le aziende

Tra le aziende cresce la necessità di innovare e trasformare digitalmente processi e prodotti, e il design thinking offre un modo efficace per farlo, con la possibilità di mettere al centro le persone. Il design thinking, scrive Nicola Mattina, ha molti degli ingredienti tipici di quelle attività che alcuni manager chiamano una quick win: i metodi e gli strumenti sono facili da apprendere e sembrano altrettanto facili da usare; non sono richieste le competenze tecniche che invece entrano in campo quando si va oltre l’esplorazione di un problema e si passa alla progettazione vera e propria; il risultato è rappresentato da prototipi di carta a bassa fedeltà che chiunque può realizzare. Un risultato visibile e facilmente comunicabile a basso costo.

Esempi di design thinking

Uno dei primi esempi concreti di applicazione di design thinking a un prodotto è un carrello della spesa ideato da IDEO nel 1999. In quell’anno, per dimostrare il proprio processo di innovazione in un servizio del telegiornale notturno della ABC Nightline, l’azienda ha creato un nuovo concetto di carrello della spesa, prendendo in considerazione elementi come manovrabilità, comportamento di acquisto, sicurezza dei bambini e costi di manutenzione. Il servizio televisivo si è concentrato sul processo di progettazione di IDEO, mostrando come un team multidisciplinare avesse fatto un  brainstorming, effettuato ricerche, svolto attività di prototipazione e raccolto il feedback degli utenti su un design che è passato dall’idea a un modello funzionante in soli quattro giorni.

Questa modalità operativa è rimasta per anni l’emblema di come il Design Thinking potesse aiutare le aziende nel comprendere i bisogni dei clienti finali.

QUI il video sul carrello della spesa innovativo di IDEO

Nel corso del tempo sono sorti altri interessanti esempi di applicazione del Design Thinking all’innovazione di prodotto.

— 3M ha portato i principi di design nella creazione dei suoi centri di innovazione per innescare una cultura dell’innovazione centrata sugli esseri umani e non sulla tecnologia all’interno dell’organizzazione

— SAP  ha istituzionalizzato il centro di eccellenza AppHaus per condividere e trasferire l’umanizzazione delle soluzioni non solo per il prodotto e il servizio ma anche per condividere con l’organizzazione stessa il mindset di design thinking alle sue risorse e persone

— Dal 2021 PepsiCo  ha intrapreso una trasformazione profonda volta a mettere al centro dell’organizzazione i valori di design thinking non per la sola progettazione di nuovi prodotti ma anche per la condivisione di visioni e prospettive rispetto al futuro dell’azienda e della nutrizione partecipata. Una trasformazione che ha portato l’azienda da un solo designer nel 2012 a più di 250 designer oggi, compreso un Chief Designer Officer e una serie di hub di design e innovation distribuiti nel mondo e in posizioni di mercato strategiche per PepsiCo.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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