Recentemente il secondary share market sta rapidamente assumendo un ruolo crescente all’interno dell’industria del venture capital.
Se un tempo era visto come uno strumento soprattutto per gli investitori (e talvolta i founder) in cerca di liquidità prima di una exit, oggi sta diventando una leva strategica anche per i Corporate Venture Capital (CVC). Se, da un lato, il momento contingente di “secca” sul fronte delle exit (ne parlavamo su Open World non più di due settimane fa, qui il link) apre a soluzioni di second best, dall’altro, ci sono una serie di ragioni strutturali che suggeriscono che un secondario per le partecipazioni in startup sia utile e necessario.
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Secondary share market startup, quando serve alle aziende
Un caso emblematico di utilizzo del secondario per liquidare il proprio portafoglio di startup da parte di un CVC è quello di TotalEnergies Ventures, la venture arm dell’energy giant francese che ha cessato le operazioni nel 2022.
Oggi, TotalEnergies Ventures, attraverso il secondary market, sta portando avanti un vero e proprio processo di “spring cleaning”, liberandosi di startup che, a seguito di pivot o per variazioni delle strategie aziendali, non si allineano più al proprio core business. Il fatto che TotalEnergies abbia chiuso il proprio fondo di CVC spiega probabilmente come sia all’interno della lista dei dieci investitori più attivi sul secondario (e l’unico CVC).

Verso una vera e propria strategia di portafoglio
Un approccio simile è seguito da Engie New Ventures, che di recente ha avviato un processo strutturato per vendere una parte consistente del proprio portafoglio. Dopo 10 anni di attività, con 27 startup in portfolio (molte ormai aziende mature, con traction commerciale e rischio relativamente ridotto), il CVC di Engie ha deciso di passare da un approccio passivo alle exit a una gestione proattiva.
In precedenza le exit scaturivano o da richieste di acquisto da parte di altre aziende (quindi da opportunità di M&A) o da proposte di management buyout. La strategia corrente – guidata da Davide Romeo Nanni – prevede di esplorare le opzioni offerte dal mercato secondario al fine di monetizzare tutte le partecipazioni non più strategiche per l’azienda.
Il fatto di cedere parte dello startup portfolio non significa tuttavia rinunciare al CVC, ma semplicemente progressivamente pulire lo stato patrimoniale da partecipazioni non più rilevanti per gli sviluppi futuri dell’azienda. Engie New Ventures ha difatti investito in sei startup nel 2024 e preso parte lo scorso marzo al round da 60 milioni per il low-carbon iron producer francese GravitHy.
Secondary share market per le startup, perché proprio ora?
Il fenomeno non riguarda solo le aziende. A livello globale, le secondary share sales stanno vivendo una fase di forte crescita. Queste operazioni, che tipicamente avvengono dopo un holding period medio di sei anni e coinvolgono startup in fasi avanzate (Series D, E, F e oltre), rappresentano una valvola di sfogo in un contesto in cui il mercato IPO resta stagnante e le opportunità di exit tradizionali sono ridotte.
Secondo i dati PitchBook, i secondary sales hanno rappresentato il 4,2% del valore globale delle exit VC nel 2024, in netto aumento rispetto all’1,4% di tre anni fa.
Ciò detto, il mercato resta ancora fortemente impattato dalla sua strutturale scarsa liquidità e da cessioni che sono inevitabilmente ancora esposte a importanti discount.
Da eccezione a norma per i CVC
Se fino a poco tempo fa i CVC rappresentavano solo una frazione marginale del mercato secondario, oggi stanno progressivamente integrando questo strumento all’interno delle loro strategie di portfolio management.
In un mondo in cui la liquidità scarseggia, i secondary market non sono più un’opzione tattica, ma una componente sempre più vitale del venture capital playbook — siano essi investor, founder e corporate.








