TECNOLOGIA SOLIDALE

AI Act, il difficile equilibrio tra diritti dei cittadini e spinta all’innovazione

Il trilogo tra Consiglio, Commissione e Parlamento è arrivato a un compromesso sull’AI Act. In questi giorni cade il primo anniversario della Dichiarazione dei principi e dei diritti nella decade digitale. L’Europa cerca una difficile convergenza sulle norme per il futuro prossimo. Ne parliamo con Luca De Biase

Pubblicato il 15 Dic 2023

AI Act

AI act e non solo. “Le norme sul digitale hanno la caratteristica di doversi confrontare con un sistema complesso, nel quale non è facile trovare l’equilibrio tra l’esigenza di garantire ciò che è giusto e la necessità di alimentare l’innovazione.”

Luca De Biase, nella tua lunga avventura di giornalista e uomo che non solo racconta ma anche riflette sul senso e sull’impatto che l’innovazione digitale ha sulle nostre vite avrai visto che è un equilibrio difficile, soprattutto in Europa.

“Suppongo che anche la tua lunga avventura nel mondo della politica ti confermi la stessa impressione…”

Come darti torto? Ma torniamo all’Europa.

“Torniamoci assolutamente…soprattutto visto che la settimana scorsa il trilogo tra Consiglio, Commissione e Parlamento è arrivato a un compromesso sulla prossima grande riforma, l’AI Act, che deve guidare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in Europa, ma possibilmente anche nel resto del mondo.”

Cosa pensi dell’accordo raggiunto per il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale che è stato chiuso il 9 dicembre?

“Secondo le ricostruzioni, Il Parlamento ha lottato soprattutto per difendere i diritti umani, spesso calpestati dalle intelligenze artificiali generative lanciate negli Stati Uniti nell’ultimo anno. Il Consiglio, si direbbe, ha invece pensato soprattutto a difendere gli interessi delle aziende, che vogliono meno limitazioni possibili alla loro produzione innovativa, e delle forze di polizia che intendono usare l’intelligenza artificiale per la sorveglianza nei luoghi pubblici. Alla fine il compromesso è stato trovato.”

Peraltro abbiamo avuto dichiarazioni e comunicati ma il testo vero e proprio della norma non lo avremo prima di due o tre mesi…

“Quando potremo leggere il testo si vedrà se è troppo forte, come temono le imprese tecnologiche, o troppo debole, come temono le organizzazioni che difendono i diritti umani. Quello che serve, forse, è una modalità di attuazione che consenta una rapida manutenzione della normativa. La legge chiederà ai produttori di intelligenza artificiale di testare i loro prodotti per verificare che non danneggino la società, prima di immetterli sul mercato? Ebbene: anche le regole dovrebbero poter essere testate e modificate velocemente quando si dimostrano inadeguate, per essere rinforzate nelle parti che si dimostrano in grado di influenzare positivamente lo sviluppo.”

La manutenzione delle leggi è anche questo tema antico e complicato, sarebbe in effetti utile un meccanismo come quello che tu indichi. Vediamo se il tuo auspicio si realizzerà. Nel frattempo, restiamo in Europa. Siamo qui perché celebriamo un anniversario. Il 15 dicembre 2022 le presidenti del Parlamento europeo e della Commissione, con il presidente del Consiglio, hanno firmato la Dichiarazione dei principi e dei diritti nella decade digitale. Un documento che ha avuto scarsa eco mediatica. Di che si tratta?

“La Dichiarazione è una carta dei diritti umani nel digitale ma anche un programma, una policy, un insieme di impegni che le tre istituzioni che guidano l’Europa si sono assunti, anche operativamente.”

È un documento utile, necessario?

“La Dichiarazione era ed è utile e necessaria. Da anni l’Unione Europea stava elaborando una serie di interventi normativi sempre più articolati per dare una risposta ai problemi emergenti nel digitale.”

Come, per esempio il Regolamento generale per la protezione dei dati personali?

“Il GDPR è stato talmente importante che anche altri Paesi lo hanno adottato. E lo è stato così tanto che si è iniziato a parlare del cosiddetto “Effetto Bruxelles”: un sistema capace di creare normative tanto innovative da influenzare anche altri sistemi politici. Al GDPR sono seguite altre norme, come il Digital Services Act e il Digital Market Act, il Data Act e l’AI Act, il Chips Act e il Media Freedom Act, e così via. Tutti interventi che tratteggiano un disegno comune, ma che avevano bisogno di una narrativa unitaria. La Dichiarazione ha fornito questa cornice, il quadro di riferimento.”

Una sorta di Costituzione per il digitale, se capisco bene…

“Le istituzioni europee hanno trovato nella Dichiarazione una fonte di ispirazione per continuare e affinare il loro lavoro normativo.”

Diciamo che il trilogo sul regolamento per l’AI, molto complicato e denso di contrapposizioni accesissime, ha dimostrato che la Dichiarazione non è sempre facile da implementare…

“La politica, come le tue cinque legislature in Parlamento sicuramente ti hanno insegnato, non è una disciplina particolarmente esatta. Ma il ruolo della Dichiarazione, alla fine, si dimostra positivo: resta un punto di riferimento per chiarire che tipo di società digitale vogliono gli europei. Come spesso succede con questo genere di carte dei diritti, anche questa Dichiarazione appare in qualche caso contradditoria con le azioni di chi l’ha scritta…”

A volte i suonatori possono sbagliare o non essere all’altezza della partitura…

“Da un lato è così, dall’altro i principi che contiene sostengono l’azione di tutti quelli che tra loro hanno a cuore il bene comune.”

Nel preambolo della Dichiarazione si legge che essa “dovrebbe anche fungere da punto di riferimento per le imprese e altri soggetti interessati nello sviluppo e nella diffusione di nuove tecnologie.”

“Il testo chiama a collaborare alla sua implementazione la società, le imprese, i sistemi della ricerca europei. Senza questa collaborazione, la Dichiarazione resterebbe inapplicata.”

Però, come dicevo prima, la Dichiarazione non ha avuto grande risonanza, mi sembra…

“Questo è uno dei punti deboli del progetto: la Dichiarazione deve diventare nettamente più nota per poter catalizzare le forze della società europea nella direzione che si ritiene giusta, altrimenti restiamo in un ambito di principi attratti che non segnano il cammino di istituzioni e imprese. D’altra parte oggi in politica si parla molto di più di quello che divide che di quello che unisce”

Nel suo piccolo, questo nostro dialogo vuole contribuire a superare questa impasse, perché sono convinto, come dice il poeta, che “cammina l’uomo quando sa bene dove andare” e avere dei principi è un argine alla limitatezza di noi esseri umani. In conclusione, visto che siamo oramai a fine anno, tempo di sguardi in avanti, come vedi il futuro del digitale?

“La tecnologia digitale è l’ambiente nel quale si sviluppa gran parte della vita quotidiana di almeno cinque miliardi di persone. Le sue conseguenze sono meravigliose e terribili. Un po’ come l’industrializzazione che ha generato ricchezza, salute, educazione, ma anche inquinamento, crisi climatica, perdita di biodiversità, anche la tecnologia digitale ha aumentato l’accesso alla conoscenza e incluso molte persone nella sua produzione, ma ha alimentato anche la disinformazione, l’odio, la banalizzazione di qualsiasi questione, mettendo addirittura a rischio la salute mentale delle persone più fragili. Ebbene, come gli umani hanno cominciato a rispondere agli effetti collaterali negativi dell’industrializzazione dandosi regole ecologicamente più avvertite, così in questi ultimi anni hanno cominciato a ripensare alle regole del digitale.”

Con la difficoltà che hai detto all’inizio: normare senza bloccare l’innovazione.

Speriamo non diventi, per citare De Gaulle, un “vasto programma.”

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Antonio Palmieri
Antonio Palmieri

Antonio Palmieri, fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido. Sposato, due figli, milanese, interista. Dal 1988 si occupa di comunicazione, comunicazione politica, formazione, innovazione digitale e sociale. Già deputato di Forza Italia

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