FINTECH

Invoice trading: il “mercato delle fatture” in Italia può crescere grazie a investitori professionali e partner

Come si evolverà l’invoice trading, che da 6 anni permette alle nostre aziende di riscuotere subito le fatture grazie a finanziatori che le prendono in carico ricavandone una percentuale? Il modello potrebbe essere quello londinese: forte sostegno degli investitori istituzionali e alleanze con fondi pensione e assicurazioni

Pubblicato il 08 Ott 2019

Invoice Trading

Trasformare immediatamente in denaro sonante le fatture emesse da un’azienda e non ancora riscosse, cedendole a finanziatori che in cambio trattengono una percentuale del loro valore complessivo (il cosiddetto interesse). Questo fa, in estrema sintesi, l’invoice trading. Ma non ha inventato nulla. Pare che la pratica fosse in vigore già presso i Babilonesi, mentre la sua versione moderna risale all’economia mercantile italiana del tardo Medioevo, quando era possibile emettere titoli di credito cartacei – una specie di “pagherò” – capaci di circolare come moneta sulla base della fiducia accordata all’emittente – fiducia che era un metro per misurarne la solvibilità, ovvero la capacità di restituire nei tempi e nei modi concordati l’ammontare preso a prestito.

Invoice trading: uno strumento antico, innovato dalla tecnologia

Si tratta dunque di uno strumento antico che nell’ultimo decennio ha subito l’impatto, dirompente, della tecnologia. Essa consente di abbattere i tempi necessari per valutare in maniera efficace la solvibilità, con gli strumenti dell’intelligenza artificiale e del machine learning e con l’analisi dei big data, e dunque di ridurre a pochi giorni i tempi per completare una procedura che in banca richiede alcune settimane.

In Italia, l’invoice trading esiste dal 2013 – anno della fondazione di Workinvoice – ma la prima piattaforma in assoluto vede la luce a Londra, due anni prima: si tratta di Marketinvoice, che a oggi dichiara di aver permesso alle PMI britanniche l’anticipo di fatture per oltre 1,6 miliardi di sterline. Il mercato totale britannico dei finanziamenti digitali (complessivo sia dell’anticipo fatture, sia dei prestiti diretti alle imprese, sia di quelli alle persone) è il più importante d’Europa, e ha un valore che nel 2019 si attesterà a 7,2 miliardi di sterline. Di questo ammontare, 5 miliardi (ovvero il 70%) verranno erogati alle imprese e solo poco più di 2 miliardi a privati.

Invoice trading, che cosa ci insegna Londra: le prossime direttrici dello sviluppo

Il modello inglese dell’invoice trading ci interessa in quanto ci fornisce delle chiavi di lettura per provare a immaginare come si evolverà il settore in Italia. Innanzitutto perché somiglia a quello italiano in termini di proporzioni: a settembre 2019 sono stati erogati in Italia a imprese e individui circa 1,9 miliardi di euro, di cui l’84% (quasi 1,6 miliardi) alle imprese e solo il 26% alle persone. Questo è peculiare: le quote sono invertite nel resto d’Europa, dove predominano le piattaforme focalizzate sui crediti personali.

Non solo. Secondo il report PwC “Specialty Finance Challenger Banks in Italy: reshaping the lending landscape?”, nel 2018 il mercato italiano dello sconto fatture in termini di volumi ha rappresentato il 49% di quello britannico, che è di gran lunga il più importante d’Europa, con numeri in media imparagonabili con il resto del Continente.

La carica degli investitori istituzionali…

Un risultato dunque importante per questo mercato in UK, che a differenza del cugino italiano, è stato sostenuto in maniera massiccia dagli investitori professionali, come ad esempio i fondi pensione, e dai diversi player – come ad esempi le banche e i fondi di credito – che sono molto proattivi nel collaborare con gli specialisti del FinTech e anche nell’acquistare crediti erogati tramite questi ultimi.

Più in dettaglio, il mercato inglese si basa su un modello denominato “originate and distribute”. Un tecnicismo che indica, semplicemente, che vi è una collaborazione tra le piattaforme come Marketinvoice, che erogano prestiti a imprese e persone (ovvero li “originano”, per dirla con un altro termine tecnico) e gli investitori professionali (come banche, assicurazioni e fondi) che riacquistano i crediti e li iscrivono nel proprio bilancio. Questo trend in Italia è in fase appena embrionale.

 … e il filone della collaborazione

In sostanza, nel Regno Unito le piattaforme FinTech erogano i prestiti e poi li distribuiscono tra i grandi investitori – come i fondi pensione e le assicurazioni che, in un momento storico di tassi di interesse estremamente bassi sono molto interessate ad investimenti alternativi.

In particolare, i crediti commerciali che possono essere acquistati su piattaforme digitali, come Workinvoice, hanno tre caratteristiche fondamentali:

  • Decorrelazione: le aziende pagano (o non pagano) le loro fatture abbastanza indipendentemente dall’andamento degli indici di borsa o dell’andamento dei tassi di interesse
  • Diversificazione: l’investimento in crediti commerciali è per sua natura parcellizzato su una molteplicità di rischi e di aziende. I fondi che operano in questo settore hanno infatti decine di migliaia di fatture in portafoglio.
  • Vicinanza all’economia reale: dopo l’”ubriacatura” di finanza strutturata precedente alla crisi del 2008 anche gli investitori istituzionali preferiscono essere più vicini alle fonti del rischio e cioè ad aziende che producono beni o erogano servizi rappresentati nelle fatture commerciali.

C’è poi una collaborazione tra operatori finanziari: istituzioni tradizionali possono avvantaggiarsi da collaborazioni con i progetti Fintech. È ciò che sottolinea anche il più recente studio dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, presentato qualche giorno fa in occasione del secondo compleanno del Fintech District di Milano. Il report sottolinea come la collaborazione con le FinTech sia un vantaggio anche per le stesse incumbent: permette di sviluppare nuovi modelli di business e restare competitive facendo leva sull’innovazione tecnologica, anche a fronte di perdite di ricavi attese da EY entro il 2025: pagamenti -34%, wealth & asset management -34%, prestiti personali -17% – carte di credito -17%, prestiti alle pmi -34%, mutui -17%.

Workinvoice è ben posizionata per abbracciare questa evoluzione: abbiamo già una partnership industriale importante con Cribis – leader della business information e dei servizi per la gestione del credito – e la nostra infrastruttura opera già con banche, marketplace B2B e reti distributive che vogliono offrire alle aziende strumenti innovativi per la gestione del capitale circolante. La nostra strategia (ne abbiamo parlato qui) prevede infatti, da un lato, l’adozione di accordi per attrarre gli istituzionali, e dall’altro sempre maggior specializzazione, per condurci alla collaborazione con banche e provider hi-tech, e infine per garantire un servizio sempre più completo e accurato alle PMI che si rivolgono a noi.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Matteo Tarroni
Matteo Tarroni

Matteo Tarroni ha più di 20 anni di esperienza professionale in banche di investimento: ha lavorato per Mediobanca fino al 2003 e quindi per Merrill Lynch Bank of America e Credit Suisse. È il founder e CEO di Workinvoice, il primo mercato online di invoice trading in Italia

Articoli correlati

Articolo 1 di 3