DIGITAL BANKING

Blockchain e banche, Savino Damico (Intesa Sanpaolo): «Meglio privata, ecco perché»

«Le banche non possono utilizzare la blockchain pubblica a livello industriale, perché non è scalabile» dice il manager responsabile della sperimentazione per l’istituto di credito. E aggiunge «A breve termine, intelligenza artificiale, robot advisor e biometria avranno un impatto maggiore sul business del settore»

Pubblicato il 29 Giu 2018

Intesa Sanpaolo

Blockchain e banche, un incontro inevitabile dagli esiti ancora incerti. La “catena di blocchi” è uno dei fattori di trasformazione digitale per moltissime industry e tra queste quella dei servizi finanziari. Gli  istituti di credito si stanno interrogando su questa tecnologia. A studiarla e sperimentarla da tempo è il primo player italiano, Intesa Sanpaolo, che ha riscontrato aspetti sia positivi sia negativi dell’utilizzo della “Internet delle transazioni”.  Ne abbiamo parlato con Savino Damico, Head of Digital Payments and Biometrics, Research and Acceleration of Innovation nella “CIO Area” di Intesa Sanpaolo.  «Stiamo sperimentando sia sulla blockchain pubblica – ha spiegato a EconomyUp – che su quella privata. Anche se le banche potrebbero avere comunque un ruolo significativo in un mondo dominato dalla blockchain pubblica è più utile per il sistema bancario spostarsi verso la blockchain privata».

Savino Damico, Head of Digital Payments and Biometrics, Research and Acceleration of Innovation, CIO Area at Intesa Sanpaolo

Blockchain, come ci sta lavorando banca Intesa ?

Intesa Sanpaolo si è dotata di un team multidisciplinare permanente sul tema blockchain/DLT ((Distributed Ledger Technology) e cryptocurrencies, composto da esperti che provengono dall’innovazione, dal business, dall’area tecnologica e della sicurezza e da quella regolamentare. Abbiamo cominciato a lavorare sulla blockchain circa quattro anni fa e riteniamo di essere tutto sommato ben posizionati. Siamo entrati nel novero delle banche che hanno sperimento di più in questi anni, quanto meno per quanto riguarda l’Europa.

La prova è il fatto che, nel corso del 2017, l’EBF (European Banking Federation) ha organizzato un workshop insieme alla Commissione Europea – la quale sta studiando blockchain e DLT  – e uno con la Banca Centrale Europea e in entrambi i casi tra le poche banche europee presenti (sette-otto) c’era anche Intesa Sanpaolo (unica banca italiana presente). Abbiamo effettuato test partendo nei primi anni dalla blockchain pubblica, quella di bitcoin che era la più consolidata, con sperimentazioni effettuate soprattutto (ma non esclusivamente) all’interno della banca, passando successivamente alla blockchain privata (principalmente nell’ambito dei Labs di R3 e sulla sua piattaforma denominata Corda, esperienza molto importante in quanto consente confronti con banche globali).

Gli ambiti di applicazione spaziano da modalità diverse di fare la compliance, alla smart authentication, passando per la notarizzazione e includendo molte delle aree di business tipiche della banca – Know Your Customer (KYC), Trade Finance, pagamenti nazionali e cross-border, derivati.

Che cosa è emerso dai test sulla blockchain?

Abbiamo avuto la conferma che la blockchain pubblica presenta delle caratteristiche che possono essere utilizzate anche a livello di pubblica utilità. Visto che la blockchain è un grande registro distribuito, un classico “use case” è  rappresentato dal Catasto. In altre parole, può essere un utile strumento digitale per tenere traccia di dati che o non devono essere modificati o di cui occorra tenere traccia in modo sicuro delle modifiche effettuate nel corso del tempo (nel caso del Catasto, registrando l’evoluzione della proprietà di immobili e terreni). La blockchain pubblica costituisce anche un luogo ideale in cui andare a scrivere delle informazioni  crittografate in modo che non si violi la privacy di nessuno, quando è necessario provare, per esempio, che le operazioni bancarie registrate a fini di compliance siano state conservate nel tempo senza apportare alcuna alterazione alle stesse. Quindi, per quanto riguarda l’immutabilità possiamo confermare che la blockchain pubblica rappresenta un ottimo strumento per conservare i dati.

Ci sono anche elementi negativi nell’uso della blockchain pubblica?

Direi di sì. Le banche, per esempio, non possono utilizzare la blockchain (pubblica) a livello industriale. Principalmente per una questione di scalabilità (per quanto siano in corso implementazioni che mirano a risolvere tale problema). Questo tipo di catena di blocchi infatti può elaborare al massimo cinque/sette operazioni al secondo. Impensabile applicarla al mondo dei pagamenti digitali, ad esempio, dove si eseguono decine di migliaia di operazioni al secondo.

Altro grande problema è quello della privacy. Prendiamo il caso di uno scambio di bitcoin. È un’operazione pubblica, che non rivela i nominativi di chi si scambia la cryptomoneta, ma registra gli indirizzi che fanno riferimento ai wallet. Per le banche, che sono abituate a tracciare le transazioni end-to-end e a tenerle private, questa “pubblicizzazione” delle informazioni è un problema.

Sintetizzando, anche se le banche potrebbero avere comunque un ruolo in un mondo dominato dalla blockchain pubblica – conservando le chiavi private della clientela o  le stesse criptovalute per conto dei propri clienti – sembra più utile per il sistema bancario spostarsi verso la blockchain privata. Sia per una questione normativa sia per non alimentare indirettamente l’ecosistema dei bitcoin e delle cryptovalute. Per tale motivo alcune delle sperimentazioni effettuate in-house si stanno spostando dalla blockchain pubblica a quella privata.

Come è cambiato il rapporto tra blockchain e banche?

In ambito bancario negli ultimi anni c’è stata un’evoluzione di questa tecnologia. Anzi, direi più che altro una maturazione progressiva. Che può essere dimostrata anche tramite le attività svolte in R3, dove si sta passando dai cosiddetti proof of concept alla progettazione di pilot veri propri, mirando all’industrializzazione nel breve periodo.

Il proof of concept è un test fatto generalmente in cloud, quasi sempre non integrato con le strutture aziendali. Tendenzialmente viene realizzato con dati fake: non si tratta di transazioni reali. Il progetto pilota invece è una prova fatta in ambiente di produzione, con un certo grado di integrazione con i sistemi aziendali e con pochi clienti, i quali vengono coinvolti per fare prove basate su transazioni reali.

Volendo fissare temporalmente questa evoluzione, possiamo dire che il 2014 e il 2015 sono stati anni di studio; il 2016 e il 2017 anni in cui ci si è concentrato sui p.o.c., mentre dal 2018  si è iniziato a pianificare delle fasi pilota e di industrializzazione.

Che cos’è R3?

Inizialmente R3 era un consorzio di banche, assicurazioni e importanti aziende tecnologiche. In seguito ha sviluppato una tecnologia denominata “Corda”, una blockchain privata, che le banche hanno utilizzato per le proprie sperimentazioni. Perché lo hanno fatto? Intanto perché costa meno, rispetto alla blockchain pubblica, dal punto di vista dello sforzo computazionale e dell’energia per farla funzionare. E poi perché solo chi ne ha titolo può partecipare alla rete (per questo si dice “privata”). Diciamo che si avvicina di più al concetto regolatorio che utilizzano gli istituti di credito: privacy e compliance delle transazioni, tracciate end-to-end. In altre parole si tratta di una blockchain che elimina gli elementi considerati negativi dal punto di vista finanziario.

Che cosa si perde passando a una blockchain privata?

Una criptovaluta nativa. Questo rappresenta un vantaggio per quelle banche che vogliono essere in linea con la policy della maggior parte dei regolatori. Ma ci pone il problema di regolare le transazioni, ovvero come ci scambiamo il pagamento delle transazioni che vanno sulla blockchain? Per concludere, serve trovare un modo per spostare asset digitali che rappresentino le monete fiat, e siano al tempo stesso un’alternativa sicura agli attuali sistemi di pagamento che sono diventati estremamente efficienti. Di strada da fare ce n’è.

Blockchain e banche: quali impatti ci saranno?

La blockchain è sicuramente un ambito di analisi importante. Ma se vogliamo considerare quali tecnologie impatteranno nell’immediato sulla trasformazione digitale delle banche, allora è più verosimile citare intelligenza artificiale, big data, robot process automation, robot advisor e biometria. Nello specifico, il filone della biometria comportamentale, ancora poco conosciuta, è molto efficace sia per indentificare gli utenti sia ai fini antifrode.

Nel caso di interazione con un device mobile, i software di biometria comportamentale sono in grado di rilevare anche centinaia di dati biometrici. Per esempio la forza con cui si preme sulla superficie dello screen, oppure il punto in cui viene fatto lo swipe, o ancora la velocità con cui si digita. Ma anche la dimensione del dito dell’utente o l’inclinazione con cui si tiene il device. Insomma, il grado di dettaglio dei dati rilevati, per certi versi impercettibili, riesce in pochi minuti a creare un profilo identificativo unico dell’utente. Una volta creato questo profilo, negli utilizzi successivi si misura quanto i dati biometrici rilevati siano coerenti con il profilo registrato dell’utente (di solito si definisce uno score di 1000 per il profilo registrato e si misura lo score dei dati rilevati; quanto più si avvicinano a 1000, tanto più è probabile che l’utente sia proprio colui che si è registrato).

Ecco, l’utilizzo di queste tecnologie, al momento, è più rilevante per le banche rispetto alla blockchain perché può essere industrializzato certamente in tempi più brevi, ma riteniamo comunque che la blockchain, se adeguatamente sfruttata a livello di industria bancaria e assicurativa, potrà apportare sia vantaggi in termini di efficienza, sia abilitare nuovi stream di ricavo, grazie all’enorme patrimonio informativo che la blockchain può mettere a disposizione.

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Fabrizio Marino
Fabrizio Marino

Sono stato responsabile della sezione Innovazione e Tecnologia de Linkiesta, ho gestito la comunicazione di Innogest, sono Content Creator per PoliHub. Per EconomyUp mi occupo di innovazione e startup.

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