LA RICERCA

L’innovazione nelle assicurazioni: fotografia di un’industria consapevole del gap culturale

A che punto è l’innovazione nelle assicurazioni in Italia? Una indagine di Italian Insurtech Association con EY fotografia una situazione in chiaroscuro: la maggioranza degli operatori sa di non avere le competenze necessarie, ma circa la metà delle compagnie è ferma o incerta. Ecco perché serve un’accelerazione

Pubblicato il 29 Gen 2021

Photo by Joshua Sortino on Unsplash

“L’Italia delle assicurazioni non è indietro”, dice Stefano Bison, che come Group Head of Business Development & Partnerships in Generali ha una visione internazionale. Ma il nanismo strutturale del settore non aiuta l’innovazione nelle assicurazioni, che però è in corso di “infusione” nelle compagnie italiane . “Avanzano un nuovo consumatore digitale e nuovi player: il cambiamento è urgente e necessario”, sintetizza Simone Ranucci Brandimarte, presidente di Italian Insurtech Association che con EY ha scattato un’ istantanea dell’innovazione nelle assicurazioni e dell’impatto che sta producendo nei modelli organizzativi delle aziende. Con uno slogan si potrebbe dire, citando Dickens: “best of times and worst of times”. Questo è il migliore e il peggiore dei tempi per l’innovazione nelle assicurazioni. E la pandemia ci ha fatto comprendere ancora di più come da una crisi possano nascere spinte inaspettate al cambiamento, anche per l’insurance che ha nella sicurezza e nella salute due tra i suoi pilastri.

Simone Ranucci, presidente Italian Insurtech Association

È solo il primo fermo immagine quello proposto da IIA, tiene a precisare Ranucci, e ce ne saranno altri perché il mercato è in veloce evoluzione e anche dentro le compagnie c’è grande fermento.

La scommessa adesso è raggiungere la velocità necessaria per recuperare il gap che non è della singola azienda ma dell’intero sistema, come dicono i dati sugli investimenti in insurtech: si sono impennati dal 2017 a livello internazionale e la parte del leone la fanno, ovviamente, gli Stati Uniti ma in Europa sono concentrati in Gran Bretagna e in Germania: tanto per avere un’idea, il rapporto è di 1 a 10. Sarà un caso che a Monaco esiste un Insurtech Hub che è una piattaforma pubblica (promossa dal Governo) che riunisce startup, compagnie, università e venture capitalist. Ma questo è un altro discorso.

Qui si può scaricare la ricerca “L’impatto dell’innovazione sul modello organizzativo delle assicurazioni”

Le compagnie italiane si muovono in un mercato strutturalmente sottosviluppato (se si escludono i danni auto, il rapporto premi/PIL è tra i più bassi d’Europa) e in un’ecosistema dell’innovazione ancora gracile (per capitali immobilizzati sull’innovazione siamo persino dietro la Spagna): stanno quindi facendo del loro meglio per affrontare la trasformazione digitale e mantenere la competitività. Rispetto a soli 5 anni fa (quando nasceva InsuranceUp, lo spinoff di EconomyUp sull’insurtech) il sentiment nei confronti della trasformazione digitale è completamente cambiato: da “dovrei ma non capisco bene perché” a “devo e sto cercando di capire come”. E i risultati della survey Italian Insurtech Association-EY lo confermano.

“La ricerca ci permette di analizzare le strategie di innovazione con l’impatto sulla struttura organizzativa e di intercettare i principali trend del mercato assicurativo”, spiega Carlo Alberto Minasi, Chief Innovation Officer di EY. Quel che ne viene fuori, molto in sintesi, è un’industry che ha maturato la consapevolezza dei propri limiti ma è ancora divisa a metà nelle attività di innovazione.

Consapevolezza: il 71% degli operatori del settore assicurativo ritiene ci sia un gap di competenze tecniche e digitali e ben l’82% auspica di avere più formazione tecnica e/o digitale. La spaccatura: in quasi la metà delle aziende l’atteggiamento del board sui piani di innovazione è negativo (passivo o addirittura contrario), anche se la la maggioranza assoluta degli intervistati (83%)  prevedono un budget dedicato dicendo subito però che non è sufficiente (uno su tre). Oltre la metà del campione ha un chief innovation officer e può contare su un team. La maggioranza (70%) segue un modello di open innovation, dialogando prevalentemente con startup e università. La metà ha avviato nel corso dell’ultimo anno operazioni di acquisizione o di fusione.

C’è una dimensione tecnologica dei processi di trasformazione, spesso meno apparente di altre. E lo ricorda Alberto Tosti, direttore generale di Sara Assicurazioni, che nel corso del webinar di presentazione della ricerca ha raccontato come ha portato l’azienda verso il cloud, scelta non sempre scontata. Ma c’è soprattutto una dimensione culturale. Le assicurazioni sono aziende fatte di persone, che vanno reskillate (orrido neologismo utile per comprendere quanto duro sia il lavoro di ri-formazione) e motivate. “Bisogna coinvolgere l’intera organzizzazione”, conferma Pietro Cazzola, Head of Strategy di Axa Italia, compagnia che sta puntando sull’innovazione interna, ha promosso un master interno in Insurance Data Management e, soprattutto, previsto un bonus variabile legato all’innovazione.

Ma come si misurano i risultati delle attività di innovazione nelle assicurazioni (e non solo)? Quali sono i Kpi a cui collegare un premio? “Non ci sono Kpi, l’innovazione non è il fine ma il mezzo”, è l’idea di Andrea Veltri, Deputy CEO di BNP Paribas Cardif, compagnia che da 7 anni promuove un contest per startup, Call4Ideas Open-F@b, che ha portato alla creazione di nuovi prodotti/servizi. E i nuovi modelli di scouting, segnala ancora Bison, sono un’altra questione di affrontare. Ma non certo per chi sta in quella metà dell’industry ancora è ferma o indecisa su come muoversi.

La tecnologia è senza dubbio il motore principale della rivoluzione che può portare nuova vita alle assicurazioni. Tre i fattori che ne determineranno il successo: tempo, persone e dati. Le cose sono molte cambiate nel corso degli ultimi ma senza un’accelerazione sarà difficile recuperare il gap con altri mercati e altre industry. Per cambiare ritmo servono risorse finanziarie, capaci di attivare processi virtuosi (e questo non vale in Italia solo per l’insurance) ma non sono sufficienti: è poco probabile che si riesca a passare da una cultura prodotto-centrica a una cultura del servizio senza un rinnovamento di competenze. Ma per passare dal prodotto al servizio le compagnie di assicurazione dovranno essere sempre di più data driven company, organizzazioni capaci di raccogliere, gestire e utilizzare i dati per rispondere velocemente e semplicemente alle esigenze dei clienti. Ma anche per ridurre i costi e non a danno dell’innovazione. Ma questo è un altro discorso.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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