Dock, il modello IBM-Carige per la trasformazione digitale delle banche

La joint venture fra IBM e Carige può diventare un riferimento per la trasformazione digitale delle banche, specie di piccole e medie dimensioni. Il CEO Paolo Sangalli e il COO dell’istituto di credito, Paolo Sacco, raccontano come funziona. Tra esigenze di ottimizzazione dei costi e innovazione di processi e prodotti

Pubblicato il 10 Lug 2018

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Si chiama Dock, come le banchine del porto di Genova, e segna il varo del progetto di trasformazione digitale di una banca: Carige, già Cassa Risparmio di Genova appunto. È una joint venture fra l’istituto di credito (19%) e IBM (81%) e rappresenta una delle tessere del mosaico che l’amministratore delegato Paolo Fiorentino (alle prese con un’estate particolarmente calda tra dimissioni, conti sotto osservazione e azionisti in agitazione) sta cercando di comporre per portare la banca fuori dalle secche di una stagione difficile, verso un approdo sereno. Magari verso altri porti. La trasformazione digitale delle banche è quindi un’opportunità per renderle più sexy, più attraenti per nuovi e vecchi investitori.

Perché la PSD2 è un’opportunità per le banche (e spiana la strada alla trasformazione digitale)

Dock nasce da un’outsourcing delle attività tecnologiche che non è però la solita esternalizzazione motivata dalla necessità di ridurre i costi. E per questo potrebbe costituire un modello interessante anche per altre banche, piccole e medie soprattutto, alle prese con processi di cambiamento spesso troppo onerosi e complicati per le loro forze. Tanto è vero che si parla già di un’operazione simile tra IBM e Creval (il Credito Valtellinese, ex banca popolare alle prese con problemi di esuberi e necessarie razionalizzazioni).

Abbiamo chiesto di raccontare questo possibile modello a Paolo Sangalli (una carriera tutta in IBM, dove era vicepresidente), amministratore delegato di Dock, e Paolo Sacco, Chief Operating Officer di Banca Carige.

L’OUTSOURCING PER LA TRASFORMAZIONE DIGITALE DELLE BANCHE

«Il nostro compito è avviare quei processi di innovazione di cui in banca si parlava da tempo ma che per diverse ragioni non si riusciva a far partire», comincia Sangalli «Certo che l’ousourcing si fa per ottimizzare i costi ma qui c’è qualcosa di più. C’è stato un approccio intelligente da parte di Carige che ha condiviso i progetti che erano sulla carta, circa 300. Noi abbiamo dato una priorità e abbiamo proposto le nostre idee. Ne è venuto fuori una road map approvato dal consiglio d’amministrazione che sarà il nostro piano di lavori». «La partnership con IBM ha un sottostante industriale forte e rilevante», conferma Sacco. «La banca ha chiuso il primo trimestre del 2018 positivamente dopo un lungo periodo di sofferenza. Erano previsti importanti interventi di per innovare processi e prodotti ma facevamo fatica a scalare con le nostre dimensioni. Per questo ci siamo rivolti a IBM, per avere insieme a una dote di risparmio un livello superiore di competenze e capacità di trasformazione».

Paolo Sangalli, CEO di Dock, joint venture fra IBM e Carige

GLI OBIETTIVI DELLA PARTNERSHIP IBM-CARIGE

«Noi puntiamo a tre risultati per la banca», dice Sacco. «Il primo è avere una maggiore efficacia nel contatto coi i clienti, grazie anche alla multicanalità. Il secondo dare strumenti che migliorino il lavoro e l’efficacia dei nostri gestori. Il terzo è migliorare i processi interni, per esempio con l’uso di soluzioni di Intelligenza Artificiale». Il lavoro quindi non manca. Anticipa Sangalli che entro fine anno entrerà in produzione un nuovo tool di Fast Credit, che servirà anche a rivitalizzare il brand Carige, banca con una storia centenaria (è stata fondata nel 1438). «Entro fine anno completeremo la revisione di tutti i processi di digitalizzazione per poter migliorare il servizio allo sportello sin dall’apertura di un conto ma stiamo lavorando anche sul portale del corporate banking e dopo ci occuperemo anche di blockchain». Ci sono poi tutti gli aspetti normativi da smarcare così come la revisione dei data warehouse e una piattaforma di roboadvisory da attivare per la divisione private. «Uno degli elementi centrali è l’ottimizzazione delle nostre basi dati», aggiunge Sacco. «Vogliamo e dobbiamo essere più incisivi nel data analytics anche in una logica di maggiore proattività commerciale. Io vedo tecnologia sotto due punti di vista: cercare di aumentare i punti di contatto con i clienti con la multicanalità, superando il criterio di prossimità che ha guidato il mondo bancario. E accrescere allo stesso tempo la relazione con i cliente, supportando i nostri gestori con strumenti in grado di accrescere efficacia ed efficienza». L’obiettivo è completare il percorso di trasformazione entro l’arco di tempo del piano triennale della banca. Che ha fretta.

COME LAVORA IL TEAM DI DOCK

Dock ha rilevato 133 persone da Carige. E questo è l’outsourcing, che non basta però per la trasformazione digitale. «Al 65% sono applicativi, il resto infrastrutturali«, ricorda Sangalli. «Per questo stiamo inserendo circa 40 nuove risorse, all’80% con profilo consulenziale, al 20% infrastrutturale». C’è quindi una questione di competenze ma anche di mindset. «Il mantra è: non siamo fornitori ma partner che devono agire in modo proattivo all’interno del piano e del budget condisivi con la banca». Come un super reparto IT che non è più periferico nel business dell’azienda ma si è fatto impresa esso stesso. Non è un cambiamento da poco.

Paolo Sacco, Chief Operatign Officer, Carige

LE AREE DI INNOVAZIONE IN CARIGE

La trasformazione digitale delle banche comporta un ripensamento di modelli organizzativi, processi e prodotti Sono diverse quindi  le aree in cui Dock dovrà andare a intervenire. Dal miglioramento dei tempi di risposta ai clienti all’introduzione di nuovi strumenti di pagamento digitali; dalla sperimentazione di tecnologie come la blockchain all’uso di soluzioni di cognitive computing per la gestione delle pratiche di fido, ad esempio. Fino alla social business intelligence per intercettare i clienti on line, sul web come sui canali social. «Così per noi è molto più facile fare innovazione e rispondere all’evoluzione di un mercato che sarà modificato dalla Psd2», spiega Sacco. «Abbiamo un partner sia per la gestione di tutta la parte strutturale e di applicativi legata anche all’eredità della banca sia per l’individuazione e implementazione di soluzioni innovative utili al business».

COME PORTARE L’INNOVAZIONE IN BANCA

Come condividere tutto questo lavoro con le strutture della banca? Come scaricare l’innovazione sul business? «Non è facile», ammette Sangalli. «Non si può pretendere di cambiare approccio dall’oggi al domani. Bisogna ridare motivazione, direi quasi entusiasmo a chi li ha persi strada facendo, per mille motivi. Adesso c’è un team che è core per Dock. Sono parte di una società che ha come business fare innovazione e trasformazione digitale». Non si può cambiare approccio da un giorno all’altra, e tantomeno una banca. «Guai ci fossero problemi! Bisogna andare in continuità. Abbiamo definito una fase di transito di circa 6 mesi. Quindi la transformation prenderà da 8 a 12 mesi». Il tempo serve per gli adeguamenti infrastrutturali ma anche culturali e organizzativi.

Da parte sua Carige ha creato una “retained organization”, come si usa fare dopo un’operazione di outsourcing, specie in area IT. «C’è da governare la relazione con Dock e non essere passivi», spiega Sacco. «Ma c’è anche da mantenere conoscenza e proattività».

L’EVOLUZIONE DI DOCK, DENTRO E FUORI CARIGE

La trasformazione digitale delle banche è un processo che sta investendo tutta l’industry dei servizi finanziari. «Speriamo che Dock possa diventare un punto di riferimento per il mercato, un modello applicabile anche ad altre esperienze», dice Sangalli. Potrebbe lavorare quindi anche per altre banche? «In questo momento lavoriamo solo per Carige», risponde deciso. Adesso dobbiamo concentrarci su questo progetto». Indipendentemente dalle evoluzioni di Dock da parte sua Carige non sembra voler rinunciare a un presidio sul fronte dell’innovazione. «I due assi strutturali nella relazione con IBM sono controllo della spesa e proattività nel percorso di trasformazione digitale», ricorda Sacco. «Non escludiamo di aggiungere un’attività di innovazione interna alla banca, per esempio con un team di sviluppatori interni per coprire l’ultimo miglio.» Quindi IBM, attraverso Dock, dà a Carige infrastruttura, architetture e soluzioni innovative. Carige da parte sua cerca di avere qualche idea innovativa, pensata per i suoi clienti e realizzata magari da giovani in grado di intercettare e interpretare i nuovi bisogni. «Contiamo di sviluppare questa capacità interna nel 2019», conclude Sacco. Lavori in corso, quindi. E non in un solo cantiere.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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