INNOVAZIONE E SOSTENIBILITÀ

Climate tech, che cosa significa e perché è la nuova frontiera del venture capital

I venture capital in US e UE stanno investendo su startup del climate tech, le tecnologie per arrivare a emissioni zero nel 2050. Ecco perché

Pubblicato il 28 Gen 2021

Innovation Call 2022

In Silicon Valley gli investitori stanno tornando a scommettere sulle startup del climate tech, dopo il boom di quelle del clean tech una decina di anni fa, che però non portò i risultati sperati. Potrebbe essere la volta buona?

Intanto bisogna capire esattamente cosa significa climate tech, una “buzz word”, come si dice in gergo, ovvero un’espressione che sta acquisendo sempre maggiore popolarità negli ultimi tempi nell’ambito degli ecosistemi innovativi.

10 anni di tempo per salvare il mondo

Anche se la pandemia da Covid-19 è al centro dell’attenzione mediatica mondiale, rimane urgente la sfida posta dal cambiamento climatico, sottolinea Pwc nel suo report The State of Climate Tech 2020 – The Next Frontier of Venture Capital. Probabilmente è una delle battaglie di innovazione più significativa del secolo: il mondo ha 10 anni di tempo per dimezzare le emissioni globali di gas serra ed evitare che il riscaldamento globale si innalzi di oltre 1,5 °C, un livello oltre il quale, avvertono gli scienziati, l’impatto comincerà ad essere pericoloso. Per raggiungere questo obiettivo, ogni settore dell’economia globale deve trasformarsi. Lo scopo finale è arrivare entro il 2050 a “zero emissioni nette” di Co2. Alcune delle tecnologie e delle soluzioni fondamentali per consentire questa trasformazione sono già state studiate, sperimentate e validate, ma necessitano di una rapida commercializzazione. Altre sono ancora in laboratorio. Molte non sono state nemmeno concettualizzate. Il campo, dunque, è aperto e ricco di opportunità.

Che cosa è il climate tech

Con il termine “climate tech” (che si potrebbe tradurre approssimativamente “tecnologie climatiche”), si possono definire un’ampia serie di settori impegnati nella sfida di “decarbonizzare” l’economia mondiale, allo scopo di raggiungere emissioni zero nel 2050. Con emissioni zero si intende un prodotto, un servizio o un’entità le cui emissioni di CO2 e di gas serra sono pari a zero, quindi non contribuiscono al riscaldamento climatico globale.

Il climate tech include tutte quelle azioni e operazioni mirate a ridurre le emissioni di anidride carbonica in campo energetico, nella costruzione di aree ed ambienti, nella mobilità, nell’industria pesante, nella produzione alimentare e nello sfruttamento del territorio. Inoltre climate tech significa anche una migliore gestione del carbonio attraverso procedure chiare e dimostrabili.

Climate tech: 5 categorie

Cosa rientra esattamente nella categoria delle tecnologie climatiche?

L’elenco è estremamente lungo e comprende i progressi fatti nella “cattura” e nel “sequestro” del carbonio, nei sistemi combinati di calore ed energia, nel riciclaggio dei rifiuti vegetali, nell’automazione degli edifici e nei biocarburanti.

Un articolo del 2018  della Stanford Social Innovation Review suddivide le soluzioni in cinque categorie principali:

  • transizione dell’approvvigionamento energetico verso fonti rinnovabili;
  • passaggio al trasporto a zero emissioni;
  • riduzione dell’impatto degli edifici e di altre infrastrutture;
  • coltivazione di agricoltura sostenibile, silvicoltura e uso del suolo;
  • decarbonizzazione dei processi industriali.
Clean tech

La differenza con il cleantech

Ci sono somiglianze con il cleantech, ovvero l’uso di tecnologie pulite che comprende pratiche come il riciclo di rifiuti, l’uso di fonti di energia rinnovabili (eolica, solare ecc), la razionalizzazione dei trasporti e delle fonti di illuminazione, la riduzione dei volumi di packaging e, in senso più ampio: tutte le scelte ambientali che mirano a ridurre drasticamente l’uso delle risorse naturali, e tagliare o eliminare le emissioni e rifiuti.

Tuttavia climate tech e cleantech non sono la stessa cosa. Lo puntualizza Ted Dillon, direttore marketing di Clean Energy Ventures, in un blog di febbraio 2020: “Anche se usiamo i termini in modo intercambiabile, il climate tech e il clean tech non sono sinonimi, né uno è il genitore e l’altro il bambino. In realtà, i termini sono più simili a fratelli con aree di interesse condivise ma missioni leggermente diverse. Mentre il climate tech ha una serie unica di priorità basate sull’affrontare una sfida monumentale e globale, il cleantech si concentra sul miglioramento dell’efficienza e dell’interazione dell’umanità con l’ambiente circostante”.

Clean tech e venture capital

I venture capital hanno versato quasi 16 miliardi di dollari nel settore già quest’anno, secondo i dati sul clean-tech di PitchBook condivisi con Business Insider. Un notevole incremento rispetto a una media di circa 5,6 miliardi di dollari all’anno tra il 2008 e il 2016. E 6 centesimi di ogni dollaro speso l’anno scorso in venture capital sono andati al climate tech, evidenzia un rapporto di Pwc. “Non riusciamo a vedere un mondo in cui il futuro non abbia una ‘lente climatica'”, ha dichiarato Andrew Beebe, managing director di Obvious Ventures, società di venture capital basata a San Francisco che ha allineato il proprio portafoglio al nuovo trend del climate tech.

Esempi di aziende di climate tech negli Usa

A Pittsburgh, la società di software di intelligenza artificiale RoadRunner Recycling, che automatizza il routing per i processi di riciclaggio commerciale, ha ottenuto $ 28,6  milioni in un round di serie C destinato ad aiutarla ad espandersi in 10 nuovi mercati nel corso dell’anno.

ClearFlame Engine Technologies, produttore di un motore a “combustione pulita” che brucia combustibili rinnovabili e può essere inserito nei camion diesel esistenti, ha chiuso di recente il suo primo round di finanziamento di $ 3 milioni.

Tre esempi rappresentativi del portafoglio della già citata Obvious: la società di autobus elettrici Proterra, le tecnologie di ricarica della flotta Amply e la società di consegna dei materiali da costruzione RenoRun.

Il venture capital europeo a caccia di clean tech

Gli investitori europei hanno già iniziato il 2021 con una forte attenzione alla sostenibilità. La svedese Norrsken Foundation ha annunciato un nuovo acceleratore incentrato sull’impatto climatico; la startup agritech svizzera Vivent ha raccolto un round di serie A  da 325 milioni di dollari da Astanor Ventures;  e la startup di consegna “green” budbee, con sede a Stoccolma, ha ottenuto 52 milioni di euro con la partecipazione della società vc Kinnevik.

La società lituana di venture capital Contrarian Ventures ha lanciato Climate 50, una classifica annuale che mira a riconoscere gli investitori vc climatici di maggior impatto in tutto il mondo.

La “laurea in climate tech”

E in Italia? In Italia ci si può laureare in climate tech. Non si chiama proprio così, ma è quello il campo di studio. Presso l’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Campus di Ravenna, è previsto un corso di laurea Magistrale in Analisi e Gestione dell’Ambiente in collaborazione con Climate-KIC  Knowledge & Innovation Community promossa dall’European Institute of Technology (EIT). Si tratta di un consorzio internazionale dinamico, che riunisce attorno alle tematiche del cambiamento climatico rappresentanti dell’industria, dell’accademia e della ricerca. Le azioni si concretizzano, per gli studenti, in opportunità di partecipazione a progetti di formazione avanzata e innovativa, come il percorso EIT Label, che mette a disposizione 15 borse di studio per studenti iscritti ai due corsi di laurea magistrale accreditati dell’Università di Bologna  e che superano la selezione Climate-KIC.

Il curriculum Climate-KIC dà agli studenti l’opportunità di sviluppare competenze in ambito economico e manageriale, di partecipare ad incontri congiunti con studenti di altre università che sono parte dello stesso percorso di formazione, di fare esperienze di studio e lavoro all’estero interamente finanziate.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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