LA SAGGEZZA DELLE FOLLE

Quel crowd-qualcosa che ci interessa davvero

Il crowdfunding si è mangiato tutto il crowdsourcing, almeno in Italia. Dialogo semiserio per provare a fare un po’ di chiarezza

Pubblicato il 07 Ott 2015

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– Di cosa vi occupate?

Crowdsourcing.

– Ah, ne ho sentito parlare.

– Bene! E cosa ne pensa?

– Mah, interessante, bella quella cosa che uno può mettere anche solo 10 euro.

– Bello, certo, ma quello è crowdfunding.

– E lei cosa mi ha detto?

Crowdsourcing.


– Ah. E non è la stessa cosa?

– Non proprio, le spiego…

Metti crowd all’inizio di una parola e ciò che segue non conta più. Il crowdfunding si è mangiato tutto il crowdsourcing. In Italialand intendo. Va di moda il crowdfunding: i giornali ne parlano, su Facebook imperversa, c’è sempre qualcuno che ti invita a mettere qualche spicciolo su indiegogo o kickstarter o simili. Insomma, è diventato il re del mondo “crowd-qualcosa”. Forse perché il funzionamento del crowdfunding è più semplice da spiegare? Ti piace il progetto, ci scommetti sopra qualche denaro. In cambio: dai prodotti in anteprima, fino alle azioni.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza. Crowdfunding = trovare soldi in giro, anche pochi per volta, anche da sconosciuti non professionisti dell’investimento. Crowdsourcing = trovare cose/idee in giro, anche poche per volta, anche da sconosciuti non professionisti della risoluzione dei problemi altrui. Crowdfunding è perciò un caso particolare di crowdsourcing, quando l’aiuto dall’esterno si materializza attraverso invio di denaro. Per ottenere un finanziamento o una consulenza, un tempo si andava dal vicino, dall’amico, dal parente, dall’amico dell’amico, dalla banca. Ecco, oggi quel passaparola funziona via internet e ci permette di avere a che fare potenzialmente con chiunque nel mondo possa esserci utile.

Perché potenzialmente? Perché il nostro eventuale tasso di coinvolgimento (user engagement), ovvero la voglia che abbiamo di partecipare alla risoluzione di un problema è direttamente proporzionale alla nostra prossimità al problema e questa vicinanza può essere:

  • fisica, quando il problema affligge direttamente la nostra vita;

  • esperienziale, quando abbiamo le conoscenze necessarie per affrontare il problema;

  • emotiva, quando ci sentiamo “toccati” dal problema.

E allora possiamo destinare del denaro a un’attività nobile all’altro capo della terra o aiutare la ricerca scientifica, cercare di risolvere un problema specifico di cui sappiamo essere competenti, partecipare alla cura del territorio in cui viviamo. Ma difficilmente, anche in presenza di ricompense molto rilevanti, saremo coinvolti in temi che sentiamo lontani. Insomma, quando qualcuno dice che la propria piattaforma conta qualche milione di utente, lascia indirettamente intendere che quello è il numero di persone coinvolte continuamente. No, è una frazione di quel numero, composta volta per volta dalle persone che si sentano coinvolte da un problema specifico. Potenzialmente milioni.

– Adesso ho capito, grazie!

– Si figuri… E cosa gliene pare?

– Un po’ complicato ma interessante, praticamente è come se ci fosse una grande nuvola sopra di noi con dentro tutto quello che ci serve.

– Anche, sì. Ma perché dice nuvola?

– ‘Sto cloud di cui parla non vuol dire nuvola?

– Sì, ma dicevo crowd, folla. No cloud, nuvola.

– Ah. E non è la stessa cosa?

– Non proprio, le spiego…

fabrizio@oxway.co

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