HANDS ON THE GROUND

Quando qualcuno mi dice è impossibile, sento già che lo posso fare

È la lezione che mi porto a casa da una testimonianza di Max Calderan, esploratore desertico estremo. I limiti sono solo una media statistica. Quanti ce ne imponiamo, nella vita quotidiana e nel lavoro, che non sono davvero reali? L’immaginazione può aiutarci a superarli, senza temere sofferenze e avversità

Pubblicato il 21 Nov 2017

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In siciliano si dice “Noè avìa novicent’anni: ‘mparàva e ‘nsignàva”. Per voi continentali, Noè aveva 900 anni: imparava ed insegnava, cioè a qualsiasi età non si smette di dare e ricevere conoscenza.

Da almeno un anno e mezzo non avevo l’opportunità di dedicarmi alla mia formazione professionale, ossia di fermarmi per 48 ore, dimenticare tutto e lasciarmi guidare da leader internazionali nel campo del marketing, della comunicazione e della leadership. Non so come, ma qualcuno ha pensato bene di farmi questo bellissimo regalo, forse perchè era fin troppo evidente quanto ne avessi bisogno (ps. grazie davvero per l’opportunità!).

In questi due giorni milanesi, ho ascoltato gente del calibro di Marshall Goldsmith, Richard Koch e Chester Elton. Ho raccolto spunti che metterò in pratica da domani mattina. Qui però desidero parlare delle testimonianze di due persone eccezionali: Max Calderan e Cinzia Pennesi, il primo esploratore desertico estremo e, la seconda, il primo direttore d’orchestra donna, vincitrice del premio Bellisario. Da entrambi, in campi e condizioni diverse, un solo messaggio: “i limiti sono una media statistica”. La maggior parte dei direttori d’orchestra sono uomini. È un limite? No, è una statistica. La maggior parte di noi non sopravviverebbe in un deserto. È un limite? No, è solo una statistica. Max Calderan ha esordito con il motto:

Quando qualcuno mi dice “è impossibile”, sento già che lo posso fare

e detto da uno che ha attraversato in solitaria deserti dove nemmeno i beduini osano, si può dubitare? Ad ascoltare le loro storie, non ho potuto fare altro che sentirmi piccolo piccolo. Osservare le nostre beghe quotidiane, i limiti che ci imponiamo, i “non ci riesco” dalla prospettiva di un direttore d’orchestra in un contesto in cui viene percepita (a prima vista e nel migliore dei casi) come l’assistente o di un tipo che cammina per un deserto con la sabbia a 83 gradi e rischia di morire ripetutamente, beh, tutto assume un colore diverso.
Affrontiamo ogni giorno mille difficoltà, facciamo i nostri passi con timore, fatichiamo a scegliere per paura dei limiti, abbiamo paura di fallire. Ascoltandoli con un minimo di autocritica e nella dovuta scala (credo che 10 min nel deserto mi basterebbero), non si può non riconoscere quanto sia vero.
E allora ti confronti con la solitudine, gli imprevisti, la paura, gli affetti (quelli veri), i silenzi e ti chiedi quanti limiti nella vita e nel lavoro ti imponi solo per media statistica. Ti chiedi quale è la tua reale e sana accettazione delle cose che accadono. Quando usi queste cose come alibi e quando continui a lottare anche se non sei più in condizione di cambiarle. Quanto sei capace di essere piegato dalla vita e, nonostante tutto, non lo percepisci come un limite ma come un nuovo punto di partenza.
Max Calderan ha concluso con questa frase: “Quando si raggiunge il limite o rinunci o rinunci al pensiero che questo limite esista”.

Stamattina, giusto per concludere il mio iter formativo, ho aperto il Corriere della Sera e mi è caduto l’occhio sulla lezione di J.K Rowling (l’autrice di Harry Potter) ad Harvard. L’articolo esamina solo la prima parte della lezione, quella relativa all’importanza del fallimento e di come ci possa rendere liberi senza costituire un limite.
Una frase è significativa “You will truly know yourself or the strength of your relationships until both have been tested by adversity. Such knowledge is a true gift […] and it is worth more than any qualification I have ever owned”. Vi invito però ad ascoltare la lezione per intero (la trovate qui e dura solo 20 minuti). Nella seconda parte, J.K. Rowling affronta il tema del potere dell’immaginazione:

Imagination is the power to enable us to empathise with humans whose experiences have been never shared.

Quindi l’immaginazione come strumento facilitatore ad abbattere i limiti nelle relazioni umane perchè ci permette di empatizzare la sofferenza e il dolore del prossimo. La conclusione di questi giorni credo si possa sintetizzare così:
We do not need magic to transform our world. We carry all the power we need inside ourselves already. We have the power to imagine better”.
O, come scrisse Seneca, “La vita è come una favola, non importa quanto sia lunga, ma quanto è ben raccontata”.
Insomma, ho 46 anni (non 900) ma ancora imparo.

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