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Le trappole dell’open innovation/ 4: l’ingordigia, che cos’è e come si manifesta

Spesso le grandi aziende tendono ad abusare del loro superiore potere contrattuale e impongono condizioni eccessivamente sbilanciate a proprio favore. Non comprendono che le startup si basano su un equilibrio fragile, che l’equity deve essere correttamente valorizzato e le commesse sono un freno allo sviluppo dell’impresa

Pubblicato il 22 Giu 2021

Photo by Henley Design Studio on Unsplash

Parlando di trappole che possono ostacolare la collaborazione tra grandi aziende e startup un paio di settimana fa avevo indicato l’indulgenza da parte delle prime nella valutazione delle startup. Il fatto che sia di moda lavorare con le startup porta spesso le aziende ad abbassare le barriere all’ingresso e ad avviare collaborazioni con soggetti che non sono in grado di portarle a compimento (disclaimer: i nostri anni di esperienza sul campo suggeriscono che le startup early stage non sono, salvi rarissimi casi, un buon fit per le grandi aziende).

Oggi (trappola #4) mi soffermo su un aspetto logicamente simmetricamente opposto. Molto di frequente le grandi aziende tendono ad abusare del loro superiore potere contrattuale e impongono condizioni eccessivamente sbilanciate a proprio favore. Questo vale sia nella negoziazione di un progetto pilota (Proof of Concept, POC) quanto nei termini di investimento e, talvolta, anche di acquisizione.

Open innovation, i sintomi dell’ingordigia

Frasi come quelle di sotto riportate riecheggiano di frequente durante la negoziazione:

  • Ti stiamo aprendo le porte ad una rete distributiva internazionale (capillare);
  • Un pilota con noi ti consente di avere piena validazione tecnica (e di mercato);
  • Siamo una referenza fondamentale per i tuoi passi di sviluppo futuri (sia lato funding che di crescita del business);
  • Una volta registrato nel nostro albo fornitori i numeri cresceranno sensibilmente.

Il problema non è nel contenuto delle affermazioni che sono anche potenzialmente vere (anche se molti progetti pilota non portano da nessuna parte o richiedono tempi biblici per essere avviati ed ultimati, ma questa è un’altra storia).

Il problema è che questi messaggi vengono utilizzati durante la negoziazione per spuntare condizioni di favore quali:

  • Abbassamento dell’importo da pagare alla startup per la realizzazione del pilota;
  • Ottenimento di quote di capitale (o opzioni di investimento) a condizioni non di mercato;
  • Inserimento di clausole (quali esclusività o opzioni di acquisto a prezzo predeterminato) che possono limitare le opzioni strategiche della startup.

Dopo tutto quello che abbiamo fatto per loro non ci ricaviamo nulla?

Il presupposto logico di queste richieste dal lato dell’impresa è: stiamo aiutando la startup a crescere, il suo successo passa da noi, è legittimo prenderne parte. Questo modo di pensare è molto diffuso in ambito corporate. Vi riporto due casi veri (anche se opportunamente anonimizzati) che aiutano a cogliere questa mentalità.

  • La persona a capo di una business unit di una multinazionale si lamenta con il team di innovazione all’indomani della chiusura dell’ennesimo round di finanziamento – ad una valutazione importante – di una startup che aveva testato la propria soluzione nei propri laboratori: “Possibile che dopo tutto quello che abbiamo fatto per loro non ci ricaviamo nulla?”.
  • Il capo dell’unità di M&A di una grande azienda francese accusa i colleghi del fondo di CVC di avere contribuito con i propri investimenti ad alzare la valutazione di una startup.

Put yourself in the shoes of the startup

Il punto che si fa fatica a cogliere è che le startup sono costruite su un equilibrio fragile. E la loro costruzione (parimenti fragile) si basa sulla capacità di rispettare dei principi base:

  • L’equity deve essere propriamente valorizzato: una dilution eccessiva dei founder e del management è controproducente in quanto azzera gli incentivi a portare avanti l’iniziativa.
  • Le commesse con aziende costituiscono un rallentamento del proprio percorso di crescita che è “time and capital constrained”. Indi, la decisione di intraprendere queste opzioni, oltre a basarsi su un’effettiva valutazione di opportunità strategica, deve essere propriamente remunerata, pena compromettere (rallentando e deviando) il percorso di sviluppo.

Nel dubbio il consiglio ai corporate executives è di “put yourself in the shoes of the startup”.

Per chiudere:

Valutazioni di mercato e prezzi remunerativi sono l’unica strada percorribile per porre in essere collaborazioni impresa-startup che possano effettivamente scalare e produrre risultato.

In caso contrario, si perde solo tempo per accaparrarsi dei vantaggi del tutto immateriali.

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Alberto Onetti
Alberto Onetti

Chairman (di Mind the Bridge), Professore (di Entrepreneurship all’Università dell’Insubria) e imprenditore seriale (Funambol la mia ultima avventura). Geneticamente curioso e affascinato dalle cose complicate.

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