Disinformazione e social: cambiare la nostra postura digitale per rendere migliore il mondo

Ci informiamo sempre di più sui social. Come evitare la disinformazione. La Commissione Europea ha emesso un nuovo Codice di buone pratiche, RaiPlay ha lanciato 5 lezioni di cultura digitale. Perché solo un cambio di atteggiamento potrà migliorare la vita online

Pubblicato il 08 Lug 2022

Photo by Alexander Shatov on Unsplash

Il Digital News Report di Reuter Institute è una delle più complete indagini sul modo in cui le persone si informano. L’ultima edizione del rapporto pubblicata tre settimane fa dice che il 75% degli italiani si informa (anche) online e di questi il 47% lo fa attraverso i social media.

L’incremento dell’uso dei social come strumento di informazione porta con sé il tema della disinformazione. Covid, guerra e future elezioni politiche: come salvaguardare la libertà di espressione e insieme difenderci dalle fake news?

Una risposta a queste domande cercano di darla due recenti iniziative, una che interviene “a monte” l’altra “a valle”.

1. A metà giugno la Commissione europea ha emesso il nuovo Codice rafforzato di buone pratiche sulla disinformazione.

Lo hanno sottoscritto 34 firmatari, tra cui Meta, Google, Twitter, TikTok e Microsoft, ma non ancora Apple e Telegram. Gli impegni assunti sono 44, a partire da  misure più incisive per “demonetizzare la disinformazione” e aumentare la trasparenza della pubblicità politica e della pubblicità tematica.

2. Raiplay ha lanciato un “Invito alla lettura”, cinque lezioni multidisciplinari per aiutarci a cercare informazioni online in modo consapevole e avvertito.

Gli obiettivi del corso prevedono l’acquisizione delle competenze fondamentali di alfabetizzazione mediatica, la conoscenza dei meccanismi psicologici che influenzano il comportamento delle persone quando si informano e condividono contenuti in rete e le buone pratiche per valutare l’affidabilità dell’informazione online.

A monte e a valle, questi sono due esempi di tecnologia solidale, alle quali va però aggiunto un cambio di atteggiamento che ci riguarda tutti. Lo esprime con felice sintesi questa frase del libro “Socialability” di Francesco Oggiano, dove parla di coloro i quali sono “pronti a difendere la libertà di parola purché uguale alla nostra. Ansiosi di includere persone diverse per colore della pelle, orientamento sessuale, identità di genere e tante altre caratteristiche identitarie, ma mai diverse per pensiero. Inclusivi sì, ma con chi è già dentro.”.

Questo è un punto di metodo fondamentale. Poiché noi esseri umani siamo limitati, inevitabilmente ognuno approccia la realtà e le informazioni a partire da un punto di vista, quindi con un pre-giudizio. Comprendere questa condizione di partenza consente di stare nel dibattito online consapevoli che i punti di vista sono tutti dignitosi e tutti interessanti, se espressi in buona fede.

Mutatis mutandis, questa posizione è simile a quanto ha detto a proposito del populismo il premier Draghi nella sua conferenza stampa del 30 giugno: “I temi del populismo non si sconfiggono disprezzandoli o ergendosi a paladini di altri sistemi.”. 

Tra codici di comportamento e programmi di formazione deve cambiare la nostra postura online. Dobbiamo essere capaci di comprendere l’altro e le sue ragioni, anche se non ci sembrano buone. Non è buonismo. Questo è l’unico modo in cui il confronto e la polarizzazione, che sono inevitabili nella democrazia come nella vita, non si trasformano in discriminazione e prevaricazione. Avere un pensiero solido non significa pretendere che esso diventi un pensiero unico. Il mio.

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Antonio Palmieri
Antonio Palmieri

Antonio Palmieri, fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido. Sposato, due figli, milanese, interista. Dal 1988 si occupa di comunicazione, comunicazione politica, formazione, innovazione digitale e sociale. Già deputato di Forza Italia

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