Digitalizzazione: gli italiani sono confusi. La ricerca del Digital Transformation Institute

Per il 92% degli italiani il digitale è fonte di opportunità, ma per il 65% di diseguaglianza. L’80% dice di conoscere la sostenibilità ma solo il 10% usa app per la riduzione dei consumi. “Emerge un quadro complesso e contraddittorio”, dice il presidente Stefano Epifani. “Serve più consapevolezza”

Pubblicato il 20 Mag 2021

Photo by Jon Tyson on Unsplash

Come è noto, il Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza si fonda su due assi: digitalizzazione e sostenibilità (ambientale e sociale). Ma qual è il livello di consapevolezza degli italiani su questi temi, e quale il loro punto di vista sul ruolo della digitalizzazione come strumento di sviluppo sostenibile? A quanto pare, gli italiani sono confusi, come è emerso dalla ricerca Italiani e Sostenibilità Digitale: cosa ne sanno, cosa ne pensano, realizzata dal Digital Transformation Institute, la prima Fondazione di Ricerca italiana per la sostenibilità digitale.

“Confusi è una sintesi efficace, caro Palmieri. Il quadro che emerge dai dati – dice Stefano Epifani, Presidente della Fondazione – è un quadro estremamente complesso e variegato, che fornisce alcune indicazioni fondamentali dalle quali partire per iniziare a disegnare quella nuova normalità che serve per rilanciare il nostro Paese.”

Il quadro è in effetti variegato e complesso, vediamo di fare ordine insieme. A quanto ho capito, la prima parte della ricerca riguarda le opportunità offerte dalla digitalizzazione rispetto agli obiettivi di Agenda2030.

“Prima ancora, partiamo dal concetto di sostenibilità. Una parte importante degli italiani pensa di conoscere il tema: l’80% afferma di averne una conoscenza abbastanza o molto precisa.”

Bene. Ma…

“…ma approfondendo il dato, emerge una grande confusione nelle persone, che interpretano il concetto in una dimensione prettamente ideologica, senza un impatto reale nei comportamenti o nelle azioni.”

L’ideologia è sempre una brutta bestia, alla quale di solito segue il moralismo…

“Guardi le priorità percepite: il 46% degli italiani ritiene prioritarie le scelte ambientali ed il 38% quelle orientate al benessere dell’individuo, con un residuale 16% che mette al primo posto le scelte economiche, ma allo stesso tempo una parte significativa di loro (ben il 62%) non è in grado di correlare la visione di sostenibilità che ritiene prioritaria con le scelte economiche e sociali che dovrebbero essere coerenti con essa. Per questo dico che si tratta di una visione ideologica, disancorata dalla realtà.”

E per quanto attiene la tecnologia digitale? Ho letto che il 92% degli intervistati ritiene il digitale fonte di opportunità (anche se il 71% ritiene che se ne debbano ancora comprendere i rischi)…

“Anche in questo caso i contrasti sono molto forti, perché il 65% degli intervistati sostiene anche che la tecnologia è fonte di diseguaglianza, perdita di posti di lavoro e ingiustizia sociale. È significativo come la paura nei confronti della tecnologia aumenti proporzionalmente al diminuire della competenza: in altri termini meno si conoscono le tecnologie più le si temono.”

Stefano Epifani

Quindi lei mi sta dicendo che le istituzioni devono svolgere un ruolo centrale per aumentare il livello di consapevolezza e di competenza digitali degli italiani.

“Sarebbe auspicabile. Anche per quanto riguarda l’uso della tecnologia come strumento di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Pensi che la maggior parte degli italiani ha chiara l’urgenza di affrontare problemi come il cambiamento climatico (74%) e l’inquinamento (76%) tuttavia la maggior parte di essi – che pur si dichiara consapevole delle opportunità che già oggi offre la tecnologia digitale per affrontare questi problemi – nella pratica quotidiana non fa quanto potrebbe per usarle come strumento di sostenibilità.

Da cosa deriva questo suo giudizio?

I dati della ricerca ci dicono che solo il 10% gli italiani usa regolarmente applicazioni a supporto della riduzione dei consumi, mentre il 13% le usa raramente. Il 27% dichiara di non conoscerne l’esistenza, ma il dato più significativo è rappresentato da quel 49% che conoscendone l’esistenza, comunque non le adotta. E la situazione non cambia di molto se ci si riferisce alle applicazioni per la gestione del ciclo dei rifiuti (che il 38% degli italiani non conosce ed il 35% non usa pur conoscendole) e per quelle dedicate ad abbattere gli sprechi alimentari (sconosciute dal 48% degli intervistati e non usate dal 38% di quanti dichiarano di conoscerne l’esistenza).

Siamo (parzialmente) un popolo di pigri?

“Non mi avventuro su questo terreno, mi “limito” a presentare i dati…”

…dati che non finiscono qui…

“No, perché si aggiunge un ulteriore problema: se da una parte le persone non usano il digitale come strumento di sostenibilità, dall’altra non si rendono conto di quanto davvero esso – in ogni caso – impatti sull’ambiente. Più della metà degli intervistati sostiene che l’impatto ambientale della digitalizzazione sia forte (61% del totale), ma solo il 13% riesce a quantificare correttamente il consumo effettivo di un’ora a settimana di streaming video, pari a quello di ben due frigoriferi collegati 24h, giusto per fare un esempio.”

Insomma: non solo non sfruttiamo appieno la tecnologia digitale come risorsa per lo sviluppo sostenibile, ma non ci rendiamo nemmeno pienamente conto di quale sia il suo reale impatto ambientale.  

“La situazione non cambia di molto se guardiamo alla sostenibilità economica e sociale. Si pensi ad esempio al ruolo delle piattaforme digitali, dei social network, dei motori di ricerca: è evidente una forte difficoltà delle persone nel contestualizzare il problema in termini complessivi. Il 90% degli intervistati è d’accordo nell’affermare che aziende come Facebook, Google, Apple o Amazon abbiano oggi troppo potere rispetto alla possibilità di influenzare i comportamenti delle persone, ed una percentuale quasi analoga (87%) afferma – conseguentemente – che i Governi debbano preoccuparsi del problema. So che lei ha pubblicato di recente un libro, “Social è responsabilità”, dedicato in gran parte proprio a questo tema…

Grazie per la citazione ma non siamo qui per parlare di questo, ma degli esiti della sua ricerca…

“…allora pensi che il 50% degli intervistati è dell’idea che le grandi piattaforme debbano essere lasciate totalmente libere di agire sul mercato. Allo stesso tempo, il 92% delle persone sostiene che garantire la privacy degli utenti sia una priorità, ma il 50% sostiene anche che tutto sommato i servizi personalizzati siano più importanti della privacy. Stiamo ancora elaborando questa seconda parte di dati, che saranno presentati nelle prossime settimane, ma già emerge un quadro caratterizzato da moltissimi apparenti contrasti, che dovremo comprendere in profondità. Farlo è fondamentale per capire come supportare il processo di sviluppo del PNRR dal punto di vista delle aziende, delle Istituzioni e, naturalmente, dei cittadini”.

Una cosa sembra certa. Serve aumentare la consapevolezza dei cittadini, perché essa è vitale per vivere appieno questa era di straordinarie possibilità. Le giudico straordinarie perché la tecnologia, ben usata, aumenta la capacità di ciascuno di essere protagonista positivo, per se e per gli altri. Il punto di partenza resta la conoscenza, nel senso più ampio del termine. È un compito che compete a tutti coloro i quali abbiano una responsabilità, piccola o grande non importa, che passa anche attraverso questo piccolo blog, strumento anch’esso di costruzione di consapevolezza. Perché, come dice il poeta, “cammina l’uomo, quando sa bene dove andare”.

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Antonio Palmieri
Antonio Palmieri

Antonio Palmieri, fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido. Sposato, due figli, milanese, interista. Dal 1988 si occupa di comunicazione, comunicazione politica, formazione, innovazione digitale e sociale. Già deputato di Forza Italia

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