Quando la startup nasce al fianco dell’università

I3P, l’incubatore del Politecnico di Torino, è il più antico e il più grande d’Italia. Fino ad oggi ha “allevato” 173 imprese. Eccone 5 che stanno crescendo adesso. Dall’app che aiuta a ricordare le scadenze dell’auto al tablet che si trasforma in un registratore di cassa

Pubblicato il 10 Ago 2015

150721163427

È ancora troppo presto per capire se il modello degli incubatori funziona davvero, anche in Italia. Lo sapremo solo nei prossimi anni, quando potremo vedere quante delle startup “allevate” in questi spazi di innovazione saranno diventate imprese globali affermate. Una cosa però è certa: gli incubatori sono realtà in cui si respira un’aria di cambiamento contagiosa. In quelli universitari si aggiunge il refolo che arriva dalle aule e da chi, giovane e coraggioso, spesso è uscito da poco dallo status di studente.

I3P, l’incubatore di imprese innovative del Politecnico di Torino nato nel 1999 e guidato da Marco Cantamessa, è il più “antico” e il più grande della categoria e nel 2014 si è classificato quinto in Europa e quindicesimo nel mondo nel ranking UBI Index, (University Business Incubator), la classifica annuale degli incubatori universitari. A oggi, I3P ha lanciato 173 startup in diversi settori. Dal 2011 ha inaugurato TreataBit, un percorso di incubazione specifico per progetti digitali che finora ha supportato oltre 210 idee d’impresa.

Noi di EconomyUp siamo andati a fare un giro in I3P durante “Pitch on the beach”, l’evento che I3P e TreataBit organizzano d’estate per presentare le nuove “matricole” dell’incubatore. Abbiamo conosciuto alcune startup interessanti, che meritano di essere raccontate.

Camminando per i corridoi del piano terra di I3P, che dal punto di vista architettonico sembra un edificio universitario – magari la Facoltà di Innovazione – la prima startup in cui ci imbattiamo è Fanceat.

Fanceat è una nuova impresa attiva dal gennaio 2015 che ha lanciato un ecommerce di kit per preparare

a casa una cena ispirata alle tradizioni gastronomiche made in Italy. In ognuno dei sei box proposti, che vengono spediti direttamente a casa (o in ufficio) dei clienti, ci sono veri ingredienti, dosati per realizzare in circa 45 minuti un menu di due portate per due persone, con tanto di bottiglia di vino. Le ricette contenute nei box cambiano ogni mese per offrire maggior scelta e prodotti stagionali. «Nei box ci sono tutte le istruzioni per preparare i piatti, delle foto e uno storytelling della ricetta», spiega a EconomyUp il ceo Alberto Danna, uno dei tre cofondatori. «Il nostro obiettivo è promuovere il cibo italiano all’estero».

Nella stessa stanza dove ha sede Fanceat, hanno l’ufficio anche i ragazzi di Veicoli.

Veicoli è un’app, disponibile sia su smartphone che pc, che aiuta a ricordare le scadenze della propria automobile (bollo, assicurazione, revisioni, tagliandi, multe…) e a tenere sotto controllo manutenzioni periodiche, pneumatici e costi carburante. La piattaforma, lanciata nel 2014 (62 mila utenti e 80 mila vetture controllate), invia degli alert automatici all’approssimarsi di ogni deadline. Fino a due veicoli, il servizio è gratuito. La spesa scatta dopo: dalla terza in poi, un euro

all’anno per ogni vettura. Una flotta aziendale, per esempio, garantisce alla startup un’entrata più ampia rispetto a quella che può provenire da un privato. Ma la società punta a monetizzare anche includendo servizi come il pagamento diretto del bollo, la prenotazione a prezzi scontati di un intervento di manutenzione, la comparazione di polizze assicurative e l’archiviazione in cloud di documenti legati alle autovetture. Per ciascun servizio, la startup sottoscriverebbe una partnership con un’azienda già attiva nel settore. Inoltre, con l’enorme massa di dati su autovetture, stili di guida e consumi, le opportunità di ideare nuovi servizi aumentano.

Spostandoci in un’altra aula, scopriamo Scloby.

Scloby ha inventato un sistema per trasformare lo smartphone o il tablet in un registratore di cassa. La startup, che è nata nel 2013 e attualmente dà lavoro a 13 persone, ha sviluppato un sistema in cloud che dà la possibilità di integrare l’emissione di scontrini fiscali e fatture con software gestionali, ecommerce, sistemi di fidelizzazione, campagne di marketing, strumenti di reportistica e di analisi dati. Il servizio viene offerto sulla base di un canone mensile di 35 euro che garantisce assistenza fisica e telefonica.

Ma è estate, fa caldo, e le startup, in occasione di PItch on the Beach, mettono un banchetto nel

giardino esterno e si raccontano da lì. Come Laces, una startup che è la dimostrazione vivente che la sharing economy e il crowdsourcing possono applicarsi anche al fitness. L’azienda, neonata, ha progettato uno zaino che contiene gli attrezzi per allestire un’area di allenamento, per otto persone, in qualunque contesto (spazi urbani, parchi, ex mercati, spiagge…). Un istruttore può quindi organizzare e promuovere una lezione potenzialmente in ogni luogo e gli utenti che si abbonano alla piattaforma possono scegliere come, quando, dove e con chi allenarsi: l’iscrizione, tra l’altro, vale in ogni città in cui è presente un trainer che fa parte del circuito Laces. Una sorta di “Uber delle palestre”, in cui un potenziale punto di forza è rappresentato dal fatto che i prezzi sono più bassi rispetto ai normali centri sportivi in quanto i trainer non devono sostenere i costi fissi che gravano sui titolari delle palestre. Il modello di business prevede che alla piattaforma venga corrisposta una commissione del 20% su ogni lezione organizzata.

Continuiamo il tour all’esterno. Tra i banchetti ci sono dei ragazzi in t-shirt che sorridono. Sono i componenti del team di 3doers.

3doers ha creato un sistema online per stampare oggetti in 3D seguendo i principi del crowdsourcing. Il processo prevede che chi vuole stampare qualcosa (dalla cover per lo smartphone al prototipo industriale) carica il file 3D del suo progetto sulla piattaforma e visualizza

i costi della stampa. A quel punto, se dà l’ok, gli stampatori iscritti al portale vedono il progetto: il primo che si rende disponibile a eseguire l’operazione, stampa l’oggetto e provvede a recapitarlo all’utente. Attraverso questo sistema, i costi e i tempi del 3D printing si abbassano e la qualità tende ad aumentare perché è la piattaforma a garantire sugli stampatori iscritti.

E per chi crede che le startup si concentrino solo sui settori più innovativi, ecco una smentita da Immodrone, che innova nel comparto immobiliare.

Immodrone, che ha sviluppato un servizio per valorizzare gli immobili (sia a uso turistico che residenziale) attraverso la realizzazione di riprese aeree fatte con i droni. La startup, che ha lanciato il proprio servizio ad aprile, mette in collegamento i piloti professionali di UAV (al momento sono 18 a collaborare con Immodrone) con le agenzie immobiliari. «Puntiamo soprattutto alla fascia alta: ville, castelli, immobili di pregio», spiega il fondatore e ceo di Immodrone, Simone Russo. «Sono già circa 1.000 le agenzie, in Italia ma anche in Svizzera, che si sono rivolte a noi per poter realizzare dei video ad hoc».

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 4