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Perché il venture capital scommette senza prove: la lezione di Eric Ries su rischio e ritorni



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Eric Ries, autore di “The Lean Startup”, affronta il tema della valutazione delle startup dal punto di vista del Venture Capital: ecco perché i grandi ritorni non possono essere letti con metriche tradizionali di ROI ma richiedono un approccio basato sulla probabilità

Pubblicato il 19 dic 2025



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Nel dibattito sull’evoluzione del Venture Capital, uno dei punti più controversi riguarda il modo in cui vengono valutate le startup nelle fasi iniziali. La tensione tra analisi finanziaria tradizionale e logica del rischio è al centro dell’intervista a Eric Ries, autore di The Lean Startup, realizzata da Simone Martinelli, Managing Director di Hi!Founders ed esponente dell’ecosistema startup, e presentata in anteprima durante il convegno Digital & Open Innovation 2026: cosa serve a imprese e startup per un cambio di passo, organizzato il 2 dicembre 2025 dagli Osservatori Startup Thinking, Startup & Scaleup Hi-tech e Digital Transformation Academy presso gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano.

L’intervista affronta uno dei nodi strutturali del Venture Capital: l’incapacità dei modelli di valutazione tradizionali di spiegare perché pochi investimenti generino la maggior parte dei rendimenti.

Il Venture Capital come gioco di outlier

Ries parte da un’osservazione che emerge dall’analisi storica dei portafogli di Venture Capital. La maggior parte dei ritorni, spiega, è generata da un numero estremamente limitato di aziende. Nei fondi di maggiore successo, “i rendimenti sono dominati da un piccolo numero di outlier estremi”, capaci di restituire non solo multipli del capitale investito, ma di “ripagare l’intero fondo e di più”, arrivando a ritorni anche superiori al 10.000%.

Questa dinamica rende inefficace un approccio basato sul ROI tradizionale. Secondo Ries, le breakout startup “non possono, in generale, essere analizzate attraverso un framework di Return on Investment”, perché il loro contributo al portafoglio non è incrementale, ma radicalmente sbilanciato.

Perché il ROI non funziona nelle fasi iniziali

Il problema, osserva Ries, è che gli investitori formati nell’analisi finanziaria classica cercano elementi che, nelle fasi iniziali, semplicemente non esistono. Se si fosse valutato Facebook o Google nei primi giorni, “non c’erano beni tangibili da analizzare. Non c’era un mercato, né clienti, né business”.

In assenza di questi elementi, l’unica analisi possibile riguarda due dimensioni: la dimensione dell’opportunità totale e la probabilità che la startup riesca a raggiungerla. È questo spostamento concettuale che, secondo Ries, “confondere quasi tutti gli investitori” con una formazione tradizionale.

Il paradosso dell’attesa dell’evidenza

Uno dei passaggi centrali dell’intervista riguarda il comportamento di molti investitori che scelgono di attendere segnali più solidi prima di entrare. L’idea è stimare una probabilità iniziale e poi osservare il mercato, aspettando “abbastanza evidenza tangibile che la probabilità è cambiata”.

Secondo Ries, questa strategia è fallimentare per definizione. Chi aspetta l’evidenza perde l’opportunità di investire, perché il momento in cui l’evidenza diventa visibile coincide con un salto improvviso di valutazione. Gli investitori che seguono questa logica “non hanno avuto l’opportunità di investire affatto”.

MVP e valutazioni che saltano

Il meccanismo che spiega questo fenomeno è legato alle prime attività della startup. Ciò che viene comunemente definito Minimum Viable Product ha un doppio effetto: rivela contemporaneamente informazioni sulla dimensione del mercato e sulla probabilità di successo.

Questa doppia rivelazione fa sì che le valutazioni “saltino precipitosamente da un round all’altro”, molto più di quanto sarebbe giustificabile con un’analisi basata sul ROI. È in questa fase che si concentra il vero rischio, ma anche la possibilità di intercettare gli outlier che generano i rendimenti maggiori.

Scommettere in assenza di evidenza

La conclusione a cui arriva Ries è netta: chi vuole partecipare ai grandi successi del Venture Capital deve accettare l’idea di investire senza evidenza. “Se volete ottenere grandi vittorie”, afferma, “dovete imparare a fare scommesse sulla valutazione in assenza di evidenza”.

Non si tratta di un invito all’azzardo, ma di un cambio di paradigma. In un sistema dominato dagli outlier, l’errore più grande non è perdere su singole scommesse, ma restare fuori dai pochi casi che determinano l’intero rendimento del portafoglio.

Una riflessione per investitori e startup

L’intervista di Eric Ries, proposta in anteprima durante il convegno, offre una chiave di lettura che va oltre il singolo caso. La tensione tra probabilità, rischio ed evidenza riguarda tanto gli investitori quanto i founder, chiamati a confrontarsi con valutazioni che riflettono aspettative future più che risultati presenti.

In un ecosistema che fatica ancora a generare exit su larga scala, la riflessione di Ries contribuisce a chiarire perché il Venture Capital resti un ambito in cui le regole della finanza tradizionale non sono sufficienti a spiegare il funzionamento reale del mercato.

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