Cade un pilastro del car sharing a Milano: dal 18 dicembre Zity spegnerà i motori nel capoluogo lombardo. Il servizio, attivo dal 2022, viene interrotto per “circostanze di mercato e sostenibilità a lungo termine del business nel suo formato attuale”, come ha spiegato la stessa società, annunciando il passaggio all’ecosistema Mobilize Share.
Il modello avrebbe generato un “buco” stimato intorno ai 400 euro al mese per ogni auto: un dato che, al di là del numero preciso, fotografa la fatica strutturale del car sharing a far quadrare i conti in contesti urbani complessi e costosi.
A Milano, poi, lo scenario è ancora più chiaro: i noleggi annui di car sharing si sarebbero dimezzati dal 2018 al 2024, passando da circa 17mila a poco più di 8mila. La città, che figura sempre ai primi posti nelle classifiche delle smart city e che dovrebbe essere laboratorio avanzato di mobilità innovativa, vede quindi arretrare uno dei servizi simbolo della transizione: non per mancanza di utenti interessati, ma per la difficoltà a far stare in piedi il conto economico. Il caso Zity è dunque meno un’anomalia e più un sintomo di un settore che sta uscendo dalla fase “hype” per entrare, a volte bruscamente, in quella della sostenibilità industriale.
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Sharing mobility: paradosso di domanda e offerta
Se allarghiamo lo sguardo oltre Milano, l’istantanea è coerente. Il 9° Rapporto nazionale sulla sharing mobility mostra un paradosso ormai consolidato: domanda in crescita, offerta in calo. Nel 2024, in Italia, si contano oltre 50 milioni di noleggi e 60 milioni stimati per il 2025, con flotte per il 95% a zero emissioni. Ma nello stesso periodo i veicoli in sharing scendono da 113mila nel 2022 a circa 90-96mila (–15%), i servizi attivi da 211 a 143 (–32%) e gli operatori diminuiscono di circa un quarto.
La mobilità condivisa si concentra nelle grandi città, soprattutto Roma e Milano, che da sole generano oltre il 50% dei noleggi: 13,2 e 12,6 milioni rispettivamente. Il resto del Paese, in particolare i centri medi e le aree a reddito più basso, scivola verso quella “povertà di trasporto” che il Rapporto definisce come scarsità di alternative accessibili all’auto privata. Nel frattempo, il parco auto nazionale continua a crescere oltre i 40 milioni di veicoli, circa 701 ogni mille abitanti: segno che la sharing mobility non è ancora riuscita a scalfire davvero la centralità dell’auto di proprietà.
Le criticità del car sharing
Per capire perché, bisogna entrare dentro il conto economico degli operatori. Il car sharing è il segmento più esposto: le auto sono il mezzo più costoso da acquistare, assicurare, manutenere e proteggere da furti, vandalismi e incidenti non denunciati.
Un altro tema chiave è quello fiscale: i servizi di sharing pagano IVA al 22%, mentre il trasporto pubblico e gli NCC si fermano al 10% e i taxi la rendono “invisibile” facendo pagare al cliente una tariffa in cui è inclusa. Il risultato è una doppia penalizzazione, sul prezzo finale per l’utente e sulla marginalità per l’operatore, proprio in un settore che ha bisogno di volumi elevati per rientrare dei costi fissi.
A questo si aggiunge la difficoltà crescente a trovare coperture assicurative sostenibili: molte compagnie sono restie a coprire flotte di car sharing, o lo fanno con premi molto elevati. Nel contesto di questa combinazione – costi operativi urbani (sosta, ricarica, logistica), pressione regolatoria locale, rischi assicurativi – i 400 euro di buco mensile per auto che emergono nel caso Zity non sono un’anomalia contabile, ma una misura della distanza tra aspettative politiche (“meno auto private, più condivisione”) e le condizioni economiche con cui si chiede agli operatori di presidiare il mercato.
Crisi anche per la micromobilità in sharing
Anche la micromobilità sta attraversando una fase di resa dei conti. Firenze sarà la prima città italiana a spegnere, dal 1° aprile 2026, i monopattini elettrici in sharing, mettendo fine a una sperimentazione iniziata nel solco delle politiche di smart mobility. Alla base della scelta pesano il nuovo Codice della Strada, i problemi di sicurezza, il parcheggio selvaggio e il tema del decoro urbano; la città prova a compensare puntando sul potenziamento del bike sharing.
Sullo sfondo, il legislatore nazionale irrigidisce le regole: nuove norme introdotte nel 2024 prevedono casco obbligatorio e assicurazione di responsabilità civile per tutti i monopattini, con gli operatori che stimano un possibile calo fino al 70% degli utilizzi a causa di maggiori costi e frizioni d’uso.
A livello internazionale, Parigi ha bandito i monopattini in sharing dopo un referendum cittadino, mentre Madrid ha revocato le licenze ai tre operatori per guida spericolata e parcheggi caotici. In parallelo, la bancarotta di Bird, uno dei più grandi player globali, nel 2023 mostra come il modello “tanta crescita, pochi margini” non regga più in un contesto di tassi alti e regolazione più severa. Non è la fine della micromobilità, ma la fine di una stagione in cui si poteva contare su capitali abbondanti e scarsa disciplina.
Cosa insegna il caso Zity
Che cosa ci dice, allora, il caso Zity sul futuro della mobilità condivisa?
Prima di tutto, che non basta “mettere in strada veicoli elettrici” per avere un ecosistema sostenibile. Servono condizioni di contesto coerenti con il ruolo che il vehicle sharing dovrebbe avere nelle politiche urbane: un’IVA allineata a quella del TPL e degli NCC, bandi pluriennali stabili per le grandi città (Roma e Milano in primis), parcheggi dedicati e corsie preferenziali che riducano i tempi morti, infrastrutture di ricarica realmente diffuse e incentivi strutturali, non episodici, agli operatori e agli utenti.
Il rischio forse più serio è quello di una mobilità a due velocità: grandi città servite (seppure con meno operatori) e territori medi e piccoli lasciati all’auto privata. È esattamente il divario di mobilità di cui avverte l’Osservatorio: senza una regia nazionale che consideri la sharing mobility parte dell’infrastruttura, e non un semplice servizio accessorio, le chiusure come quella di Zity diventeranno la norma, non l’eccezione.
(Nota di trasparenza. Questo articolo è stato sviluppato in collaborazione con l’intelligenza artificiale per ampliare le capacità dell’autore nel reperire fonti, analizzarle e organizzarle. L’AI ha affiancato, senza mai sostituirle, le scelte creative e argomentative, che restano pienamente umane).







