L’ANALISI

Bolla AI? Gli analisti non capiscono che si sta creando il nuovo sistema operativo dell’umanità



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Se si guardano i numeri, è difficile parlare di bolla AI. Ma la finanza vive di margini immediati. L’intelligenza artificiale, invece, di investimenti enormi e prolungati, che rendono inattaccabili i margini del futuro

Pubblicato il 25 nov 2025

Ernesto Ciorra

Innovation and Sustainability Expert



Bolla AI

Dal 29 Ottobre, quando Meta Platforms ha presentato i risultati economico-finanziari del terzo trimestre 2025, sui mercati azionari c’è stato un significativo ripensamento dei titoli legati all’intelligenza artificiale.

Meta ha registrato 51,2 miliardi di dollari di ricavi (+26%), ma ha spaventato gli investitori annunciando capex del 2025 per 70–72 miliardi, oltre al raddoppio di quelli del trimestre (19,37 miliardi, +106% YoY).

Bolla AI? I numeri dicono altro

La reazione del mercato è stata immediata: il titolo è crollato, nonostante i ricavi record. Nei giorni successivi, lo stesso è accaduto ai protagonisti del mondo AI, perfino a Nvidia, che ha palesato utili record e crescita superiore alle attese, ma ha visto il titolo scendere sensibilmente.

Se si guarda il quadro complessivo, però, è difficile parlare di “bolla” nel senso classico del termine. Gartner stima che la spesa globale in AI raggiungerà circa 1.500 miliardi di dollari nel 2025, superando i 2.000 miliardi nel 2026, trainata soprattutto dagli investimenti in infrastrutture IT e data center da parte degli hyperscaler. Una recente aalisi di McKinsey parla di una “corsa da 7.000 miliardi di dollari” per scalare la capacità di calcolo necessaria a sostenere la domanda di AI nei prossimi anni. Citigroup prevede che soltanto le big tech potrebbero investire fino a 2,8 trilioni di dollari in infrastrutture AI entro il 2029. Non sono numeri di un fenomeno passeggero, ma di una trasformazione strutturale.

Ha senso parlare di AI come una cosa sola?

In altre parole: anche risultati record, accompagnati da investimenti esorbitanti, spaventano i mercati. Come è possibile?! Come mai il mondo AI è diventato d’improvviso un luogo da cui scappare?! Ha senso parlare di AI come un unicum? A mio avviso no. Esistono infatti almeno due mondi diversissimi.

Prima ancora di distinguerli, vale la pena chiarire perché questa confusione è così pericolosa. Mettere nello stesso contenitore un modello generativo, un chip per data center, un assistente virtuale in banca o un robot umanoide in fabbrica significa usare un’unica lente per fenomeni che hanno dinamiche economiche, cicli di investimento, rischi e tempi di ritorno completamente diversi. È un po’ come giudicare Internet nel 1999 guardando insieme il valore della fibra ottica, dei browser, dei portali e delle dot-com: chi ha fatto di tutta l’erba un fascio ha sbagliato tutte le previsioni di lungo periodo.

I “costruttori di cervelli”

Poche aziende al mondo — Meta, OpenAI, Google, Microsoft, Anthropic, xAI — stanno costruendo il cervello collettivo dell’umanità, ovvero motori di AI che già oggi supportano (e presto guideranno) decisioni e attività in ambiti molto diversi:

  • educazione e formazione
  • medicina e diagnosi
  • carriera e selezione del personale
  • finanza e consulenza
  • gestione d’imprese ed altre entità sociali
  • politica e sicurezza
  • relazioni e fiducia (perfino decisioni su amici da frequentare e persone da sposare!)

Già oggi vediamo applicazioni concrete in ognuno di questi ambiti: sistemi che aiutano a personalizzare i percorsi didattici, algoritmi che supportano i medici nella lettura di immagini diagnostiche, strumenti che suggeriscono percorsi di carriera, copiloti che assistono manager e professionisti nel prendere decisioni più rapide e informate.

Un report di McKinsey stima che la sola generative AI possa generare tra 2.600 e 4.400 miliardi di dollari di valore annuo per l’economia globale, aumentando la produttività in quasi tutti i settori. Non stiamo parlando di “gadget digitali”, ma di un cambio di paradigma nel modo in cui lavoriamo, impariamo, curiamo e governiamo.

Naturalmente esistono rischi enormi – bias, allucinazioni, concentrazione del potere, uso improprio dei dati – che richiedono regolazione, trasparenza e nuove forme di governance (basti pensare all’AI Act europeo e ai dibattiti sul tema in corso in tutto il mondo). Ma il fatto che queste tecnologie siano già al centro del confronto politico, sociale e industriale dovrebbe essere di per sé un indicatore del loro valore sistemico.

Gli analisti dicono di “non vedere un modello di business realmente profittevole all’orizzonte”, mentre usano già oggi l’AI per raccogliere dati, analizzare informazioni e scrivere report. Non ne vedono il valore mentre lo utilizzano e grazie all’AI hanno cambiato il loro modo di lavorare!

I “re delle infrastrutture”

Sul fronte opposto e complementare ci sono le aziende che abilitano i servizi AI: Nvidia, AMD, Broadcom, Amazon AWS, e altri fornitori di chip, calcolo e cloud. Altri, come Qualcomm e Huawei, vogliono entrare ma sono in ritardo.

Già oggi questi creano un valore enorme:
* margini tra il 70% e l’80%
* crescita anno su anno vicina o superiore al 100% dei ricavi
* clienti fidelizzati
* un infinito potenziale inesploso legato ad agentic AI e dotazione di devices dotati di AI alle aziende ed alle persone di tutto il mondo!

Per rendere l’idea: Nvidia è diventata in pochi anni il simbolo di questa nuova economia dell’infrastruttura. La quota di fatturato legata ai data center è esplosa, trainata dagli ordini dei grandi cloud provider e delle aziende che sviluppano modelli generativi. Alcuni analisti ipotizzano che entro la fine del decennio i ricavi annuali collegati all’infrastruttura AI possano raggiungere tra i 3.000 e i 4.000 miliardi di dollari e che Nvidia, in uno scenario favorevole, possa intercettarne una quota significativa fino a sfiorare i 1.000 miliardi annui. Non c’è da stupirsi, quindi, se questi attori sono al centro di quella che viene chiamata AI capex supercycle.

Come mai gli analisti non capiscono la rivoluzione AI?

Gli analisti apprezzano i risultati, ma ritengono che non siano sostenibili nel tempo.

Il primo dubbio che hanno è: “una volta che i cosiddetti hyperscaler avranno acquistato ciò che a loro serve, a chi venderanno più i chip?”. Questo dubbio nasce da un’ipotesi: solo i grandi player AI potranno acquistare quei chip e ne avranno bisogno.

Questo ragionamento mi ricorda la celebre frase del Presidente di IBM, T.J. Watson, Sr, che nel 1943 ipotizzò spazio per al massimo 5 computer nel mondo, visto il loro enorme costo.

La storia ci dice che la domanda di calcolo non si è mai “stabilizzata” una volta soddisfatte le esigenze di pochi attori: i mainframe sono diventati mini-computer, poi PC, poi smartphone. Ogni salto tecnologico ha spalancato nuovi usi, nuovi modelli di business, nuovi ecosistemi di applicazioni. Oggi l’AI è l’ennesimo salto: stiamo passando da un mondo in cui il calcolo serviva a eseguire istruzioni umane a un mondo in cui serve ad addestrare, ospitare e far lavorare agenti intelligenti.

Economie di scala, innovazione e diffusione di robot casalinghi e personali, permetteranno a tutti di avere AI e devices ad personam. Il robot personale potrebbe arrivare ad essere tata dei figli, domestico, cuoco, psicologo, compagno di doppio a tennis, perfino medico personale (conoscendo tutto del paziente da prima della nascita), personal trainer, e perfino… amante sul piano fisico!

Questi robot necessiteranno dei servizi e degli enabler di AI su scala esponenzialmente superiore a quella attuale!

Le sperimentazioni in corso mostrano che non si tratta di fantascienza. Tesla sta sviluppando il robot umanoide Optimus con l’obiettivo dichiarato di eseguire compiti ripetitivi e pericolosi sia in fabbrica sia, in prospettiva, in contesti domestici; Figure AI sta testando i suoi robot in stabilimenti BMW; Mercedes-Benz ha investito in Apptronik per utilizzare robot umanoidi nella logistica e nei controlli qualità. Se anche solo una parte di questa visione si realizzerà – robot generalisti in fabbrica, in magazzino, in ospedale, in casa – la domanda di calcolo AI e connettività crescerà di uno o due ordini di grandezza rispetto a quella che vediamo oggi.

Ciò che gli analisti ignorano è che le aziende AI non stanno creando prodotti e servizi; stanno creando il nuovo sistema operativo dell’intera umanità!

D’altra parte, gli analisti odiano i Capex, perché non comprendono che questi investimenti stanno creando gli oligopoli del futuro!

Se oggi pochi investono trilioni, quei pochi saranno i più potenti oligopolisti del mondo!

Nessun’azienda europea già oggi può competere sul cloud con AWS, Microsoft e quei pochi altri leader mondiali. Figuriamoci su AI, che propone investimenti di almeno un ordine di grandezza superiore!

Perché le Borse non hanno fiducia nelle aziende AI?

Ma perché le borse sembrano, almeno temporaneamente, mollare le aziende leader dell’AI?!

Il mondo finanziario vive di EBITDA, trimestri, margini immediati ed odia i grandi Capex, associati a grandi rischi. L’intelligenza artificiale, invece, vive di CAPEX, cioè investimenti enormi e prolungati, che non riducono i margini futuri, li rendono inattaccabili!

In sintesi, i Capex dell’AI ne determinano la sostenibilità competitiva nel medio e lungo periodo, e dunque ne riducono la reale rischiosità di lungo periodo. Perché nessun altro potrà entrare in quei mercati, visto il gap di invrstimenti e competenze maturate!

Maggiore è la spesa oggi, più diventa impossibile entrare domani. Non è concorrenza: è la costruzione di un oligopolio globale dell’intelligenza, che darà un potere smisurato a chi potrà controllarla.

È quello che alcuni studi iniziano a descrivere come una “race to scale” dell’AI computer: non solo una gara a chi costruisce il modello più potente, ma a chi accumula più capacità di calcolo, energia, competenze hardware e software. Bain stima che serviranno 2.000 miliardi di dollari di nuovi ricavi annui per finanziare il fabbisogno di calcolo richiesto dal trend di scaling dell’AI. Chi non partecipa oggi a questa corsa rischia semplicemente di essere cliente – e mai protagonista – domani.

Non si può usare il passato per comprendere il futuro

Paul Valery, un poeta, lo capirebbe. Uso qui una sua frase: “Il futuro non è più quello di una volta”. C’è un mondo prima e dopo Cristo. Ci sarà un mondo prima e dopo AI. Questo cambiamento non può essere compreso ricorrendo a logiche del passato.

Come ci ricordava Albert Einstein, a proposito dei modelli mentali: “Non si possono risolvere nuovi problemi usando la stessa logica con cui li abbiamo creati.”

Gli artisti e i visionari hanno sempre compreso il futuro prima degli analisti, che usano l’esperienza del passato (in questo caso la bolla Internet) per comprendere il presente e spiegare il futuro. Ma l’intelligenza artificiale non può essere valutata con gli strumenti di ieri.

Il vero grande errore attuale è di aver sottovalutato i player AI, sebbene per la parte infrastrutture già generino enormi fatturati ed ebitda! E l’errore è ancora più grave se lo guardo con gli occhi di cittadino europeo: mentre Stati Uniti e Cina stanno costruendo la nuova infrastruttura cognitiva del pianeta, l’Europa rischia di rimanere un utilizzatore “a valle” di tecnologie, norme e modelli economici decisi altrove. Senza una strategia industriale che accetti l’idea di grandi capex, ci condanniamo a discutere di regole senza partecipare davvero al gioco.

Ricordiamoci, lo ripeto ancora: queste aziende non stanno creando prodotti e servizi, stanno scrivendo il nuovo sistema operativo dell’intera umanità!

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