Da Venere.com all’editoria di carta, tutti i viaggi di Matteo Fago

Agli albori del web in Italia un gruppo di giovani fisici fa la sua start up per vendere turismo online. Funziona. E nel 1998 viene venduta a Expedia. L’amarcord di uno di loro. Che ora investe sulle persone e pubblica libri di psichiatria

Pubblicato il 21 Mag 2013

Scoprirono Internet quando quasi nessuno lo conosceva e capirono che poteva trasformarsi in business. Chiusi in un locale di pochi metri quadrati in un cinema abbandonato, chini giorno e notte sui loro computer, alcuni giovani universitari della Facoltà di fisica, nel 1995, fecero decollare una delle prime start-up online. Si chiamava Venere.com e operava nel settore delle prenotazioni alberghiere sul web. Ma non erano nella Silicon Valley, erano a Roma.

Tutto nacque da un gruppo di lavoro chiamato Ape e impegnato su un mega-progetto all’interno dei laboratori della Sapienza: la realizzazione di un prototipo di calcolatore che all’epoca, con i suoi 100 gigaflops, era il più veloce del mondo. Per inciso: nel gruppo c’erano persone come Nicola Cabibbo e Giorgio Parisi, diventati fisici di fama internazionale. Durante il lavoro i giovani scienziati si imbatterono nel World Wide Web (www), nato solo 2 anni prima al Cern di Ginevra dalle menti di Tim Berners-Lee e Robert Cailliau. “In Italia il fenomeno era ancora agli albori, noi riuscimmo a coglierne le potenzialità” dice Matteo Fago, uno dei founder di Venere.com. “Devo ammetterlo, ci siamo trovati al posto giusto nel momento giusto. Ma abbiamo anche saputo capire che il web era in grado di creare impresa”. Sembra scontato oggi, era autentica innovazione 18 anni fa.

Fago spiega come è nata l’idea. “Abbiamo pensato a qualcosa che fosse presente in abbondanza in Italia e quindi potesse essere facilmente venduta agli stranieri, americani in particolare, senza la necessità di essere ‘fisicamente’ spedita. Perciò abbiamo deciso: venderemo turismo”.

E così tre laureati in Fisica e uno studente di Economia e Commercio – oltre a Fago, Marco Bellacci, Renata Sarno e Gianandrea Strekelj – hanno iniziato la trafila che di solito contraddistingue la nascita di una start-up: i primi soldi chiesti in prestito a mamma e papà, l’ufficio-sgabuzzino dove trascorrere giornate intense e notti insonni, gli inevitabili ostacoli ed errori di percorso, la voglia di superarli e andare comunque avanti. “Gli albergatori romani – continua Fago – ci hanno dato credito, da subito ricevevamo prenotazioni online. Però non è stato facile. All’epoca non esistevano i venture capitalists e abbiamo dovuto fare tutto da soli. Ma siamo riusciti a mantenerci in vita fino al 2000”. Quello è stato l’anno della svolta: nella compagine societaria è entrato il fondo Kiwi 2 di Elserino Piol, somministrandole quelle vitamine in più che ne hanno potenziato la crescita e hanno finito per renderla un boccone ghiotto per Expedia. Il colosso americano del turismo on line ha acquistato il 100% delle azioni di Venere.com nel 2008, diventandone l’unico proprietario. I quattro fondatori ne sono usciti “per loro scelta”. Sulla somma versata da Expedia, Fago preferisce mantenere il riserbo, ma sulla stampa specializzata, all’epoca, si parlò di una valutazione di circa 200 milioni di euro.

Ma cosa sarebbe successo se, per un effetto “Sliding Doors”, Venere.com non avesse ceduto alle lusinghe del big statunitense e avesse proseguito sulla sua strada? Roma sarebbe riuscita a diventare, almeno un po’, una Silicon Valley?

“Volevamo monetizzare – ammette il fondatore– e le proposte che ci erano state fatte erano interessanti. Inoltre, partiti in maniera ‘casalinga’, avevamo già intrapreso un percorso notevole ma ci era difficile gestire un progetto ancora più grande. Non ci interessava diventare come Apple: volevamo qualcosa che funzionasse e fosse utile per noi, e potesse poi diventare scalabile anche senza il nostro intervento. È vero – ammette – in Italia c’è un problema di dimensioni aziendali, diciamo che le aziende tendono al nanismo. Ma posso dirmi comunque soddisfatto perché Venere.com è un’impresa che, nell’ambito del gruppo Expedia, ancora esiste e dà lavoro”.

Da tempo Fago ha iniziato la sua seconda vita. Adesso che ha 45 anni è, in un certo senso, impegnato ad aiutare il se stesso di 20 anni prima, ovvero è un investitore attivo nell’ambito delle start up innovative. Ha investito nel sito YallaYalla.it, che effettua prenotazioni turistiche online, in TouchHotel, che fa servizio di prenotazione di alberghi da smartphone e in Video.NG, piattaforma di condivisione video. “Il mio criterio di scelta? Valuto le persone. Troppe imprese implodono perché il team non funziona e si spacca”.

E poi, con un deciso cambio di rotta rispetto agli esordi, ha fondato una casa editrice, L’Asino D’Oro, che si occupa di saggistica e psichiatria. E, attenzione, è cartacea, non online. “Con una casa editrice bisogna pensare in modo diverso, l’importante è raggiungere il pareggio di bilancio. Ma io credo nel valore di questa scelta, perché un editore, a mio parere, non è un banale intermediario tra autore e lettore ma opera una precisa scelta ed è in grado di influenzare il pensiero culturale di un Paese”.

E la cultura c’entra sempre, anche nel business. “Da noi – conclude Fago – manca la cultura di fare impresa partendo da un’idea. È vero che ci sono difficoltà sul cammino dei giovani imprenditori, ma sono convinto che problemi come l’eccessiva burocrazia non siano determinanti per bloccare una start up. Se qualcuno vuole davvero fare impresa può farlo, anche in Italia”.

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