L’INTERVENTO

Riforma TUF: perché il nuovo Testo Unico della Finanza è importante per il venture capital e l’ecosistema dell’innovazione



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La riforma del Testo Unico della Finanza (TUF) è un passaggio strategico che può far aumentare la capacità del Paese di attrarre investimenti e sostenere l’innovazione. Ecco perché

Pubblicato il 19 dic 2025



TUF

Il ritardo strutturale dell’Italia nel mercato dei capitali è uno dei principali freni alla crescita dell’ecosistema dell’innovazione. Startup che faticano a scalare, fondi di venture capital sottodimensionati, round di livelli avanazati che si chiudono all’estero: sono tutti sintomi di un sistema che, per anni, non ha saputo dotarsi di regole adeguate a sostenere l’economia digitale.

In questo contesto, la riforma del Testo Unico della Finanza (TUF) rappresenta molto più di un aggiornamento normativo: è un passaggio strategico che può incidere in modo concreto sulla capacità del Paese di attrarre investimenti, trattenere talenti e trasformare l’innovazione in crescita industriale.

La revisione del TUF interviene infatti sulle fondamenta del mercato finanziario italiano, cercando di renderlo più accessibile, moderno e coerente con le esigenze di un ecosistema in cui venture capital, startup e scaleup svolgono un ruolo sempre più centrale. Per un Paese che ambisce a rafforzare la propria competitività tecnologica e a colmare il divario con le principali economie europee, il successo di questa riforma non è un dettaglio tecnico, ma una scelta di visione.

Che cos’è il TUF e perché è così importante

Il Testo Unico della Finanza è il principale riferimento normativo per la disciplina dei mercati finanziari in Italia. Introdotto alla fine degli anni Novanta, il TUF regola un perimetro molto ampio di attività: dall’intermediazione finanziaria alla gestione del risparmio, dall’offerta di strumenti finanziari alla vigilanza sui mercati e sugli operatori. Nel corso degli anni è stato oggetto di numerosi interventi di modifica e aggiornamento, spesso legati al recepimento di direttive europee o alla necessità di rispondere a crisi e trasformazioni del sistema finanziario.

Tuttavia, l’impianto complessivo del TUF è rimasto a lungo ancorato a una visione tradizionale dei mercati, più adatta a un’economia dominata da grandi intermediari, banche e investitori istituzionali, che non a un ecosistema in cui startup, fondi di venture capital, scaleup e nuovi modelli di investimento giocano un ruolo sempre più centrale. La riforma oggi in discussione nasce proprio dall’esigenza di colmare questo gap, rendendo il quadro normativo più coerente con le dinamiche dell’economia digitale e dell’innovazione.

A che punto è la riforma del TUF e cosa prevede l’iter

Il processo di riforma del TUF si inserisce nel più ampio percorso di revisione del mercato dei capitali avviato dal Governo, anche in risposta alle indicazioni provenienti dall’Unione Europea sulla Capital Markets Union e sulla necessità di rafforzare i canali di finanziamento alternativi al credito bancario. In questa fase si parla di uno schema di decreto legislativo, oggetto di confronto tra istituzioni, operatori del mercato e associazioni di settore.

Non si tratta quindi di un testo definitivo, ma di una proposta avanzata che potrà essere ulteriormente affinata prima dell’approvazione finale. Questo passaggio è cruciale, perché è proprio in questa fase che si gioca la possibilità di rendere la riforma realmente efficace per l’ecosistema dell’innovazione, evitando il rischio che nuove regole, pur animate da buone intenzioni, si traducano in complessità aggiuntive o in barriere involontarie all’ingresso.

Più accesso ai capitali per startup e imprese innovative

Uno degli obiettivi dichiarati della riforma è migliorare l’accesso al mercato dei capitali, ampliando la platea degli investitori e rendendo più agevole l’operatività degli operatori finanziari che investono in imprese ad alto contenuto tecnologico. In questo senso, l’ampliamento delle categorie di investitori professionali e l’introduzione di nuovi strumenti giuridici rappresentano un passo nella giusta direzione.

Per le startup e le scaleup italiane, il tema dell’accesso ai capitali è da sempre uno dei principali fattori critici. I dati mostrano come il mercato del venture capital in Italia, pur in crescita negli ultimi anni, rimanga ancora significativamente più piccolo rispetto a quello di altri Paesi europei. Il volume complessivo degli investimenti VC italiani è ancora lontano da quello di economie comparabili come Francia o Germania, e il gap diventa ancora più evidente se si guarda agli investimenti pro capite o alla capacità di sostenere round di crescita avanzata.

Un quadro normativo più moderno e funzionale può contribuire a ridurre questo divario, rendendo l’Italia un mercato più attrattivo per investitori domestici e internazionali e consentendo alle imprese innovative di trovare risorse adeguate nelle diverse fasi del loro ciclo di vita.

Gestori sottosoglia e sopra-soglia: una semplificazione necessaria

Un punto particolarmente rilevante della riforma riguarda il tema dei gestori di fondi, in particolare la distinzione tra gestori sottosoglia e sopra-soglia. La semplificazione delle regole per i gestori sottosoglia rappresenta un segnale positivo, perché riduce gli oneri amministrativi e i costi di compliance per operatori che spesso operano con strutture snelle e capitali limitati, tipici del venture capital early stage.

Perché questa semplificazione produca effetti reali, tuttavia, è necessario evitare incoerenze e duplicazioni. In particolare, sarebbe auspicabile riconoscere automaticamente lo status di gestori sopra-soglia a quegli operatori che hanno già sostenuto investimenti significativi in termini di organizzazione, governance e adempimenti regolamentari. In questo modo si eviterebbe di penalizzare proprio quei soggetti che stanno crescendo e contribuendo alla maturazione del mercato.

Venture capital e private equity: due mondi da distinguere

Un altro nodo cruciale riguarda la distinzione tra venture capital e private equity, due attività spesso accomunate sotto un’unica etichetta normativa, ma profondamente diverse per logiche, orizzonte temporale e profilo di rischio. Il venture capital opera tipicamente in fasi molto iniziali della vita delle imprese, investendo in progetti ad alto rischio e alto potenziale, mentre il private equity interviene su aziende più mature, con modelli di business già consolidati.

Una definizione normativa chiara e condivisa consentirebbe non solo di migliorare l’interpretazione delle regole esistenti, ma anche di disegnare politiche di incentivo più efficaci e mirate. Trattare il venture capital come una semplice declinazione del private equity rischia di ignorarne le specificità e di limitarne lo sviluppo, proprio in una fase storica in cui l’innovazione rappresenta uno dei principali motori di crescita economica.

L’impatto sul sistema Paese e sulla competitività

Il rafforzamento del venture capital non è un obiettivo fine a sé stesso. Senza capitali adeguati, le idee non diventano imprese, la ricerca non si trasforma in innovazione industriale e il talento è costretto a cercare opportunità altrove. In questo senso, la riforma del TUF può essere letta come un investimento sul futuro produttivo del Paese, sulla sua capacità di competere in settori ad alta intensità tecnologica e di costruire filiere innovative solide e durature.

Affinché questo potenziale si realizzi pienamente, è fondamentale che il legislatore mantenga un approccio ambizioso ma pragmatico, ascoltando il contributo degli operatori del mercato e dell’ecosistema dell’innovazione. Le regole devono essere uno strumento abilitante, non un ostacolo, e devono accompagnare la crescita del settore senza soffocarla.

La riforma del TUF rappresenta dunque un’occasione strategica. Se ben calibrata, può contribuire a colmare il ritardo storico dell’Italia nel mercato dei capitali e a costruire un’infrastruttura finanziaria più moderna, aperta e competitiva. In gioco non c’è solo l’efficienza del sistema finanziario, ma la capacità del Paese di sostenere startup, scaleup e nuovi campioni tecnologici in grado di competere su scala globale.

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