Gli investimenti in startup nel 2025 in Italia rivelano una stabilità preoccupante. Di fronte ai dati raccolti dall’Osservatorio Startup & Scaleup Hi-Tech del Politecnico di Milano in collaborazione con InnovUp, non è facile restare ottimisti sulle prospettive dell’ecosistema italiano dell’imprenditorialità innovativa: gli investimenti in equity nel 2025 sono rimasti fermi a 1,46 miliardi di euro, segnando un modesto aumento del 2,8% rispetto al 2024.
Questo dato è ancora lontano dai picchi pre-crisi del 2022, quando gli investimenti avevano raggiunto i 2,16 miliardi di euro. Nonostante il sistema mostri una ammirevole resilienza, sono evidenti diversi limiti che continuano a ostacolare il vero decollo dell’ecosistema italiano, condannandolo a una situazione stagnante che fa crescere la distanza con altri Paesi europei, come spesso abbiamo segnalato su EconomyUp.
A voler vedere la parte mezza piena del bicchiere si può dire che gli investimenti tengono, ma se si guarda a quella vuota resta la difficoltà a decollare, soprattutto considerando l’assenza di exit strutturali e la limitata crescita del capitale internazionale, che è aumentato solo dell’8%.
“Il sistema italiano regge, ma è fermo. La carenza di grandi round, l’assenza di exit e la frammentazione normativa sono solo alcuni degli ostacoli”, spiega Antonio Ghezzi, Direttore dell’Osservatorio Startup & Scaleup Hi-Tech.”Il rischio? un ecosistema che fatica a valorizzare pienamente i suoi talenti e ad attrarre investitori, dove le startup incontrano difficoltà nel percorso di trasformazione in scaleup”.
Indice degli argomenti
Investimenti in startup 2025: un equilibrio fragile
Secondo il Rapporto dell’Osservatorio Startup & Scaleup Hi-Tech del Politecnico di Milano, l’Italia sta vivendo una fase di equilibrio fragile. Gli investimenti in startup e scaleup hi-tech sono sostanzialmente stabili, ma insufficienti per promuovere una crescita robusta.
L’assenza di “exit” significative (ovvero soddisfacenti sia per i founder sia per gli in vestiti) e la limitata capacità di attrarre investimenti da grandi operatori internazionali sono i principali fattori che frenano la scalabilità del sistema. Anche il venture capital italiano continua a resistere ma in una posizione quasi di difesa, comunque poco dinamica, aspettando l’intervento degli investitori istituzionali come i fondi pensione e previdenziali. Saranno davvero la panacea?

Il dato del 2025, il quasi un miliardo e mezzo, sarebbe significativamente più basso senza Bending Spoons, che non si può certo considerare una startup, pur essendo un campione italiano dell’economia digitale, posizione confermata anche con la nuova acquisizione di Evenbrite. Ma era dentro anche nella rilevazione del 2024 e la sua presenza, quindi, è scontata nel calcolo della crescita del mercato.
Certamente la condivisione di alcune definizioni fondamentali resta un tema da risolvere per poter scattare una fotografia realistica dell’ecosistema, che probabilmente sarebbe assai più deprimente.
L’Italia, un ecosistema brillante ma incompleto
Nonostante i segnali di resilienza, l’Italia non sembra riuscire a superare una serie di ostacoli strutturali che limitano l’ecosistema. La frammentazione normativa, le difficoltà a far evolvere la cultura del rischio e la limitata visione internazionale sono solo alcuni dei problemi emersi nel corso dell’analisi.
Senza un’adeguata evoluzione del sistema del valore, che includa l’aumento delle “exit” e l’ingresso di capitali internazionali, l’ecosistema italiano rischia di rimanere “brillante ma incompleto”.
Le imprese italiane, anche quelle di alto potenziale, continuano a faticare a scalare. Gli investitori internazionali, pur crescendo, sono ancora pochi e restano concentrati su nicchie.
L’Osservatorio evidenzia che l’Italia ha bisogno di più “capitali pazienti” e di un cambiamento significativo nelle politiche di venture capital. L’assenza di una visione a lungo termine e la scarsità di “capitalisti pazienti” che possano investire per periodi prolungati, ha impedito al sistema di evolvere: non dimentichiamo che la durata di un fondo di venture capital è di circa 10 anni.
“Il Venture Capital italiano resiste, ma non accelera. Il nodo non è la quantità di innovazione, ma la qualità delle condizioni che la circondano”, osserva Andrea Rangone, responsabile scientifico dell’Osservatorio.
Il ruolo degli investitori e le opportunità nell’Open Innovation
Il capitale internazionale continua a rappresentare un ingrediente fondamentale per la crescita, ma non è sufficiente per sostenere l’intero ecosistema. Gli investimenti, infatti, sono fortemente polarizzati su pochi soggetti.
L’Osservatorio suggerisce che sarebbe fondamentale attrarre più fondi internazionali e potenziare il ruolo degli investitori istituzionali, come i fondi pensione. Tuttavia, questa sfida non può essere risolta senza un forte coordinamento a livello europeo, che permetta di abbattere la frammentazione normativa e facilitare acquisizioni e quotazioni di Borsa.
Un attore poco presente è il sistema delle imprese tradizionali. Se è vero che l’Open Innovation si sta sviluppando, l’Osservatorio Digital Transformation Academy rileva ottimisticamente un tasso di adozione dell’86% nelle grandi e grandissime imprese italiane (che sono poche…), le PMI che sono l’economia italiana, faticano ancora a comprendere la necessità dell’innovazione, a maggior ragione quella da sviluppare con le startup.
Che cosa serve? Un deciso cambio di passo in tre direzioni
Lo si dice da tempo nella conversazioni informali, come anche negli incontri pubblici: non possiamo più permetterci lentezze e ritardi. I dati del 2025 confermano che in Italia l’ecosistema dell’innovazione sta attraversando una fase di stallo che rischia di diventare permanente se non si interviene in maniera decisa.
Serve un “cambio di passo” lungo tre direttrici, suggerisce Andrea Rangone. Vediamo quali:
- Integrazione tra ricerca e impresa: Si deve intensificare la collaborazione tra università, centri di ricerca e il mondo delle imprese per accelerare la trasformazione delle idee in soluzioni scalabili.
- Più investimenti istituzionali: È necessario un aumento degli investimenti da parte degli attori istituzionali, con una maggiore apertura verso i fondi pensione e altre forme di capitali a lungo termine.
- Strategia europea condivisa: L’Italia deve giocare un ruolo proattivo in ambito europeo, facilitando la creazione di un ambiente normativo armonizzato per l’innovazione, che possa ridurre le barriere alla crescita delle startup.
Senza questi cambiamenti, l’Italia rischia di continuare a produrre idee brillanti che, tuttavia, non riusciranno a decollare pienamente. Il 2026, dunque, dovrà essere l’anno di una vera evoluzione per l’ecosistema italiano delle startup, affinché possa davvero competere a livello globale.
Ma vediamo qualche ingrandimento della fotografia generale dell’ecosistema.
Startup in Italia 2025: tre punti dolenti
Venture capital, la stabilità che non permette il decollo
Il dato di 1,46 miliardi di euro riflette una stabilità che, sebbene positiva, evidenzia anche una difficoltà strutturale a far evolvere l’ecosistema. Questo risultato è il frutto di un mercato del venture capital che resiste, ma non accelera.
Le difficoltà maggiori restano l’assenza di exit strutturate, cioè operazioni di vendita o di quotazione in borsa che permettano di “rigenerare” il capitale, e la scarsa propensione al rischio, che continua a frenare l’afflusso di investimenti.
A peggiorare la situazione è anche la frammentazione normativa, che non facilita la creazione di un ambiente favorevole alla crescita. Nonostante il contesto europeo stia affrontando un calo del 14% nel mercato del venture capital nel 2025, l’Italia partendo da livelli più arretrati mantiene una posizione stabile, in una situazione in cui la frammentazione delle regole e la mancanza di un mercato di capitali fluido e dinamico limitano la competitività rispetto ad altri ecosistemi europei più avanzati.
Scaleup, pochi successi e molte difficoltà
Il “caso Bending Spoons” è rivelatore di una “fame” di scaleup e di casi di successo. È un unicorno o no? È stata una startup o no? E oggi cos’è? Anche se il dibattito non appassiona certamente si può sostenere che Bending Spoons non è una startup, se non altro per età (è stata fondata nel 2013) ed è ormai molto di più di una scaleup. Nella contabilità europea entra tra gli unicorni, anche se non è mai stata una società sostenuta dal venture capital. Ma in assenza di altro è almeno un modello di successo per l’intero ecosistema e gli dà un po’ di visibilità internazionale.
La difficoltà di scalare per molte startup ad alto potenziale rimane infatti uno degli ostacoli principali, con un gran numero di iniziative che continuano a soffrire della carenza di capitali e di un mercato interno limitato.
Il capitale internazionale è cresciuto dell’8%, ma continua a concentrarsi su pochi casi isolati, come appunto Bending Spoons, piuttosto che diffondersi su tutto il sistema. La scarsità di grandi round di finanziamento e l’incapacità di attrarre investitori internazionali a causa di una normativa complessa e di un mercato che non offre “exit” rapide e sicure stanno rendendo difficile il cammino delle startup italiane verso la maturità.
Deeptech, un settore in crescita ma ancora isolato
Uno dei pochi settori che mostrare segni di crescita è il Deep Tech, con un numero crescente di startup che raccolgono investimenti significativi con investimenti significativi in intelligenza artificiale, robotica avanzata e Quantum Computing. Tuttavia, questi investimenti restano limitati a pochi casi di successo e non riescono ancora a rappresentare una spinta per l’intero ecosistema. Le startup del settore Deep Tech, sebbene innovative, sono ancora troppe volte isolate, senza le risorse necessarie per accelerare la loro crescita.
L’Italia ha il potenziale per diventare un leader nel settore, ma ciò richiede un rafforzamento delle connessioni tra università, ricerca e impresa. Inoltre, la creazione di fondi domestici più ampi e specializzati e il rafforzamento dell’internazionalizzazione sono essenziali per facilitare l’espansione delle startup Deep Tech e consentire loro di competere a livello globale.
L’ecosistema delle startup italiane potrebbe fare il “salto di qualità” non solo attraverso una crescita incrementale degli investimenti, ma anche investendo in tecnologie disruptive che potrebbero far emergere nuove categorie di leader di mercato. Per esempio, l’intelligenza artificiale, la gestione dei big data e la robotica possono diventare l’asse portante della competitività futura delle startup italiane, ma solo se supportate da investimenti consistenti e politiche di lungo periodo.
Startup in Italia, che cosa fare a partire dal 2026
Nel 2025, quindi, l’ecosistema italiano delle startup ha mostra una resilienza invidiabile, ma senza un cambio di passo strutturale rischia di restare in una condizione di equilibrio fragile. L’assenza di exit significative, unita alla difficoltà di attrarre capitali internazionali e alla frammentazione normativa, impedisce di capitalizzare appieno il potenziale innovativo del Paese.
La spinta che potrà arrivare dall’Europa sarà fondamentale. “La proposta europea di un “28th Regime” rappresenta un’opportunità cruciale per ridurre la frammentazione e costruire un ambiente normativo armonizzato a favore dell’innovazione e della competitività”, sottolinea Andrea Rangone. E aggiunge Giorgio Ciron, direttore di InnovUp: “Vediamo un’opportunità unica nella Startup & Scaleup Strategy – che sta vedendo la sua graduale implementazione, a partire dal recente varo dello Scaleup Fund – e nelle riforme nazionali come il nostro ScaleUp Act”.
Per trasformare le buone idee in successi scalabili, è necessario intervenire su più fronti, rafforzando le connessioni tra ricerca e impresa, aumentando la disponibilità di capitali domestici e creando un ambiente normativo più favorevole. Solo con questi cambiamenti sarà possibile sbloccare la crescita dell’ecosistema delle startup italiane e competere con altri Paesi europei più avanzati come la Francia e la Germania.






