La buona economia
Unitech: “Restare in Italia è l’arma contro la crisi”
Andrea Piattelli, presidente dell’impresa meccanotessile toscana non ha dubbi: “Un prodotto realizzato nel nostro Paese è percepito ancora come qualcosa che ha alle spalle una lunga tradizione, fatta di qualità e competenza”. E la qualità paga: il fatturato dell’azienda dal 2009 continua a crescere a due cifre
di Maurizio Di Lucchio
21 Gen 2014

La decisione di non muoversi dalla Toscana finora ha pagato. L’azienda produttrice di macchinari da finissaggio per l’industria tessile ha ottenuto nell’ultimo anno commesse per 1,4 milioni di euro, assicurate da Sace, in Brasile, Ecuador e Perù. Il marchio del made in Italy, insomma, si è dimostrato ancora una volta uno strumento efficace per assicurare il livello qualitativo dei prodotti. Tuttavia, non è sufficiente per non farsi mettere al tappeto dai concorrenti che possono contare su costi di gestione più bassi.
Così, la prima parola d’ordine per Unitech è stata spending review: «Abbiamo cercato di ottimizzare i costi aziendali, eliminando tutti gli sprechi e semplificando alcuni processi. Questo ci ha permesso di restare su fasce di prezzo competitive rispetto ad altri», spiega Piattelli. L’altro fronte su cui la società toscana è intervenuta è l’innovazione di prodotto: «Gli investimenti in tecnologia sono stati importanti. Abbiamo brevettato novità e spinto sulla ricerca in modo che i nostri prodotti potessero distinguersi il più possibile rispetto a quelli dei nostri concorrenti».
A giudicare dai numeri, le mosse di Unitech sono state azzeccate. Secondo le previsioni del numero uno, la compagnia potrebbe aver chiuso il 2013 con un fatturato di 23 milioni di euro e un incremento di 5 milioni rispetto al 2012 (+28%). Una performance che va a corroborare il bilancio degli anni precedenti: tra il 2009 e il 2011, nei primi anni della Grande Crisi, le vendite erano aumentate del 43%.
La crescita continua è però anche il frutto di passi compiuti in tempi non sospetti riguardo alla dimensione dell’impresa e alle strategie per

Le due aziende operavano in due step differenti della filiera tessile. Non erano concorrenti ma complementari. «Eppure – ammette Piattelli – abbiamo dovuto vincere moltissime resistenze, anche di carattere psicologico e culturale, per unirci e sfruttare le forze che si liberano dall’unione».
Il merger tra le due società ha portato a nuove assunzioni – al momento i dipendenti di Unitech sono circa 80 e una quarantina quelli delle ditte più piccole controllate – e alla costituzione di una rete di agenti commerciali in grado di penetrare anche in mercati poco esplorati ad alto potenziale. «Il risultato? Abbiamo impianti in tutto il mondo e la quota export della nostra produzione oscilla tra il 65 e il 70 per cento».
Uno dei mercati più proficui per l’impresa toscana si sta rivelando appunto il Sudamerica. Ma sia qui che in altre aree extraeuropee bisogna confrontarsi con la pressante richiesta di finanziamento da parte dei clienti. Una partita in cui – sottolinea il presidente – «è stata decisiva, da diversi anni a questa parte, la collaborazione con Sace, che ci ha permesso di garantire i nostri crediti coprendo il rischio Paese degli Stati in cui operavamo e ci ha consentito di scontarli sul mercato». In certi casi, il ruolo della società controllata da Cassa depositi e prestiti, che nell’area latino-americana ha un’esposizione di 3,3 miliardi di euro, è stato addirittura necessario: «Senza Sace avremmo dovuto dire addio ad alcune importanti forniture di macchinari».